domenica 28 luglio 2013

Un ammiraglio corsaro o uno scrittore Nobel: di chi ha bisogno un’isola?

“Luigi Pirandello nacque dentro una sterminata dinastia palermitana di gente di mare. I Pirandello navigavano comandavano e armavano bastimenti, partecipavano alla fondazione di compagnie di navigazione a Palermo da almeno un secolo prima che Luigi, futuro Nobel, venisse al mondo. Sul mare e con il mare, intraprendenti e spregiudicati, talvolta audaci, avevano fondato le basi di una notevole fortuna economica”.

Questo è l’incipit del volumetto di Mario Genco, I Pirandello del mare (XL edizioni, Roma 2011). Il primo Pirandello, Andrea, arrivò a Palermo da un paesino di marinai della Liguria nel 1772. Si mise a comprare e a rivendere olio, grano, vino  e, poi, arance zolfo, bastimenti. Si fece corsaro anglo-napoletano per Ferdinando IV, Re delle due Sicilie. Una dinastia di imprenditori, avveduti e coraggiosi, spietati con i creditori, usurai forse, banchieri certamente, e oculatissimi nella compravendita dei bottini predati nelle crociere di corsa: per nulla … pirandelliano fu il prolificissimo casato dei Pirandello fino a quando non si estinse nel Nobel della letteratura. Vi affogò tra novelle, commedie e romanzi. Era sopravvissuto alle tempeste dei mari e degli Oceani il nome dei Pirandello, “logorato ma salvo/meglio vivo che morto … ma sempre salvo in porto” - come pare scrivesse in una delle sue poesie il drammaturgo Luigi Pirandello. Si allungava la lista dei poeti e si rattrappiva quella dei navigatori, fino a fare del mare Mediterraneo una tinozza per melenzane a bagnomaria. Scrive Genco: "Il mare ,[Luigi Pirandello ne era incantato come da una miniera per esercizi retorici] lo amava. Ma come molti siciliani, e soprattutto molti scrittori siciliani Verga compreso,[…] ne aveva sospetto[…].Il mare dei porti gli cancella l’incanto[del mare] e gli volge l’umore, con quel suo tanfo denso,caldo acre di sale e di muffa, delle alghe morte, appacciamate, misto all'odor della pece e del catrame. Lo stesso che si spande a bordo, quel tanfo particolare, alido, nauseante, che cova all'interno delle navi". 

A seguire quel tanfo ci si sarebbe allontanati dal profumo di libri predatori letali dell’intelligenza delle melenzane che amano scrivere (meno leggere) piuttosto che vivere, navigare. Meglio scrittore che ammiraglio, meglio morto che vivo!E Luigi Pirandello odiava, la navigazione, le navi e i loro capitani! Come un vero siciliano, nonostante discendesse da avi liguri! Un uomo che è un mito negativo, come quello di Anteo: un gigante. Con i piedi ben piantati a terra. Come una melenzana ben radicata nell'orto! 

Si sente già lo squittio sussiegoso dell'uomo di lettere che prende cappello e mi toglie il saluto!


mercoledì 24 luglio 2013

Di una ricerca che non ha avuto e che non avrà un euro perché, mio caro signore, gli investimenti oculati si indirizzano sulle melenzane e sui lupini, in serra e a cielo aperto.

L’oggetto della ricerca che - per le denominazioni accademicamente tradizionali -  apparterrebbe disciplinarmente alla Filosofia della Storia è relativo alle considerazioni sulla Storia di pensatori come Oswald Spengler (Il tramonto dell’Occidente) e Ernst Jünger (Eumeswil) per i quali nelle crisi di Civiltà (Kultur) la Storia è Storiografia. Il tramonto di Civiltà nell'età della Tecnica si pone come Zivilisation, che attraverso la “tecnologia” della narrazione, ad esempio, verbale (Retorica) o iconica (foto-cinematografica), vuole mantenere illusoriamente in vita la Kultur da cui è esalato il respiro vitale, la magia del mistero. Pertanto, l’Occidente è terra della Tecnica che surroga l’autenticità o irripetibilità dell’accadimento, dove si darà storiografia senza la necessità della Storia, dove, anzi, la storiografia è la Storia, tempo raccontato, ricordo di un sogno, ricordo. La Zivilisation (civilizzazione, contrapposta a Kultur, civiltà) non ha Storia ma storiografia.

La ricerca che vorrà distinguere i profili intellettuali dei suddetti pensatori tenderà alla verifica della tesi in parte loro comune  per i quali l’Occidente o tramonto di civiltà è dato come Tecnica della coazione a ripetere … la coazione a ripetere disposta su o giù per una china di ciclicità irreversibile. Tecnica, quindi, del racconto temporale, Retorica del Tempo di cui si “prova”, si saggia l’esistenza con il racconto. Il Tempo è un palcoscenico su cui si esercitano maschere, si svolgono episodi. Il Tempo, come sostiene in Critica della notte uno studioso jüngeriano, Giuseppe Raciti, sarebbe  “particella sagomata di eternità”, parte luminosa di accecante bagliore. L’eternità (il tempo senza Storia) si oscura al centro  per illuminarsi in periferia; della sua “sub stantia” si coglie il contrario o la sua estenuazione.

martedì 23 luglio 2013

La Chiesa del Pesce: Cristo non moltiplicò le melenzane, ma i pesci!













Guardando le lussureggianti fotografie di Monica Laurentini, raccolte in  'A Piscarìa, un mercato sonoro e distogliendo lo sguardo da Serge Latouche de Il Pianeta dei naufraghi (Bollati Boringhieri 1993): "Un giorno di mercato - racconta monsignor Valaro, presidente della Caritas, una organizzazione assistenziale cattolica, - a Madagascar, un contadino povero s'installa già all'alba con cinque pomodori, due pesci e un chilo di patate dolci. Passò di lì uno straniero che volle comprargli subito tutta la merce a buon prezzo. Dopo un momento di silenzio il vecchio rispose: «No, sono venuto qui innanzi tutto per avere notizie degli amici dei parenti. Se prendo i 
tuoi soldi ora, non potrò restare al mercato per godermi la giornata con gli altri. Ridere con loro permette di dimenticare la miseria, il dono del tempo va assaporato, è un dono del cielo»." 
E sarebbe da mandare Latouche al mercato norvegese del pesce di Bergen, un luogo di incontro e di contrattazioni aleutiche internazionali dove i pescivendoli mantengono agli studi universitari i ricercatori, gli intellettuali. Per scoprire che un pescivendolo  di salmone o di granchi vale più di un professore universitario se è vero quel che narra nel suo Il pescivendolo italiano in Norvegia Massimo Toffoletto (Aurelia editori 2010). Il protagonista, pescivendolo e studioso di letterature russa, norvegese, inglese, a lungo indeciso tra libri e merluzzi ( i primi comprati con il ricavo della vendita dei secondi), tra halibut, lupa di mare (che non è la mamma dei lupini dei Malavoglia di Verga, raffinato mangime per i porci), stoccafisso e progetti di ricerca dell'Istituto di Lingue e letterature straniere dell'Università di Bergen, sceglierà la pescheria, dopo avere "lasciato tutto, compresa la carriera universitaria"  per farsi imprestare la bancarella del pesce dal suo amico e datore di lavoro, il pescivendolo Runar.  Un Latouche in meno!

Un pescivendolo - narrava Sir Walter Scott – al posto di vendita era solito dire ai suoi clienti che mercanteggiavano: “Non è pesce quello che state comprando: è la vita stessa degli uomini”. Il passo è l’epigrafe di una parte della ricerca di Mark Kurlansky, Merluzzo (Mondadori, 1999). Verissimo e dispettoso anche nei confronti di chi - come Pedrag Matvejevic - racconta nel suo Mediterraneo che “ il cristianesimo non stimolò la navigazione” (ma quando mai!? Si legga Fagan.) la pescheria è una chiesa cristiana: comunità del pesce, ICHTHYS, l’acrostico che sta per Iesous Christos Theou Yios Soter (Gesù Cristo, di Dio Figlio, Salvatore). Aringa o merluzzo, stocco o baccalà, il pesce ha salvato il mondo ma l’ha anche cambiato. Senza volerlo. Lo si inseguiva, il merluzzo, per tutti i mari del nord Europa fino a Cape Cod (Capo Merluzzo) del continente nord americano e  si tracciava una rotta settentrionale che sarebbe servita a scoprire l’America, a disincagliarsi dalla civiltà mediterranea paralizzata dal suo passato, a consegnarsi  al futuro dell’Oceano Atlantico e poi dei Mari del Sud, del Pacifico di Vasco de Gama , di Magellano. Inseguire il merluzzo, pescarlo, essiccarlo sulla punta di un bastone (stockfish) o salarlo come un baccalà da conservare per i giorni invernali, lunghi e numerosi. Più che il roastbeef  il piatto nazionale identitario inglese fu (è?)il fish and chips, un fritto di merluzzo e patatine, servito in cartoccio che si mangia nei luoghi di mare inglesi, servito in ristorantini realizzati dalla trasformazione delle capanne di deposito degli attrezzi e ordigni di pesca (consigliamo - per esperienza diretta - Hastings). Sulle tracce del merluzzo l’Oceano diveniva familiare. Scoprire il mondo inseguendo le aringhe per salarle, essiccarle, affumicarle e fare fronte alla fame dei mesi freddissimi e delle annate agricole scarse. Cibo quaresimale, l’uno e l’altra. La dieta alimentare della Chiesa cattolica che vietava l’ingestione della carne in alcuni giorni della settimana- e non solo il venerdì - raccomandava l’aringa, sì da fare scrivere a Brian Fagan nel suo Il lungo viaggio delle aringhe (Corbaccio, 2007) che “dopo l’XI secolo le dottrine della Chiesa cattolica e le domande insaziabili da parte degli eserciti di vettovaglie leggere, facilmente trasportabili, crearono un commercio enorme di pesci di mare. Un commercio internazionale rapidamente crescente …”. Catania il cui mare era/è scarsamente pescoso non aveva aringhe, aveva pochissimi miruzzi (sia pure) do’ conzu; ricchissimo era di sarde, masculini (acciughe) e cozzuli (non di Messina o,meglio, di Ganzirri, ma da praia). Le barche erano diversamente definite: varca ‘i sardi, ragni a vela, varca ‘i conzu, varca ‘i lacciara, varca ‘i nassi (per le seppie), varca ‘i nassi di jammuru russu, varca ‘i sciabbicavarca ‘i ‘ncannata, cinciolu, paranza, tartaruni. Con l’ausilio del preziosissimo testo di Salvatore Lo Presti, La pesca e i pescatori nel golfo di Catania, pubblicato nel 1936 da Romeo Prampolini, glorioso editore catanese, vediamo da vicino il mondo lontano della pesca catanese i cui attori gravitavano attorno ai quartieri della Civita, degli Angeli Custodi, del Porto, di Ognina e del comune di Acitrezza, riatteri, pisciara, sammareddi, cuzzulara e patruni  ‘i varca: “Per la ripartizione degli utili della pesca, tra proprietari di barche (patruni) e pescatori (marinara) vigono gli usi seguenti: Varca ‘i sardi- Il ricavato viene diviso in dieci parti. Sei parti vengono date agli uomini dell’equipaggio (una per ciascuno); tre parti al patruni per avere apprestato la barca e le reti occorrenti; l’ultima parte, dette parti ‘i puppa viene divisa, in aggiunta, all’equipaggio. Il proprietario della barca è tenuto a fornire all’atto della partenza, il pane all’equipaggio (mezzo chilo per ciascuno). A pesca  ultimata, sul ricavato di questa, gli vengono corrisposte lire quattro di spisa per ogni marinaru: egli trattiene una lira a testa per il pane e distribuisce a ognuno le tre lire che sopravanzano”. Pescatore-pescivendolo:il tratto di congiunzione era rappresentato dal riatteri che raggiungeva in mare con una sua barca i pescatori di ritorno per farsi consegnare tutto il pescato da portare ‘o sgabellu (mercato all’ingrosso) ove rivenderlo ai dettaglianti, ai pisciara che per Catania erano i cosiddetti “sammareddi” , i quali per la vendita della loro merce percorrevano giornalmente  venti, trenta ed anche più chilometri. E chiudiamo con un omaggio a Salvatore Lo Presti: “Sempre a piedi nudi, sia d’estate che d’inverno, senza mai stancarsi, con un passo caratteristico, celere e ritmico nello stesso tempo, che sembra dar lena e giocondità al corpo e allo spirito. Partendosi dal mercato all'ingrosso, con i panieri accoppiati sulla testa, protetta da una specie di cercine fatto di un sacco cadente sulle spalle, egli gira di sobborgo in sobborgo […]. Allorché echeggia il suo rallegrante grido le comari si affacciano leste sulle soglie degli usci con i bianchi piatti pronti nelle mani …”.

