lunedì 30 dicembre 2013

Adversus mulincianam






Contro la stanzialità estrema della mulinciana, il transumano di Jacques Attali de L'homme nomade, (2003, tradotto in italiano nel 2006 da Spirali edizioni):"[il transumano - che è la condizione di meticciato tra lo stanziale e il nomade, tra la mulinciana e l'antimulinciana -] dovrà poter conservare il diritto di lasciare un luogo, di circolare; il diritto di viaggiare all'interno, il diritto di isolarsi per pensare e sognare, il diritto di sfuggire alle pressioni del mercato e dei predicatori, degli svaghi e della folla;il diritto alla solitudine. Dovrà conservare anche il diritto di trasgredire tutte le frontiere dell'arte e delle idee. Insomma, accetterà se stesso come molteplice, come meticcio, come contraddittorio, alla confluenza d'innumerevoli viaggi, per assumere ovunque viva le diverse identità, senza dovere definirle con un territorio o con una cultura", (p. 484 dell'edizione italiana). Il transumano di Attali vale quanto "l'identità plurima" (una costruzione ossimorica dove l'aggiunta della qualità,l'aggettivo, contraddice e annienta la sostanza,il sostantivo, a cui si attacca) del Mediterraneo di David Abulafia ("l'unità della storia del Mediterraneo risiede, paradossalmente, proprio nella sua vorticosa mutevolezza, nelle diaspore dei mercanti e degli esuli nelle persone che cercavano di attraversarne le acque in tutta fretta, senza indugiarvi[...]") in un libro, Il grande mare (Mondadori 2013) - come era conosciuto nella tradizione ebraica,yam gadol, che in 680 pagine (66 di note bibliografiche) si cita una sola volta la melanzana (p. 595) e mai, neppure una volta, Cavour, Mazzini, Garibaldi, Crispi, il Risorgimento o le guerre di indipendenza, fenomeni e attori del tutto insignificanti per la storia del quinto Mediterraneo di Abulafia (il primo abbraccia gli anni tra il 22.000 e il 1000 a.C., il secondo fino al 600 d.C., il terzo fino al 1350, il quarto fino al 1830, il quinto fino al 2010). Insignificanti perché scorie della geopolitica franco-inglese che serendipicamente trasformò un pezzo di territorio alpino e francofono in un regno mediterraneo accanto alle ultime convulsioni dell'Impero Ottomano, alle incursioni della Russia nell'Egeo attraverso il Mar Nero, alle velleità adriatiche dell'Austria. Fu un mare di preistoria e di Storia, ora è un mare di post-Storia, di turismo che devasta il territorio circostante il suo oggetto di fruizione come quando si costruisce una piattaforma su cui collocare un cannone che prenda di mira un ostacolo da abbattere perché si imponga e cementifichi  una civiltà da camerieri dell'industria del forestiero e del pensionato: " Nella seconda metà del Novecento il mar Mediterraneo, ormai non più centro del potere commerciale o navale, ha trovato la sua nuova vocazione nel turismo di massa. Il fenomeno,anzi, iniziò ad affermarsi proprio nel grande mare, che oggi richiama ogni anno oltre 230 milioni di visitatori. Accanto al trasferimento temporaneo di milioni di nordeuropei, americani e giapponesi in cerca di sole o di cultura, o di entrambi, ha preso piede una forma di insediamento più permanente o in qualche villa sulla costa spagnola o a Maiorca, a Malta, a Cipro, dando vita a comunità ben distinte, con i propri club, i propri pub, le proprie birrerie o, come nel caso dei tedeschi di Maiorca, persino con un proprio partito politico"(p.597). I turisti come i vermi della decomposizione cadaverica della Storia! L'orgoglio nativista, identitario come spasmo di melenzana!

domenica 15 dicembre 2013

Una cosa buona della mulinciana: pensare con le mani, parlare gesticolando!








Gesticolare parlando: le res gestae fàtiche sono state sempre il contrassegno della meridionalità, del sottosviluppo a Mezzogiorno contro il sovrasviluppo dei nottambuli, dell'Occidente o del tramonto o del post-meridiem. Muovono le mani le mulinciane mentre parlano! E Sarkozy? Sarkozy dimostra che la mulinciana è un ortaggio metafisico, umano, vale a dire! Le mani e ...  i tumbulati, i jancati, gli schiaffi (senza i quali il futurismo marinettiano sarebbe stato focomelico, mutilato, afasico!), i manrovesci, a mano a mano, una mano di vernice, una manata, la longa manus, fatta a mano, i manovali, manuali versus gli intellettuali, i mentali ,le carezze, anche quelle pubiche, e le pippe?  I pensatori dell'etimo sanno che mano appartiene a mente, come hand a hundred: ragionare e contare, la ragione indicativa (e distintiva) è dei numeri. Insomma, la mente è la mano del cervello, come la mano è la mente del corpo. Per questo chi gesticola parlando, dà corpo alle idee. E ci sono muti che smanettano, smanacciano, mimano, mi-mano: stanno ragionando. Tutti gli sport a palla con la mano sono giochi mentali: la mano è la mente che indirizza la sfera, dà direzione e senso a una figura insensata perché aperta in tutti i sensi. Insomma, da qualsiasi angolo visuale la si osservi la mano è mente. E non mente!
E', infatti, di Immanuel Kant la definizione della mano come proiezione della mente, manus proiezione di mens, dove la vocale "e", di mens, si allarga, si proietta nella "a" di manus, mentre la coppia consonantica "ns" si dilata nella "nus" di manus con l'introduzione della "u". La parola a Giovanni Semerano, alla sua grande capacità di ascolto del suono delle parole "fluitate dalle onde di secoli remoti  [e che] occorre auscultarle acutamente per sentirvi dentro il loro segreto, come in una conchiglia si ascolta l'eco di oceani abissali: " Manus ha il suo antecedente nell'antico accadico manu (calcolare, computare). Ne risulta la mano come strumento naturale del computo per indigitazione, quale emerge nei libri di matematica sino al Settecento. A quella antica parola accadica manu ci riconduce una lunga serie di parole greche, latine, germaniche. Il greco mène (luna che per gli antichi orientali è l'altra condomina dell'universo assieme al sole) ci richiama il gotico mena, l'antico alto tedesco mano, l'anglosassone mona [l'inglese moon]. Il valore semantico dell'accadico manu (calcolare) torna in voci greche con il senso di "ricordare", "avere senso": greco menos (spirito, mente) e ovviamente in latino mens, nell'inglese mean [...]" (Giovanni Semerano, L'infinito: un equivoco millenario. Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco, Bruno Mondadori, Milano 2004, pagine 5 e 6). Baciamo le mani!