
Francesco II
"... Badoglio era l'ultima persona al mondo cui il Sovrano avrebbe potuto o dovuto rivolgersi in quel momento [all'indomani della seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943]. Anzitutto Badoglio era odiato, giustamente odiato, dall'esercito e dal Paese. Non era un mistero che Badoglio aveva largamente profittato per 20 anni dei favori della dittatura fascista sempre servile e sempre prono agli ordini del dittatore. Non era un mistero che Badoglio aveva approvato la nostra entrata in guerra dell'Italia e approvato l'infausta guerra alla Grecia salvo poi a dimettersi bruscamente quando la campagna di guerra cominciava a svolgersi con disgrazia delle nostre armi, piantando così in asso i nostri soldati da lui trascinati in quella tragica avventura cui non poteva essere riservata altra fine se non la sconfitta", Dino Grandi, Memorandum 1958 in "Nuova Storia Contemporanea", a. XVII, n. 3, maggio-giugno 2013,p. 73.
Il paese dei badogli, fondato sui badogli, sul "tradimento", quello della Marina dei Borbone del Risorgimento, quello di Badoglio e della Marina regia del Ri-risorgimento della seconda guerra mondiale. A ogni svolta, a Salerno o a Battipaglia, troviamo un Badoglio! Portata a termine la lettura dello snello volumetto di Antonello Battaglia (Edizioni Nuova Cultura 2012), Il Risorgimento sul mare. La campagna navale del 1860-1861, si radicano ancora più fissamente la convinzione e la conferma storiografica (di buona e ricca bibliografia) che se "risorgimento" ci fu, la volpe machiavelliana ne beneficiò, che risorse con indosso l'uniforme degli Ufficiali della Marina, prima borbonici e poi sabaudi. Il Contrammiraglio Pellion di Persano, che neppure da Cavour era stimato ma che era conte come il Benso lo era di Cavour - erano contigui, mi abbaia a suggerimento il mio cane transessuale con la sua sessualità volta al futuro - portava a spasso per il Tirreno e l'Adriatico la squadra navale sarda a fare rari e innocui fuochi d'artificio nel porto papale di Ancona, a seguire a distanza i vapori garibaldini Piemonte e Lombardo (che non sbarcassero nello stato Pontificio!) e a corrompere gli ufficiali della Marina napoletana, con denaro e con promesse di promozione di grado nella Marina sabauda post-unitaria. Cavour scriveva l'1 giugno del 1860 a Carlo Pellion (quello della sconfitta di Lissa del 1866, dove - e citiamo - il suo antagonista austriaco, vittorioso,Wilhelm von Tegetthoff, "navi di legno comandate da una testa di ferro hanno sconfitto navi di ferro comandate da una testa di legno): " Alcuni ufficiali della Marina napoletana avendo manifestato sentimenti italiani al signor marchese d'Aste[Giuseppe Armero, comandante della pirocorvetta a ruote, Governolo, facente parte della divisione navale inviata in Sicilia agli ordini di Persano], ho mandato a quest'ufficiale col telegrafo, l'ordine di coltivare questi sentimenti e di continuare le trattative apertesi, facendogli facoltà di assicurare a coloro che promuovessero un pronunciamento della Squadra gradi e promozioni vantaggiose". A un certo punto si dispose di un numero di disertori comandanti superiore alla quantità di navi da comandare. E Cavour, prima di morire, si affannò ad annullare tutte le promozioni per meriti traditori. Tante, troppe erano! Fu che il Conte Camillo Benso per ostacolare il paventato "tradimento" dei Napoletani con il passaggio della flotta partenopea tra le fila degli Austriaci, aveva tenuto aperto un credito "illimitato" di parecchie centinaia di migliaia di ducati presso il banchiere di Napoli, De Gas, dal quale attinse il Conte di Persano per alimentare il deflusso marinaro da Napoli a Torino. Un credo sabaudo che guadagnò un flusso enorme di devoti: gli ufficiali della migliore Marina degli stati Italiani pre-unitari.Il 6 settembre del 1860 Francesco II sulla nave a vapore, Messaggero, del capitano Vincenzo Criscuolo darà l'addio a Napoli per rifugiarsi a Gaeta: " Prima di salpar l'ancora, il comandante Criscuolo trasmise alle navi borboniche ormeggiate nella rada il segnale per invitarle ad accompagnare il Sovrano a Gaeta; ma Persano aveva largheggiato con piemontese generosità. Si era fatto credere agli equipaggi che il Re li avrebbe mandati a Trieste[ in Austria];in conseguenza, non un vascello si mosse. Al largo di Procida, il Messaggero avvistò una flottiglia di quattro fregate a vapore: anche queste tennero in non cale l'ordine ricevuto e l'indomani passarono alla marina piemontese" (Harold Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli, Giunti Martello 1962, p. 559). Il Risorgimento sul mare, come recita il titolo da cui abbiamo preso lo spunto? No, sul ducato, nonostante quel che scrisse un grande narratore de La fine del regno di Napoli, Raffaele de Cesare per il quale "non fu [...] la dissoluzione della marina opera di setta [massonica] o di danaro né proposito di tradimento: fu effetto dell'ambiente, come si direbbe oggi [traggo la citazione dalla terza edizione del libro del 1909, pubblicato a puntate sul Corriere di Napoli nel 1894 e poi in volume, prima edizione, nel 1895],ossia di quella generale frenesia, onde tutto venne manomesso ed offeso da parte di tanti, i quali avevano giurato fede ai Borboni, e che al giuramento credevano non venir meno, passando nelle file dei nemici[...]. Francesco Caracciolo aveva fatto [ a favore dei Francesi] altrettanto nel 1799"(p. 856). Insomma "leggerezza o "irrequietezza" o la baudelairiana (mon coeur mis à nu) "gioia sottile nel disertare una vecchia causa per accertare che cosa si prova a servirne una nuova" (je comprends qu'on déserte une cause pour savoir ce qu'on éprouvera à en servir une autre) o voglia di eccellere, di conoscere i mari - e poi gli oceani - degli ufficiali napoletani soffocata dalla miopia marinara e geopolitica dei Borbone? Tutto questo si nascondeva dietro l'afflitta, desolata confessione del fuggitivo Francesco II a Criscuolo: " Vincenzino, io credo che l'armata navale mi abbia interamente tradito...". E non era tradimento, ma un'arma del vincitore, una virtù bellica dell'antagonista! A volte un dono disinteressato, come nel caso della pirocorvetta a ruote Veloce del comandante Amilcare Anguissola e del Monarca del capitano di vascello Giovanni Vacca che si pentì di essersi pentito della consegna del suo pirovascello ai sardo-piemontesi. Altre volte un'arma costosa il tradimento quanto "un fondo di sterline stanziato a favore di Garibaldi, cambiato in piastre turche e finito poi nelle tasche dei generali borbonici Landi e Lanza, rispettivamente avversari di Garibaldi a Calatafimi e a Palermo"!(Alberto Santoni, Da Lepanto ad Hampton Roads, Mursia 1990, p.278).
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