Non molto tempo addietro! E, comunque, non erano mulunciane, melenzane né gli spassosissimi lupini di Giovanni Verga, protagonisti del mare a Vizzini!

                                                                          




mercoledì 17 luglio 2013

Operazione Husky, Lucky, Lansky su quella waste land che in codice fu Horrified.

“La guerra marittima non è concepibile senza terra: essa viene diretta da terra come parte della strategia totale e si appoggia a un grande apparato di porti e di cantieri. Per conquistare e sfruttare il dominio del mare non basta la flotta da guerra, ma occorrono anche una flotta da trasporto, basi d’appoggio in località opportune e un governo che abbia una mentalità marittima […] Nel tempo che precedette sia la prima che la seconda guerra mondiale, i governanti tedeschi non si resero conto della forza e del carattere peculiare della potenza navale: se ne avessero avuto un’idea chiara, si sarebbero forse maggiormente preoccupati di evitare la guerra. Questo vale in particolare per il 1939” (Friedrich Ruge, ammiraglio, già  Capo di Stato Maggiore della Marina tedesca, La guerra sul mare 1939-1945, Garzanti Milano 1961, ma Der Seekrieg, K.F.Koehler Verlag,Stuttgart 1954).

"Le forze armate italiane erano insufficientemente organizzate per intraprendere una guerra marittima nel Mediterraneo. I comandi delle tre armi e cioè Superesercito (forze di terra), Superaereo (forze dell'aviazione) e Supermarina (forze navali) erano coeguali, ma tutti subordinati alle decisioni del Comando supremo i cui ufficiali avevano la tendenza a tenere in maggiore considerazione  l'importanza dell'esercito per le operazioni continentali e il concetto di bombardamento strategico, dimostrando una scarsa simpatia per i problemi navali e una fiducia limitata nelle possibilità della Marina" (E.B.Potter-C.W. Nimitz, La grande guerra sui mari, Aldo Martello editore Milano 1965, p. 56).

"[...] se anche tutto l'Egitto fosse stato occupato, non sarebbe stato risolto il problema dei rifornimenti via mare del nostro copro di spedizione; anzi, esso sarebbe stato aggravato per l'aumentata lunghezza del percorso. Gli espongo che l'unico modo di risolverlo sarebbe stato quello di occupare Malta[...]. Mussolini ne conviene ed afferma energicamente: mai mai i tedeschi hanno capito l'importanza del Mediterraneo [...] ( conversazione tra Maugeri e Mussolini nel viaggio verso Ponza dopo la destituzione votata dal Gran Consiglio, in Franco Maugeri, Ricordi di un marinaio, Mursia 1980, pp. 110-111)|




   Un'isola è un accidente del mare che la sorregge come la sua sub-stantia. Anche una penisola, una paene insula, una quasi isola è un quasi accidente del mare. Il mare è il ... mare di quasi tutte le loro opportunità, in pace come in guerra. E, visto che di guerra parliamo, apro con le considerazioni di un grande uomo di mare che al navalismo della seconda guerra mondiale dedicò molti suoi pregevoli libri. Si tratta del biscaglino di Santander, Luis de la Sierra (1920-?), che nel suo La guerra navale nell'Atlantico. 1939-1945 (Mursia 1982), dopo avere criticato, come causa primaria della sconfitta dell'Asse il continentalismo di Hitler, parzialmente nascosto dall'attività corsara delle sue corazzate "tascabili" ( famigeratissima fu la Graf Spee comandata dal capitano di vascello, Hans Langsdorff, di breve vita ma abbondantemente letale) e dei suoi battelli sottomarini, Unterseebooten, U-boote, scrisse:
"Il dominio del mare permise agli alleati di evitare il collasso dell'Esercito sovietico nel 1942 e successivamente di iniettargli una forza sempre maggiore che poi avrebbe reso possibile il ciclone della sua ultima offensiva fino a Berlino.
Il dominio del mare consentì di cambiare, per la prima volta da parte degli alleati, la marea contraria alla guerra, permettendo loro di sbarcare prima nell'Africa del Nord, poi in Sicilia; di aprire un secondo fronte nella penisola italiana e di mettere le loro truppe sulle spiagge della Provenza nell'agosto del 1944.
La perdita della Battaglia dell'Atlantico da parte dei sommergibili tedeschi, alla metà del 1943, permise agli alleati di convertire il Regno Unito in un grandioso arsenale di armi americane [trasportate per mare], che a sua volta, rese possibile il gigantesco e decisivo sbarco di Normandia del Giugno del 1944.
Il dominio del mare permise anche agli alleati di scatenare dall'Inghilterra la terribile e deleteria[sic!] ma efficace offensiva aerea degli anni 1943,1944 e 1945 che ridusse in macerie i centri industriali tedeschi in tutta Europa e disorganizzò completamente il suo sistema di trasporti, oltre ad annientare la Luftwaffe. Ma le centinaia di migliaia di tonnellate di benzina necessarie per sostenere quella eccezionale offensiva aerea avevano dovuto prima essere portate fino in Gran Bretagna dal Golfo Persico, dai Caraibi e dagli Stati Uniti [contando] a priori sul dominio del mare", p. 455).

Geniale l'espressione del generale italiano Carlo Jean, docente di Studi Strategici e scrittore militare, secondo cui la "storia è geografia in movimento" (Guerra, strategia e sicurezza, Laterza 2001, p.131). Un luogo, per quanto piccolo e insignificante quanto un'isola dello Jonio o un fiordo norvegese, si sradica in alcuni momenti dalle sue fisse coordinate planetarie per far parte delle fluttuazioni della Storia che ora qui, ora lì nidifica. Per tanto la Sicilia nell'operazione Husky della seconda guerra mondiale smise i panni mediterranei del luogo comune goethiano dove-fioriscono-i-limoni, si svestì del suo statuto speciale di preteso centro del mondo, mugugnato o urlato dai suoi indigeni, per diventare una tappa del lungo viaggio che dal Pacifico all'Atlantico al Mare del Nord portò il nazismo, il fascismo e l'imperialismo nipponico al crollo. Insomma, la Sicilia in quel luglio del 1943 cambiò il suo stato "geografico" caropipano in quello storico marinaro, divenendo un'isola delle Hawai, tra Pearl Harbor (l'attacco proditorio dei giapponesi) e Midway (la rivincita americana), dopo il 7 dicembre del 1941 e il 3 giugno del 1942. La guerra europea del 1939 con l'attacco giapponese alla flotta aeronavale americana fuoriuscì dai suoi stretti confini per globalizzare ogni sua parte, anche la più trascurata. E la Sicilia per la prima volta fu una terra mondiale, liberandosi della retorica che l'aveva incatenata ai miti della Magna Grecia e ai percorsi di completamento della formazione umanistica degli intellettuali delle classi sociali europee superiori. E divenne un'isola del Pacifico tra le Hawai della guerra nippo-americana, e divenne un'isola dell'Atlantico della guerra anglo-tedesca grazie a quel movimento geografico della Storia che aveva conosciuto una potente accelerazione per gli azzardi dell'area di prosperità economica asiatica inventata contro gli americani e gli inglesi dagli uomini del Sol Levante. Il dicembre del 1941 rese planetario quel conflitto nato per il malumore revanchista, tedesco maturato dopo la punizione (o la guerra) della pace di Versailles. I giapponesi, prima di essere la simpatica versione asiatica del Superuomo, dell' Uebermensch ariano, piacquero ai nazisti perché tenevano impegnati, distraendoli dal Vecchio Continente, gli americani e gli inglesi dell'impero asiatico. I tedeschi, dal canto loro, si davano da fare con le loro forze di terra, di aria e con la loro flotta nel Mare del Nord e nel Baltico, basata tra Wilhelmshaven e Kiel, orientata a debellare la potenza francese e a ridimensionare l'imperialismo inglese per disputarne il condominio dell'Europa e a difendere la fonte di approvvigionamento dei minerali di ferro e di manganese per le corazzate della Marina, per i carri armati, per gli aerei della Luftwaffe. Tra le tante isole di importanza strategica per la Storia internazionale del Mediterraneo centro-orientale il caso scelse la Sicilia. Un'isola ancora ferma ai Mimi di Francesco Lanza di Valguarnera, all'immobilità o alla mobilità ricorsiva di un paesaggio stordito dal sole e accartocciato nell'indolenza dei suoi abitanti come le foglie dei versi di Montale, il cui ruolo, suo malgrado ebbe ad essere determinante non per i nativi e gli abitanti dei suoi piccoli comuni di Melilli o di Villalba o di Catania o di Palermo, ma per la lontanissima, vicinissima Pearl Harbor dove stava incubata. Insomma, l'isola nostra fu un'isola degli Oceani, come il Mediterraneo è una pozzanghera di Oceano, del Panthalatta che precedette la deriva dei continenti e la divisione tra mare e terra del pianeta che abitiamo.

L'operazione Husky coronò i tre anni di guerra navale nel Mediterraneo dove morirono 28.937 italiani eroi del mare. Quel lungo viaggio negli oceani degli anglo-americani si arrestò temporaneamente a Malta dove si portò alla resa quel che rimaneva della Flotta italiana. Cosa abbiano insegnato quegli anni a dircelo con la sua competente chiarezza è stato Luis de la Sierra (La guerra navale nel Mediterraneo. 1940-1943, Mursia 1987), scrivendo "che le enfatiche dichiarazioni dei politici non possono sostituire le navi portaerei, per esempio; che ogni Marina da guerra ha bisogno di disporre della propria Aviazione navale; che l'arretratezza tecnologica in tempo di pace si paga molto cara in guerra;[...] e che [...] il vantaggio di avere il dominio del mare risulta decisivo e, alla lunga, porta immancabilmente alla vittoria finale"(p. 431). 

Il nemico in guerra o l'avversario sul ring se lo colpisci prima, lo colpisci due volte: prima lo stordisci, poi lo finisci. E vale quanto la regola, prima di quattro, del tenente generale americano, George Smith Patton Jr.: "La sorpresa: scopri che cosa intende fare il nemico e fallo prima di lui". In tal senso, pattonianamente ante litteram, da tempo veniva preparata l’invasione italiana di Malta, dopo aver guadagnato l'Inghilterra alla lista dei nemici: "il problema della neutralizzazione di Malta si presentò per la prima volta nell'estate del 1935, in seguito alla crisi determinata dalla progettata conquista italiana dell'Abissinia" (Giovanni Alberto, Il dramma di Malta, Mondadori Milano 1991 p. 9). L'Italia era memore dell’arcipelago maltese, dagli Inglesi, nel lontano 1802 della pace di Amiens, sottratto al regno borbonico dell’Italia meridionale. Da tempo la geopolitica militare italiana andava pensando a una nuova ricollocazione dell’Italia nella scacchiera mediterranea incardinata sulla ri-conquista di Malta che pareva dovere essere una sorta di anticipazione dell’operazione Husky al rovescio. Lo sbarco sull'ex-isola dei Cavalieri gerosolimitani doveva avvenire nella primavera del 1942 secondo un piano progettato nella seconda metà degli anni Trenta del secolo scorso e pianificato di tutto punto nell'ottobre del 1941. Un piano, studiato dai nostri esperti assieme a militari tedeschi e giapponesi  (Abe, Mitunobu, Shinizu, Gondo raccomandavano le truppe alpine per l'invasione), che aveva anche messo a dormire l’anti o l'a-mediterraneismo di Hitler (sarà raggirato nel maggio del 1943 come un gonzo dal sotterfugio macabro della "carne tritata", dall'Operazione Mincemeat: i falsi piani militari alleati trovati addosso a un cadavere pescato in mare, in divisa da ufficiale dei Royal Marines). L'assenso del Führer - racconta a corredo dell' esposizione della strategia navale italiana basata sulla fleet in being*, Giorgio Giorgerini (La guerra italiana sul mare. La Marina tra vittoria e sconfitta.1940-1943, Mondadori Milano 2001) -  “fu ottenuto dopo che il grand’ammiraglio Raeder lo convinse che l’occupazione di Malta avrebbe innescato un movimento di grande strategia che avrebbe portato le armate tedesche nel Medio Oriente, verso il Mar Caspio e le regioni meridionali della Russia, verso l’Asia stessa in direzione della linea avanzata delle armate giapponesi – il Giappone era entrato in guerra dal 7 dicembre del 1941 – dalla Birmania all'India e oltre” (p. 77). E, a rafforzare l'eventualità di fare del Mare nostrum, da tempo la gola o la trachea (throat) dell'impero inglese,un lago nazifascista si pensava di convincere Francisco Franco a scendere in campo accanto all'Asse, occupando Gibilterra e il Marocco spagnolo. Una chiacchiera che non trovò strada nella "mentalità europea" di Hitler (Gianni Rocca, Fucilate gli ammiragli, Mondadori 1987, p. 43). Il grano ucraino, il ferro del bacino del Donetz, il petrolio rumeno, i minerali norvegesi e il legname svedese: era questa Europa che componeva il paniere ariano del materialismo nazista di Hitler che, invadendo il 1° settembre del 1939 la Polonia, darà inizio alla guerra europea a cui l'Italia non era preparata. Mussolini dava garanzie guerriere solo a partire dal 1943 per approvvigionare adeguatamente la sua fanteria di scarpe, proiettili, baionette e carri armati da comprare con la valuta affluita grazie all'esposizione mondiale progettata per il 1942, dopo avere condotto a termine "l'impresa gigantesca di trasferire l'industria bellica al completo nell'Italia meridionale" (Erich Kuby, Il tradimento tedesco, Rizzoli 1987, p. 98): una geopolitica italiana piemontese, gallofoba, costruita sul nemico transalpino da contrastare con il mulo e il fucile. L'apocalisse sarebbe venuta  dal mare con il nome di un cane! (Per inciso: il trasferimento dell'apparato industriale italiano non avverrà mussoliniamente nell'Italia meridionale, ma hitlerianamente in Germania, autorizzato con un'ordinanza del 13 settembre 1943 a firma del Fuehrer fatta pervenire al capo dell'Oberkommando della Wehrmacht, Alfred Jodl).

L’invasione, preparata da un micidiale prolungato bombardamento, si decise di rinviarla - con grande disappunto del Comando supremo italiano - nell'aprile del 1942  per assecondare l’attività dell’Afrika Korps di Rommel, lanciato alla conquista di Tobruk e del territorio cirenaico fino al confine egiziano in Cirenaica. Infatti, il 27 luglio Cavallero ordinava lo scioglimento dello Stato Maggiore dell' Esigenza  C 3 (il nome in codice dello sbarco su Malta) dopo avere comunicato ai Capi di S.M.G. che "la situazione militare generale e le condizioni meteorologiche fanno prevedere l'impossibilità, per il corrente anno, di effettuare l'operazione C  3" (sul tema è definitiva la proposta di lettura militare di Mariano Gabriele, Operazione C 3 Malta, Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 1965. Il passo virgolettato è tratto dal saggio di Giovanni Alberto sopra richiamato, p.154). Non se ne fece più niente e arrivarono gli Alleati: al posto dello sbarco dell’Asse su Malta la Storia registrerà la resa dell'Italia a Malta, dopo l'invasione degli Alleati in Sicilia (Horrified, in codice). E da Malta  - si tenga ben presente - la portaerei inglese Illustrious con la sua scorta di incrociatori e cacciatorpediniere ebbe a procurare all'Italia l'equivalente di Pearl Harbour per la flotta americana: la messa fuori combattimento della metà della flotta da battaglia, ormeggiata nel Golfo di Taranto: "una disfatta subìta senza combattere" nella notte dall' 11 al 12 novembre del 1940. "La fine dell' Italia era cominciata a Taranto"- scrisse Antonino Trizzino nella sua dolorosa, notissima narrazione di Navi e poltrone (Longanesi, 1952) che è il manifesto di fondazione della moralistica storiografia del "tradimento", della "pugnalata alle spalle" che ritorna dalla prima guerra mondiale. Un testo - che è un'imprecazione - da mettere a dormire dopo la pubblicazione de Il vero traditore: il ruolo documentato di ULTRA britannico nella guerra del Mediterraneo di Alberto Santoni (Mursia 1981).

Al contrario dell’invasione di Malta l’operazione Husky (10 luglio-17 agosto 1943)  venne estemporaneamente pensata, nonostante il rimaneggiamento di ben nove versioni, compresa quella finale, un compromesso di diffidenze anglo-americane - secondo il figlio di Franklin Delano Roosevelt, Elliott - e militarmente, per la sua estemporaneità, si configurò come un fallimento. Militarmente, beninteso, e non politicamente! Una amara vittoria - per dirla con Carlo D'Este autore di un indispensabile lavoro (Bitter Victory) pubblicato nel 1990 in Italia dalla Mondadori  con un titolo di rara e ponderata banalità (1943. Lo sbarco in Sicilia). Un'amara vittoria raddolcita quale soluzione alla "necessità di garantire alle truppe d'invasione un'adeguata copertura aerea partente dal Nord Africa e da Malta, in mancanza di un sufficiente numero di portaerei che né gli inglesi né gli americani potevano allora mettere a disposizione del Comando alleato", come scrive - in polemica con chi ironizza sull'invasione dell'Italia nel suo punto più estremo  (un'invasione "estrema" ha pienamente la tenuta di un ossimoro, in vero) - Alberto Santoni in Storia e politica navale dell'età contemporanea (Ufficio Storico della Marina Militare, 1993, p. 294).

Sia pure ancora frastornatissimo per le riserve americane tenaci fino alla chiusura della Conferenza Trident di Washington del 12-25 maggio, sospetto a Stalin che vedeva ritardata l'accensione del fronte di guerra nella Francia settentrionale, lo sbarco alleato in Sicilia fu ideato intorno al 23 gennaio 1943 per la luna tramontante alle 12 e 30 della notte  tra il 9 e il 10 luglio e confusamente organizzato di fretta. Solo il 13  maggio, ma - è bene ricordarlo - con le resistenze americane, lo si approvò definitivamente, dopo il crollo del fronte dell’Asse in Tunisia e dopo un'altra logorante e lunga discussione che si aprì all'indomani dell’operazione Torch per la cui realizzazione il naviglio alleato era salpato il 24 ottobre del 1942 dalle basi navali americane, dalle Bermude  e, due giorni prima, dall'Inghilterra  con primo approdo a Gibilterra (27 ottobre). Da qui  a novembre era proceduto lo sbarco sulle coste del Marocco francese e dell’Algeria della Francia neutrale di Vichy da dove continuare, poi, teso alla conquista dei porti algerini di Orano e Algeri, base di lancio per l’occupazione della Tunisia del 13 maggio del 1943, dove si era rifugiata l’armata italo-tedesca dopo lo sgombero di Tripoli del gennaio 1943 e dove fu catturata. La spedizione Torch - vi si ponga mente - si era resa indispensabile e irrinunciabile dopo che Rommel con il suo Afrika Korps era già arrivato a due passi dalla valle del Nilo e dai porti petroliferi.

Dicevamo dell’estemporaneità, nonostante che dal settembre del 1940 fosse stato redatto un piano inglese per l’occupazione di Pantelleria, realizzata a metà giugno del 1943 contemporaneamente a quella di Lampedusa. I capi di stato maggiore britannico e americano dall’inizio dell’operazione Torch si erano incontrati 56 volte. A un anno esatto dal primo incontro del gennaio del 1942, si rividero per la 57sima volta in presenza di Churchill e Roosevelt (Stalin era impegnatissimo a Stalingrado). E anche questa volta evidenziarono un disaccordo abissale. Gli americani erano interessati prevalentemente al Pacifico e ai Giapponesi, ritenendo il fronte mediterraneo una sorta di “buco nero” che avrebbe fatto perdere tempo da impiegare, invece, esclusivamente nell’operazione che sarà chiamata con diversi nomi (Roundup fu uno) e poi definitivamente Overlord. Progetto, questo, pianificato dagli americani e per il quale con lo sbarco in Normandia si doveva giungere rapidamente a Berlino, prima della malaugurata ipotesi che i tedeschi potessero sconfiggere i sovietici, rendendo il Terzo Reich inespugnabile, mentre Tokyo si impossessava di materie prime e fortificava le sue difese nelle Indie Orientali e nelle Filippine. “ Se la resistenza sovietica avesse ceduto, Hitler avrebbe avuto accesso alle illimitate riserve del petrolio del Caucaso e del Medio oriente e gran parte delle divisioni sarebbe state spostate dal fronte orientale a quello occidentale”. L’arrivo alleato nell'Africa nord occidentale francese faceva parte dello sbarco in Francia da prendere a tenaglia sulla costa tra Marsiglia  e Tolone da un alto e sulla costa normanna dall'altro. Non per gli inglesi, non amati fra l’altro dai francesi, che invece ritenevano il Mediterraneo essere il centro del mondo occidentale, la trachea dell’impero di Sua Maestà e che doveva essere presidiato in funzione antisovietica. Per questo sulle prime avevano pensato di operare lo sbarco in Grecia dove la popolazione - a differenza della siciliana - si pensava fosse in festosa attesa. D’altra parte, la stessa operazione Torch per molti ufficiali americani “sembrava mirare più a un ampliamento delle ambizioni imperiali di Londra che a una rapida vittoria bellica. Per secoli il Mediterraneo, "linea vitale di comunicazioni con il Canale di Suez e l'Estremo Oriente", aveva, appunto, collegato il regno Unito con gli interessi britannici in Egitto, nel Golfo Persico, in India, in Australia e nell'Estremo Oriente”, costituendo anche  - per la Francia - la via principale per l'Algeria, la Tunisia e il Marocco. Zio Sam non voleva lavorare per la perfida Albione che si vedeva minacciata in India dalle conquiste giapponesi di Hong Kong, Singapore e della Birmania. Tornava a galla l’acronimo  AEF significante American Expeditionary Force  ma da leggere After England Failed.

Pur in presenza della marcatissima diffidenza alla fine di gennaio, comandante supremo l’americano Eisenhower e vice comandante l’inglese Alexander, comandanti d’armata Patton e Montgomery, l’accordo si definì a favore dello sbarco in Sicilia per  rendere più sicure le linee di comunicazione del Mediterraneo, per alleggerire la pressione tedesca sul fronte russo, accentuare la pressione sull'Italia, ottenere la collaborazione della Turchia e l'apertura dei Dardanelli attraverso cui  alimentare il sostegno difensivo dei sovietici contro i nazisti, risparmiando anche "un milione di tonnellaggio impiegato normalmente per la circumnavigazione dell'Africa”. Sulle prime, in vero, alla Grecia anche, ma innanzitutto si era pensato alla Sardegna che era l'isola italiana degli americani, di Eisenhower, incrollabilmente convinto, assieme all'intelligentissimo  generale Marshall e fino all'ultima settimana del gennaio del 1943, che il Mediterraneo fosse  "cosa inglese" e fronte secondario rispetto a quello dello sbarco sulle coste settentrionali della Francia. E fu convinzione di  Hitler e Mussolini i quali, fidando in Eisenhower "sardo"più che in Churchill "siculo",  predisposero il contrattacco dal porto di La Spezia dove era in attesa la flotta di guerra italiana mentre s’era deciso il rafforzamento militare della Sardegna con l’invio di forze corazzate. 
      David E. Ellwood nel feltrinelliano libro del 1977, L'alleato nemico. La politica dell'occupazione anglo-americana in Italia (1943-1946), ci ha raccontato - ora è tempo -come la Sardegna fosse preferibile per motivi geo-bellici alla Sicilia, perché come questa vicina alle coste africane in mano alleata, ma più della Sicilia vicina alla Francia e al teatro europeo. Ma il territorio sardo presentava l'inconveniente di essere prossimo alla costa tirrenica della penisola italiana da cui le truppe dell'Asse si potevano spostare velocemente e che potevano essere rifornite rapidamente dalla Germania o dai territori occupati dai nazisti. 

Si optò per l'isola di Polifemo perché - secondo Sandro Attanasio ne Gli anni della rabbia 1984 - a prevalere fu la volontà del fronte interno dei Quisling alla rovescia dei circoli antifascisti (dai monarchici ai voltagabbana, ai fantasmi prefascisti) e dal tradimento e dall'incompetenza delle istituzioni militari, la Marina in testa (lo sguardo più limpido della visione militare riguardante Le operazioni in Sicilia e in Calabria è quello più volte (1983, 1989, 2004) edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito di Alberto Santoni).

      Come la Storia alla narrazione della storiografia, rancorosa - questa - o celebrativa ma sempre postuma di saccenteria, indifferente - l'altra - al mare delle ipotesi interpretative lo sbarco avvenne in Sicilia dove ad attendere l’armata alleata c’erano molti valorosi soldati italiani, poderosamente distribuiti tra Siracusa e Augusta sul fronte-mare, le spalle scoperte e, per il resto, scarsamente armati e aggrappati ad “istruzioni  per la difesa delle coste" emanate nel 1931 già “antiquate in origine”(Romeo Bernotti, ammiraglio designato d’Armata, La guerra sui mari nel conflitto mondiale 1943-45, Società editrice tirrena, Livorno 1954). I loro capi ritenevano  - secondo una vecchia strategia antifrancese - che lo sbarco sarebbe avvenuto sulle coste tirreniche tra Marsala e Trapani o tra Castellamare e Palermo e poi, forse, tra Licata-Porto Empedocle-Sciacca o a Catania o, infine, tra Gela- Pozzallo- Pachino. Gli Alleati non incontrarono una seria opposizione. Alexander dirà: “ Le divisioni costiere italiane, la cui capacità di combattimento non era stata mai giudicata molto alta, si disintegrarono senza quasi sparare un solo colpo, e anche le divisioni di manovra, incontrate successivamente si dispersero come foglie al vento. Frequenti furono le capitolazioni di massa”.

A Mussolini il ben servito del 25 luglio viene dato dopo l’incontro bellunese del 19 luglio di Feltre con Hitler  che , riconsegnatosi al suo antimediterraneismo, abbandonò l’alleato-amico, mortalmente abbracciato, alle inadeguatezze militari, alle deficienze dell’armamento dello Stato italiano.

Perché l’operazione Husky, nonostante sia stata condotta da una flotta di 3.200 navi, da 181.000 soldati iniziali che  raggiunsero il totale di 478.00 combattenti tale da essere considerata l'impresa " più gigantesca della storia mondiale"(Carlo D'Este,1943 etc., p. 119) fu un fallimento militare, conseguenza della sua estemporaneità progettuale?
Tra l'1 e il 17 agosto la Marina tedesca grazie all'intelligenza del barone Gustav von Liebenstein, Seetransporfuerher dal 28 maggio del 1943, riuscì (Operazione Lehrgang) a fare passare oltre lo stretto di Messina con 15 teste di ponte su ciascuna delle rive e con la protezione indisturbata di una forte contraerea tutte le truppe, tutti i mezzi di trasporto e tutto il materiale bellico che allungherà per altro tempo la capacità di resistenza dei tedeschi in Italia. 
Una "magnifica ritirata" anche per i soldati italiani, comandati dall'ammiraglio Barone e dal generale Bonacci. Ma dei 365.000 militari italiani, a riparare sulla costa calabra furono soltanto 62.000. I valorosi caduti assommarono a 4.688. Pochi furono imprigionati; molti andarono, anzi, restarono a casa, dopo avere, secondo gli ordini ricevuti, abbandonato le postazioni e le armi, distrutte parzialmente le difese.


Operazione Husky (il noto robusto cane da slitta dell’Alaska) per i militari, per Rodney Campbell (Operazione Lucky Luciano, Mondadori 1978) e Alfio Caruso (Arrivano i nostri , Longanesi 2004) fu un’operazione Lucky (Luciano di Lercara Friddi) o Lansky (Meyer, d’origine polacca), una roba da Cosa Nostra, della mafia siculo-ebraico-americana. Fu così che la Sicilia, la nostra terra di melenzane, entrò “nell’occhio della Storia” come un fastidioso moscerino o come un albero accecante, definitivamente e polifemicamente. La punta di diamante dello sbarco alleato fu forgiata a Melilli -attaccata in gemellaggio siamese ad Augusta -  che fornì i natali alla “Sezione Italia” dei suoi tre personaggi cardini: l’avvocato Vincent Scamporino, l’avvocato Victor Anfuso, Max Corvo “[…] cresciuti in due comunità del Connecticut, Hartford e Middletown, quest’ultima popolata in gran parte da emigrati di Melilli e di Augusta, che con Siracusa costituiva la principale piazzaforte marittima italiana” e che ignobilmente , “ignominiosamente” fu abbandonata prima che fossero avvistati i nemici. Non fu un’operazione militare quella dello sbarco in Sicilia, ma un’esibizione di quanto poté l’insieme “horrified” di alcuni agenti della Storia in Sicilia: massoneria, monarchia, Marina fedifraga (quella denunciata da Antonino Trizzino di Navi e poltrone e di Settembre nero e, più recentemente, da Carlo De Risio e Roberto Fabiani in La flotta tradita), ala montiniana del Vaticano, la mafia, i separatisti latifondisti, il Partito Unico Siciliano e tutte le sue melenzane che fanno l’antropologia sicula. L’operazione Husky degli Alleati partì dalla Tunisia. Potevano non scomodarsi. Anzi gli Americani e gli Inglesi se ne potevano stare a casa loro: la Sicilia era vinta prima di combattere e ci avrebbe pensato da sola a fare la Storia. Hitler aveva perso imparentandosi militarmente con Mussolini. La Sicilia li aveva perduti. A insaputa loro, di tutti! In quel luglio si fece l’Italia, conquistata Caltanissetta! E gli anglo-americani per stornare ogni sospetto di avere lavorato per la mafia, andavano costruendo il loro alibi (e quello della Storia con la “S” maiuscola), ammazzando un poco di gente siciliana a Caltagirone  dove Clio, la Musa figlia di Mnemosine, ispirava.

La mafia americana avrebbe facilitato lo sbarco e la conquista dell'isola. Non si capisce perché il generale Eisenhower, americano, non abbia voluto sfruttare - con la disperata costernazione di Winston Churchill, inglese - i favori di Cosa Nostra ritenendo che "la Sicilia andasse attaccata solo [sottolineatura nostra] se nostro scopo fosse quello di tenere aperte le vie di comunicazione attraverso il Mediterraneo. Se invece il nostro vero scopo era l'invasione e la sconfitta dell'Italia, allora egli pensava che nostri obiettivi iniziali dovessero essere Sardegna e Corsica ... dato che queste isole si trovano sul fianco della lunga penisola italiana e costringerebbero a una dispersione di forze nemiche in Italia molto maggiore della sola occupazione della Sicilia che si trova davanti alla punta montuosa dello stivale (in corsivo le parole di Eisenhower di Crociata in Europa, Mondadori 1949, utilizzate da W. Churchill per La seconda guerra mondiale. La campagna d'Italia, Parte V, volume I, Mondadori 1951, pp. 39-40). Incomprensibile il comportamento del comandante supremo americano che abbandonerà la sua monocrazia militare delle operazioni alleate dopo Torch, permettendo la condivisione con gli inglesi dell'Alto Comando. In prossimità dell'invasione Husky Churchill ritenne "necessario che gli inglesi fossero almeno alla pari coi loro alleati [...]. E questo ci fu molto di buon grado concesso dai nostri fedeli alleati", p. 41).
Se lo zampino della mafia ebbe un ruolo in quello sbarco, Cosa Nostra londinese fu! Diversamente non si capirebbe l'interesse di Churchill per la Sicilia e non si comprenderebbe il disinteresse di Eisenhower per la Sicilia! 

E  - fuor di ironia - Churchill, riprendendo i sogni ottocenteschi di Lord Bentinck e l'idea di una annessione della Sicilia a Malta e a Gibilterra strette in una sorta di Commonwealth mediterraneo, sin da prima dell'entrata in guerra dell'Italia pensava "robusto", husky. E senza la collaborazione della mafia che non era di casa a Londra, non era Cosa Nostra londinese! La ripresa o la resurrezione della mafia all'indomani della seconda guerra mondiale non è imputabile alla natura mafiosa di Husky quanto, invece, alla dissoluzione dei poteri istituzionali e all'allentamento dei valori civili sommersi dall'auto-promozione del potere informale dei ... "topi" scampati alle macerie, dei "topi" protagonisti delle macerie sociali e valoriali di ogni dopoguerra, degli "sciacalli" di ogni terremoto della Storia: uomini, topi e cani. In Sicilia il cane da slitta, Husky, sovvertendo il pronostico mussoliniano che l'avrebbe visto inchiodato a morte sulla battigia ( del Duce l'impropriamente bagnasciuga che dalla proprietà del linguaggio è deputato a definire la linea di galleggiamento di un qualsiasi natante), abbandonò il proscenio agli uomini e ai "topi". Tra gli uomini c'erano anche i comunisti, tenuti a bada da altri uomini,democristiani, monarchici, fascisti alleati con i "topi" mafiosi. "Topi" che verranno a farsi sovrani dopo - sottolineo dopo - la caduta delle istituzioni, nonostante i pesanti bombardamenti su Palermo che preparavano lo sbarco anglo-americano. Disponiamo di una testimone privilegiata come la Edda Mussolini che in una lettera al padre da Monreale dove si trovava nel maggio del 1943 come crocerossina scriveva di Palermo come di una città " a terra e ... semidistrutta. Il terrore è dipinto su tutte le faccie [sic!]... Dalle 2 in poi la città è deserta salvo per i militari e i pochi civili [che]  vivono lungo i margini della strada o dentro le grotte, sotto le rocce muoiono di fame e di freddo [...]. La popolazione civile da cinque mesi non vede la carne. Qui oltre al disordine e al bombardamento, è la fame vera, cronica da mesi [...]. C'è bisogno di medicinali, di indumenti, di mezzi di trasporto per fare sfollare questa povera carne da macello [...]. E' buona gente, così paziente, così pronta a riconoscere [...]"( Renzo De Felice, Mussolini l'alleato. L'Italia in guerra, Tomo secondo, Einaudi 1990, p.1149). Il terrore dipinto sulla faccia del terrorista mafioso sarebbe stato un grande gesto mimetico per bene sguazzare in quello stato di indigenza da cui ricavare opportunità illegali. Ma la Contessa, sensibile  a tutti i disastri di una contrada "lontana le mille miglia dalla Patria e dalla civiltà", non vedeva in quel marasma apocalittico mafiosi che avrebbero dovuto costituire una cosca assai folta di picciotti, se - come scrive la panmafiologia storiografica siciliana - fossero stati reclutati dagli americani per l'imminenza dell'operazione Husky. O c'è da supporre che come la fleet in being, anche la mafia fosse in being? E che, per quanto in being, in potenza, la mafia rurale dei gabelloti avesse una progressista funzione "storico-politica", era convinzione anche dei comunisti che pure saranno le vittime privilegiate nella lunga, interminabile vicenda del potere mafioso a partire dalle revolverate del 16 settembre del 1944 sparate a Villalba contro il dirigente comunista Girolamo Li Causi  da don Calò Vizzini, amministratore del feudo Miccichè della principessa di Trabia e Butera, Giulia Florio d'Ontes. Ruggiero Grieco una ventina di anni prima aveva distinto (in scritti del 1925 e pubblicati nel 1949 a Torino in Introduzione alla riforma agraria) la piccola mafia rurale (dei contadini senza terra o con poca terra) dalla grande mafia: "Nel processo dialettico della rivoluzione proletaria e contadina in Sicilia si andrà verificando lo spostamento delle masse di bassi mafiosi di origine contadina, sconfitti dal fascismo e dalla grossa mafia, verso il proletariato rivoluzionario. Questo avvicinamento deve essere favorito sul piano della lotta contro il feudalesimo e contro il regime capitalistico" (pp. 257-259). Il prefetto Mori al quale si riconobbe di avere messo la "mafia ai ferri corti" stava operando dal 1924 nell'attività repressiva del fenomeno basso-mafioso in difesa della sfera alto-mafiosa della rendita agraria. In termini di operatività politica d'opposizione la contraddizione tra gabelloti (piccoli mafiosi) e proprietari fondiari (grandi mafiosi) confortava la legittimità della lettura di Grieco e ispirava le pagine di Emilio Sereni che, esule a Nizza, tra la fine del 1942 e l'inizio del 1943 auspicava che "la maffia, in quanto forma semifeudale di una lotta di classe ancora embrionale ed indistinta [venisse] superata dallo sviluppo delle prossime lotte che l'Isola con il popolo italiano tutto era chiamata a combattere" (La questione agraria nella rinascita nazionale, pp. 250-1). I comunisti siciliani consequenzialmente scriveranno a firma di Euno Siriaco sul settimanale della Federazione Provinciale di Palermo,  La Voce Comunista del 14 maggio 1944: "I componenti della vecchia mafia, nella lotta per la conquista della terra, non avranno più bisogno di mettersi fuori legge; solo adattandosi ai nuovi tempi e ai nuovi bisogni di unione con tutti i lavoratori, essi potranno realizzare le loro aspirazioni ed emanciparsi economicamente come tutti contadini"(si veda di Sara Gentile, Mafia e gabelloti in Sicilia: il Pci dai decreti Gullo al lodo De Gasperi, in "Archivio storico della Sicilia orientale", 1973, pp. 491-508).

Don Petru Mistretta, ciabattino, di questa storia e di altre storie - secondo cui la mafia non si sa bene chi aiutasse, gli inglesi o gli americani, i comunisti o gli anticomunisti - "non capì niente: gli inglesi nello stesso giorno dello sbarco si erano impadroniti di Siracusa e di buona parte delle sua provincia, mentre gli americani avevano dovuto combattere per ben due giorni per consolidarsi attorno a Gela e quasi cinque per raggiungere Agrigento, da dove avrebbero preso la via per Palermo ... Storie di cui in tutti i paesi della Sicilia Occidentale, seduti sul marciapiede davanti al Circolo per scaldarsi al sole delle tiepide mattinate di primavera i vecchi, abituati a considerare la loro terra come al centro del mondo, parlano ancora novellando del buon tempo antico", le melenzane! (Leonardo Salvaggio, Sicilia. Quell'estate del '43, Morrone editore 2011, p. 11 e le pagine 20-32 per le sue considerazioni sulla Conferenza di Casablanca).

E lo sbarco italiano a Malta, rinviato nel 1942, si realizzò tra il 10 e il 13 Settembre del 1943, secondo le istruzioni contenute nel promemoria del commodoro, Roger Dick, capo di Stato Maggiore della Royal Navy (più precisamente della Mediterranean Fleet comandata dall'ammiraglio Andrew Cunningham). Il promemoria al suo paragrafo 4 completava l'articolo 4 dell'Armistizio corto del 3 settembre 1943 di Cassibile che imponeva il "[t]rasferimento immediato della flotta italiana e degli aerei italiani in quelle località che saranno designate dal Comandante in Capo alleato, con i dettagli di disarmo che saranno fissati da lui". Dick Roger indicava i porti di Gibilterra, Palermo, Malta, Augusta, Tripoli, Haifa e Alessandria.

Malta: destino d'Italia o frattale dell'Italia! Era questo il timore del Duce, palesato durante "un colloquio un po' vibrato" con il Re, secondo l'annotazione del 22 aprile 1940 consegnata al suo Diario dal conte Ciano: "L'Italia oggi è già di fatto una colonia britannica e che alcuni italiani sarebbero disposti a farla diventare tale anche de jure: una Malta moltiplicata per un milione di volte". E l'Italia sbarcò a Malta!

L'isola di Malta, con le sue baie e i suoi porti, non riuscì a contenere quello "sbarco" realizzato tra il 10 e il 13 settembre. Ne fu sopraffatta come la costa sud orientale della Sicilia del luglio precedente fu invasa dalla flotta alleata. A Malta sbarcò Badoglio con l'incrociatore Scipione l'Africano da cui scese per imbarcarsi e andare a firmare la resa sul quadrato della nave britannica Nelson, una corazzata. Fosse stata una portaerei Badoglio non avrebbe sottoscritto l'Armistizio lungo perché a Badoglio, come a Mussolini e a molti altri strateghi italiani la portaerei non piaceva. Intanto perché la deriva dei Continenti, della Pangea nel Panthalatta, aveva fatto della penisola italiana protesa sul mare una portaerei naturale. Poi perché il duce lungimirante aveva espresso nel Comitato degli Ammiragli dell'agosto del 1925 il suo parere di presidente del Consiglio e di Ministro - sia pure ad interim (l'interim ministeriale all'italiana!) fino al 1943, escluso il periodo settembre 1929/novembre 1933 occupato dall'ammiraglio Sirianni - della Marina che chiudeva fino al 1941 la questione: " In sostanza una nave portaerei è utile per un paese che intraveda la possibilità di una guerra oceanica; ma questo non è il caso nostro, perché condizione sine qua non per permetterci di affacciarci all'Oceano è quella di avere prima dominata la situazione mediterranea, il che potrà avvenire solo se, per un declinare della potenza francese, potessimo impadronirci delle sue colonie africane".  Di questo Mussolini - che in altre occasioni e nella dichiarazione di guerra del giugno 1940 ebbe a dire che il Mediterraneo era una "prigione" senza uno sbocco nell'Oceano da guadagnare sostituendo gli Italiani nel Mediterraneo ai Francesi del Nord Africa  - si ricorderà Badoglio quando nel 1930 dirà che la guerra sta terra terra e che la facevano "l'om, il mul, il fusil ed il canun" (Achille Rastelli, La portaerei italiana, Mursia 2001, pp. 89-90 e 76). Avevano ragione Badoglio, Mussolini e tutti gli Ammiragli italiani del Mediterraneo: quello della portaerei fu un insegnamento della guerra nel Pacifico che mise in risalto "la parte essenziale avuta dall'aviazione", dall'arma aerea che ebbe a prevalere "a tal punto da sconvolgere i concetti tradizionali del dominio dei mari. Dopo l'avvento delle navi a vapore, la nave corazzata armata con cannoni aveva conquistato il primo posto sullo scacchiere navale ed era stata tramutata, dall'aumento progressivo del tonnellaggio e del calibro dei pezzi, nell'unità-chiave, nella nave capitale di tutte le flotte del mondo. La potenza di una marina si misurava, ancora all'alba della seconda guerra mondiale, in base al numero delle corazzate, ma i primi mesi della guerra del Pacifico portarono a un cambiamento radicale, dimostrando che l'aviazione non soltanto minacciava la supremazia della corazzata, ma addirittura l'esistenza stessa di questo tipo di nave[...].La corazzata cedette quindi il passo, nelle flotte mondiali, alla portaerei, nave certo più vulnerabile per definizione, ma di gran lunga più efficace e, soprattutto, in possesso di armi che giungevano più lontano[...]. La guerra del Pacifico fu pertanto la consacrazione della portaerei al primo posto nelle flotte da combattimento[...]. Il numero, nonché la qualità delle portaerei che [gli americani] costruirono durante il conflitto, ebbero un'influenza determinante sull'esito finale della guerra" (Bernard Millot, La guerra del Pacifico, Rizzoli 2002, p. 1017). Nel Mediterraneo stanno a proprio agio il mul, il fusil, il canun e ... la melenzana.
                                          
   Dopo il 25 luglio del 1943 si approntò con lentezza inesorabile la strategia del ragno con la rete dei tradimenti. Mussolini tradito dai suoi vecchi camerati, i suoi vecchi camerati traditi da Mussolini per viltà e paura dei nazisti che avevano tradito i fascisti, la Monarchia tradisce tutti i fascisti, e quelli anglofili e quelli tedescofili, Togliatti tradisce la Resistenza proletaria e comunista dopo avere tradito con la "svolta di Salerno" l'antifascismo repubblicano. Ma è il marchio d'ingresso nella contemporaneità che fa dell'Italia una contrada di traditori, secondo una cospicua parte di storiografi: il "Risorgimento" ottocentesco fu un tradimento. Insomma,tutti tradirono tutti, lasciando noi in quelle condizioni di perplessità in cui si trovò Polibio,"traditore" in quanto greco filoromano, riflettendo sul suo caso e non trovando facile soluzione: "<Chi infatti deve essere propriamente considerato un traditore? La risposta è difficile>. A questa domanda - continua il grande studioso dell'antichità, ebreo, orfano dei genitori ammazzati ad Auschwitz, Pierre Vidal-Naquet - Polibio risponde dapprima in modo negativo. Non sono traditori - la cui condizione psicologica è il nomadismo del meticcio - coloro <che liberamente decidono d'accordarsi con re o dinasti o di cooperare con loro>. Nemmeno è traditore chi organizza un rovesciamento delle alleanze del proprio paese, pratica quanto mai frequente nell'ellenismo. Non sono quindi traditori un gran numero di uomini politici che invece vengono accusati precisamente di tradimento, come Aristainos, che nel 198 a,C. fece passare la lega achea dall'alleanza coi Macedoni all'alleanza coi romani. Più indietro nel tempo, Demostene aveva torto quando accusava tanti suoi contemporanei - peloponnesiaci, tebani, beoti - di tradimento a favore del re di Macedonia. Demostene confondeva gli interessi di Atene con quelli delle altre città greche". Il passo precedente è tratto da Il buon uso del tradimento, una sorta di biografia bibliopolitica del "traditore" ebreo filoromano Tito Flavio Giuseppe, autore-"traditore" della Guerra giudaica pubblicata tra il 76 e il 79. Come Alcibiade - di cui diremo - di eccezionali talenti era dotato Tito Flavio Giuseppe, già dottore in Legge a 14 anni, un Wunderkind (un ragazzo di meraviglie, prodigioso) - sottolinea Vidal-Naquet. Giuseppe consegna il tradimento ("tradisce" il tradimento) alla tradizione, restaurando l'etimo con il fare buon uso del "tradimento", immergendolo fino a sparire nell'alchinia semanticane da cui sortire come "tradizione". Capo dei Giudei in Galilea dopo l'insurrezione contro i Romani nel 66, caduta la città di Jotapata e rifugiatosi con altri suoi compagni in una caverna, a lui che proponeva la resa fu risposto che doveva farsi sgozzare da prode così come era stato pattuito in reciprocità e con l'estrazione a sorteggio ("il primo estratto verrà ucciso da chi sarà sorteggiato dopo di lui"). "O muori di tua volontà da comandante dei Giudei, o muori lo stesso, ma da traditore". Visse o sopravvisse da "traditore", da storiografo: scrisse di storia per consegnare ai posteri la memoria di quella guerra e delle Antichità giudaiche del 93. Alla fine del sorteggio era rimasto con un altro a formare l'ultima coppia di suicidi-omicidi. Così raccontò Tito Flavio Giuseppe: "Ma vuoi per caso, vuoi per provvidenza divina, restò alla fine assieme a un altro, e non volendo essere condannato dal sorteggio, né macchiarsi le mani con il sangue di un connazionale nel caso fosse rimasto per ultimo, persuase anche l'altro a fidarsi e a restare in vita".

Torniamo ai nostri tempi più recenti, alla nostra guerra. Nell'assai controverso saggio, L'Italia tradita. 8 settembre 1943, Ruggero Zangrandi concluse la sua ricerca sui protagonisti degli avvenimenti tra il 25 luglio e l'11 settembre del 1943, scrivendo che dal 1945 si perpetrò il "tradimento di tutto il Paese" su cui "si fondò la rinascita italiana". L'armistizio fu un affare sporco che vide attori e comprimari, vittime e carnefici, ispirati al tradimento, esaltati a tradire Roma indifesa, ad abbandonare al loro destino di soccombenti i "combattenti traditi". Il libro di Zangrandi del 1971 (Mursia), una riedizione del 1964, seguiva la pubblicazione di un altro lavoro, quello di Peter Tompkins, intitolato anch'esso Italy Betrayed, edito negli States nel 1966 e che riproponeva la tesi del 1964 di Zangrandi secondo cui si pattuì un accordo a non molestarsi tra Ambrosio, Badoglio e il re in fuga verso Pescara da una parte e dall'altra Kesselring. Questa la tesi di Zangrandi: "Quando si giunse al nodo dell'8 settembre e non si poté realizzare il progettato disegno di sicurezza (l'Italia divisa in due, press'a poco all'altezza della futura linea gotica, metà sotto tutela tedesca e metà sotto tutela anglo-americana), non si vide altra via d'uscita se non l'abbandono dei quattro quinti dell'Italia alla dominazione germanica. Donde la fuga a Brindisi, l'omissione di ordini di resistenza, il sabotaggio di combattimenti episodi ( come quelli di Roma), la più o meno tacita intesa con Kesselring e gli altri sotterfugi, inganni, pasticci (come quello concernente la consegna di Mussolini ai tedeschi) [...]. Era un nero tradimento ai danni dell'esercito e del paese" (p.11). 
Il testo di fondazione del tradimento, come distinzione antropologica italiana, per quel pezzo di storia contemporanea che viene inaugurato dalla caduta del fascismo, anzi, dalla destituzione di Mussolini è quello del fondatore del fascismo nel pamphlet mondadoriano, Storia di un anno, del 1944. Com "matematica esattezza" viene stabilito che dalla fuga di Pescara-Brindisi in poi "sarebbe stata considerata  come un' universale verità l'identità stabilita fra Italiano e traditore . A tradire furono in tanti e Mussolini, ispirato a Cesare Lombroso, fa il lungo elenco a partire dal Maresciallo d'Italia, Giovanni Messe (1883-1968) che pure non ha "la faccia del traditore. Non ha cioè il mento aguzzo o triangolare, il colore smorto, lo sguardo fuggente, le mani calde, non ha, cioè, nessuna delle caratteristiche somatiche che in ogni letteratura accompagnarono il tipo del traditore. La statura del Messe è alquanto al di sotto della media, la sua faccia è larga e aperta; l'occhio limpido che fissa l'interlocutore, il linguaggio preciso: vedendolo si conclude: ecco un galantuomo; cioè un uomo sincero e leale. Viceversa, il Maresciallo Messe, è veramente uno dei più classici e odiosi traditori fra tutti coloro che Badoglio ha allevato...". E si continua con l'ammiraglio Pavesi, con il comandante della Piazza di Augusta per proseguire con Dino Grandi, con i gerarchi del Gran Consiglio che votarono l'ordine del giorno Grandi, con il Re, con Badoglio, il "più volte traditore": tutti insieme a comporre il disegno di un'Italia che ha tradito, "l'Italia come dato storico, geografico, politico, morale".L'Italiano che se non tradisce muore di noia. E per non morire di noia, tradisce anche se stesso, si auto-consegna alla spensieratezza o al luogo comune!                                   

                                               ***

Continuando, quello che ora seguirà non è (e non può essere) un elogio dell'italiano "badogliato" o del traditore, agente innovatore, verosimilmente, di Storia e procacciatore di "progresso" al cui profilo ha già pensato in un velocissimo libercolo Christian Petr, Elogio del traditore (Etcetera 2008) da cui citiamo:" Più avanzavo verso la frontiera, - mi confessò [Pierre] - più il cielo diventava azzurro. L'orizzonte mi sembrava più ampio, la visibilità migliore. Al momento di attraversare la linea, ebbi l'impressione di trovarmi fra due vite. Mi ero sbarazzato dei vizi e delle delusioni della prima, ignoravo quasi tutto della seconda. Ma tra le parole biascicate che laggiù sentivo e che iniziavo a comprendere scorgevo già qualche prodigioso avvenire. Oltrepassata la frontiera, Pierre si voltò. Il cadavere di quello che era stato e che vedeva da lontano lo disgustò come ci disgustano i rifiuti[...]. E il mondo su cui giacevano le sue spoglie gli fece orrore". Ma non è questo il campione dei traditori assoluti, quanto l'altro che non si separa dal mondo "tradito", non è ab-soluto dall'ambito di provenienza, assoluto perché non ab-soluto: "Lungi dal temere il peso in eccedenza, [i traditori assoluti] si portano dietro il loro  passato. Divisi per un momento fra le due parti di loro stessi - quella tradita e quella che tradisce - avanzano funamboli audaci e tesi, sul filo che li porterà a riconciliarle e a realizzare la loro unità attraverso un lento e appagante lavoro di trasformazione su loro stessi e sul mondo. Senza privarsi di nulla, questi traditori sono gli unici veramente degni di elogio perché sublimandole, trasportano nella nuova vita le loro attività precedenti. Il tradimento è per loro un godimento perfetto..."(pp. 33,34,35). Fin qui Petr. 
Noi con partecipazione spassionata, lontani da encomi e da vituperi, tratteremo, come l'entomologo con l'insetto  o il polemologo con la guerra, del "traditore", quale strumento bellico alla pari di un carro armato o di un fucile mitragliatore, a-morali ma pertinenti come la golpe e il lione della cratologia del Machiavelli. 

Una raccomandazione antica dell'arte o del mestiere della guerra - così come la formulò il generale cinese, Sun Tzu, vissuto tra il VI e il V secolo a.C., ma prezioso parecchi secoli dopo per il corso Napoleone e  per il connazionale Mao Tse-Tung  - predispone lo stratega alla "precognizione" (hsien-chih: "conoscenza anticipata" o informazione tràdita, consegnata, tradìta) e allo sfruttamento cinico della forza dell'avversario, sottraendogli viveri, territori, armi e intelligenze non solo militari. Per assumere iniziative vincenti e "trionfare sugli avversari uno solo è lo strumento: la precognizione fornita da cinque tipi di "intermediari" o agenti segreti che siano: "agenti locali, agenti interni, agenti del controspionaggio, agenti letali e agenti di sicurezza[...]. Se l'armata desidera colpire l'avversario, o attaccarne le fortezze o ucciderne i soldati, è necessario conoscere in anticipo la linea difensiva del comandante della guarnigione nemica, chi sono i suoi assistenti, i consulenti, gli accoliti[...]. E' necessario esaminare gli agenti segreti del nemico, e fare in modo che avvicinino i nostri: saranno allettati da una prospettiva vantaggiosa e stimolati a trovare asilo nel nostro paese [...]" ( in Arte della guerra e della strategia a cura di Leonardo Vittorio Arena, Rizzoli 2008, pp. 115 e 117). Si comprano i nemici come ben programmerà Badoglio per la conquista dell'Etiopia, raccomandando "a fianco dell'azione delle truppe, quella dell'oro di cui dovrà essere abbondantemente provveduto il comandante per corrompere e assoldare capi che già inizialmente poco solidi finiranno per cedere alle lusinghe con speranza di afferrare qualche beneficio nel caos della disfatta"(cit. a pagina 435 del Pietro Badoglio, di Piero Pieri e Giorgio Rochat, Mondadori 2002). 

Non sono traditori, ma attori (a pagamento o meno) della precognizione, pre-cognitori, ricognitori precoci, di anticipata sapienza cognitiva come Wilhelm Franz Canaris (1887-1945), ammiraglio al comando per dieci anni (1935-1944) dell' Abwher, il controspionaggio tedesco, che fu giustiziato in maniera spregevole, strangolato con una corda di pianoforte per "tradimento". Lui si riteneva tradito e passava informazioni agli inglesi per servire la sua patria, tradita da Hitler. Non si può dare torto a Victor Hugo che scriveva in Qatrevingte-Treize: "[...] dans la politique [e nella guerra che è la politica armata] il y a la trahison de m^eme que dans la panoplie il y a le poignard". Ma nulla di più comodamente traditore è la credenza nel tradimento: gli Inglesi mascherarono il loro sistema di decrittazione come se fosse opera di agenti loro in territorio nemico. Inventarono una presunta spia italiana, "un certo generale Duberto che nel 1942 forniva notizie sui movimenti delle truppe italo-tedesche in Africa, contribuendo certamente a fuorviare i servizi di controspionaggio dell'Asse circa la vera origine delle informazioni inglesi eventualmente riconosciute"( Alberto Santoni, Il vero traditore, Mursia 1981, p.49). L'Asse controspionisticamente ruotava attorno a se stesso come il cane che si cerca la coda, mandava e riceveva messaggi da sé a se stesso per scoprire la spia che non era un uomo, che non era una donna, Elizabeth Thorpe, seduttrice di un ammiraglio italiano del S.I.S.), ma era una macchina. Un'arma letale: quando non c'è, bisogna inventarla! E furbescamente gestirla come avvenne nel caso ULTRA: "Al costante scopo di tenere rigorosamente celata l'esistenza di uno Special Intelligence, nessun'azione offensiva veniva intrapresa contro bersagli rilevati dalla G.C.&C.S. [Government Code and Cipher School ospitata a Bletcheley, poco noto paesino del Buckinghamshire, vicino Londra] fintantoché non fosse stata palese un'altra fonte informativa, quale, ad esempio, la ricognizione aerea o navale, o le risultanze radiogoniometriche", date a conoscere al nemico.

Nella zoopolitologia machiavelliana de Il Principe il ruolo protagonista della forza bestiale lo interpreta la volpe, la golpe,sopravanzando il lione, perché "sendo [...] necessitato uno principe sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione; perché el lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi; bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi:[ma] coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendono". A buon intenditore non fa velo che in questo capitolo (XVIII. Quomodo fides a principibus sit servanda) l'eroe principesco nell'arte del governo (e del governo della guerra) è il "traditore". Leggiamo ulteriormente: " Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservarer la fede quando tale osservanzia gli torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E se li uomini fussino tutti buoni [in guerra e in politica che sono sinonimi, l'una politica armata, l'altra guerra disarmata], questo precetto non sarebbe buono: ma perché e' sono tristi e non la osserverebbono a te, tu etiam non l'hai a osservare a loro; né mai a uno principe mancorno cagioni legittime di colorire la inosservanzia. Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni e mostrare quante pace, quante promisse sono state fatte irrite e vane per la infidelità de' principi: e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare". Chi bene intende non si fa scrupoli. A' la guerre comme à la guerre!

Hitler, lione, aveva già preparato, volpinamente,  a completamento della sua "pre-cognizione" nel maggio del 1943, il piano "Alarico" di occupazione dell'Italia che prevedeva la cattura della flotta italiana (Achse), il disarmo dell'esercito italiano (Schwartz), l'eventuale liberazione di Mussolini dalla prigionia monarchico-antifascista (Eiche) e il controllo di tutto il territorio italiano (Student). Cosa che in parte si avverò con la creazione della Repubblica Sociale Italiana di Salò.

 La nostra flotta militare si reputava orgogliosamente un'Orca marina, uno spietato e implacabile pesce predatore: andò trasformandosi durante le ostilità in una "magnifica preda" - per dirla con Winston Churchill, citato a chiusura del suo saggio da Trizzino. Per l'onore della Marina - fu quello del 1943 - un Settembre nero (Longanesi 1968).
Non per l'ammiraglio Priamo Leonardi, comandante della piazza militare marittima Augusta-Siracusa (un fronte a mare di 91 km) dall'8 giugno del 1943 che, con il capo di Stato maggiore, ammiraglio Luigi Gasparrini, ordinò alcune ore prima dello sbarco Husky, la distruzione degli impianti relativi al presidio costituito dal 75° Reggimento Fanteria “Napoli” con base a Palazzolo Acreide, dal 121° Reggimento di Fanteria Costiero (circa 3000 soldati ) sul 246° Battaglione Costiero sul fronte a mare nella zona di Augusta, sul 385° Battaglione Costiero sul fronte a mare nella zona di Siracusa, sul 504° Battaglione Costiero sul fronte a terra zona Augusta-Melilli, sul 540° Battaglione Costiero sul fronte a terra zona Belvedere- Grottone. E, ancora, facevano parte del presidio 
un  treno armato, l'80° Batteria da 76/42 (Penisola della Maddalena), un battaglione di marinai, un reparto di avieri per la difesa dell’idroscalo, 5 nuclei antiparacadutisti, 5 posti di blocco armati con un cannone 149/13 in funzione controcarro, 5 pezzi di artiglieria per la difesa controcarro, un centro Radio a Melilli, 2 pontoni armati, 22 aerofoni e 15 fotoelettriche. Un settembre nero, annunciato da un luglio fosco, ma non per Priamo Leonardi che il 27 marzo del 1947 riceverà dalla Repubblica Italiana la Medaglia d'Argento al Valore Militare quale esempio di alto senso del dovere, tenace fermezza e coraggioso slancio. Di slancio e d'intelligenza, invece, fu ridotta a non-nuocere una terrificante fortezza inespugnabile, grazie all'attività di Intelligence alleata che annoverava - realmente o verosimilmente (capita che la realtà storiografica o criminale sia simile al vero quando non è documentata) - tra i suoi elementi, militari come Leonardi o Franco Maugeri (1898-1978), ammiraglio del Servizio Informazioni Militari Segrete, capo del SIS della Marina dal maggio 1941al settembre 1943, premiato nel 1948 con la Legion of Merit dal governo degli States per avere reso " superiori servizi al governo degli Stati Uniti, in qualità di capo del servizio informazioni navali". Dopo il 25 luglio ebbe l'incombenza del trasferimento di Mussolini da Roma a Gaeta, a Ponza e poi alla Maddalena in Sardegna. Del marinaio e monarchico Franco Maugeri (con Victor Rosen) fu pubblicato a New York nel 1948 un libro autobiografico dal titolo From the Ashes of Disgrace. "L'inverno del '42-'43 trovò molti di noi che speravano in un'Italia libera, di fronte a questa dura, amara dolorosa verità: non ci saremmo mai potuto liberare delle nostre catene se l'Asse fosse stato vittorioso[...]. Più uno amava il suo Paese, più doveva pregare per la sua sconfitta nel campo di battaglia[...] Finire la guerra, non importa come, a qualsiasi costo": è questa la traduzione in italiano di alcune frasi del libro citato e che saranno riprese nel libro appresso indicato : "[...] bisognava fargli[ al Re] comprendere anche che il nostro popolo, pur di liberarsi di Mussolini, pregava per la vittoria degli alleati". Per tanto il settimanale satirico Asso di bastoni accusò il Maugeri di essere un traditore prezzolato ("di avere tradito l'Italia facendo opera di spionaggio prima dell'8 settembre 1943, determinando la morte di migliaia di marinai; di averlo fatto per abietti motivi di lucro personale"). La cosa finì lungamente in Tribunale. Chiunque che non sia un repubblichino postumo e inconsapevole ( a differenza del consapevole saloino Borghese ("un ribelle che non obbediva più al Re") il quale dal settembre del 1943 gli dava la caccia accusandolo di "avere confidato agli inglesi, prima dell'armistizio, importanti segreti e che per questo servizio avevo ricevuto molte migliaia di sterline in oro" - è Maugeri a dirlo a pagina 186 del suo diario) chiunque - ripeto - vedrà nell'ammiraglio Maugeri, un limpido partigiano, un  monarchico della Resistenza antifasci-nazista, anti-repubblichina. Nel diario, Ricordi di un marinaio, pubblicato da Mursia nel 1980 dopo la morte, Maugeri mostra le ragioni di un militare il cui senso dell'onore e la cui intelligenza politico-professionale lo ritraggono sempre su posizioni antifasciste e antitedesche. Con mille riserve sull'operato di Mussolini a cui viene addebitata (non solo dall'Ammiraglio ma anche da Grandi, Bottai, Ciano per citare i più qualificati fascisti non mussoliniani) la responsabilità della dichiarazione improvvida di guerra del giugno 1940, Franco Maugeri lealmente compiva il suo dovere, nonostante che la Marina, con la "deficienza maggiore della mancanza di portaerei ... avesse fatto tutto il possibile per dissuadere Mussolini dal partecipare al conflitto, e comunque chiese di ritardare al massimo la nostra entrata in guerra". L'anglofilia di tutta la Marina, eccettuata la X flottiglia dei motoscafi antisommergibili, MAS (Memento Audere Semper) di Junio Valerio Borghese, poggiava su "un elemento psicologico [e storico-risorgimentale]di grande rilevanza: prima e dopo la grande guerra 1915-1918 avevamo sempre considerato la marina britannica come una naturale alleata, o quanto meno una marina amica. E' vero, la guerra di Etiopia ed il "patto di acciaio" avevano creato delle frizioni non lievi tra i due paesi; ma giammai in marina si era pensato che avremmo combattuto la flotta inglese: tutti i nostri piani di guerra erano basati sulla certezza che in qualunque caso di conflitto, avremmo combattuto gli uni a fianco degli altri".

I vincitori non sono "traditori", a loro va il premio della vittoria; non sono perdenti, traditi, consegnati, tràditi, alla pena della sconfitta. I vincitori non saranno mai heautontimorumenoi, punitori di se stessi. E' questione di intelligenza, Intelligence! Non uno di chi 'tradì'- ma si tradisce, a volte, per non tradirsi, per non consegnarsi a una moglie bisbetica, a un'ideologia avariata, ad amici suonati - non uno subì pena antifascista e questo, in virtù dell'articolo 16 del "Trattato di Parigi" del 10 Febbraio 1947 che - opportunamente citato da Salvaggio (p. 504) - recitava (e completava l'articolo 32 dell'Armistizio lungo del 29 Settembre 1943): ''Lo Stato italiano non incriminerà o altrimenti perseguirà i cittadini italiani, particolarmente gli appartenenti alle Forze Armate per il solo fatto di avere, durante il periodo intercorrente dal 10 Giugno 1940 alla data di entrata in vigore del presente Trattato, espresso simpatia od avere condotto direttamente o indirettamente un'azione a favore della causa delle Potenze Alleate e Associate''. 
Per il magistrato ordinario il merito presso gli americani fu tradimento, per il magistrato militare si optò per l'assoluzione, visti gli altissimi servigi per la causa dell'antifascismo!(Alfio Caruso, L'onore d'Italia, Longanesi 2011, p.38).
Fu fortunato Roosevelt a morire il 12 aprile del 1945, prima della conclusione della seconda guerra mondiale. Sapeva - secondo quella complottologia misterica che addebiterà agli stessi americani la distruzione delle due Torri dell'11 settembre del 2001 - dei preparativi nipponici ma non diede disposizione alcuna per forzare la mano all'isolazionismo antieuropeo di lunga durata e che si opponeva  all'ingresso in guerra dell'America a fianco dell'Inghilterra. Permise all'ammiraglio Nagumo di raccogliere nelle isole settentrionali delle Kurili l'immensa flotta dell'Impero del Sol Levante, ordinando ai sommergibili di disporsi al largo delle Hawai, a corona. Sarebbe stato incriminato per avere lasciato che si realizzasse la tragedia dell'attacco nipponico a Pearl Harbor. Un traditore della Patria nel dicembre del 1941 che si sarebbe riscattato con la risposta di Midway nel giugno del 1942, l'ammiraglio Chester W. Nimitz contro l'ammiraglio Isoroku Yamamoto: avrebbe il Presidente tradito gli States per spingere gli americani alla dichiarazione di guerra contro il Giappone fino alla conquista definitiva americana di Guadalcanal che ridusse i Giapponesi alla difensiva sul Pacifico. Insomma, una sorta di paradosso del mentitore applicato al traditore che tradisce per non tradire: se tradisce, non tradisce e se non tradisce, tradisce!

Priamo Leonardi campò cent'anni, quasi. Scampò agli articoli 51 (Aiuto al nemico), 84 (Parificazione degli Stati alleati a quello italiano) e 103 (Resa), usato per gli ammiragli Campioni e Mascherpa, del Codice Penale Militare di guerra: "Il militare, che commette un fatto diretto a favorire le operazioni del nemico ovvero a nuocere altrimenti alle operazioni delle forze armate dello Stato italiano, è punito con la morte con degradazione[...]. La pena si applica quando il reato è commesso a danno di uno stato alleato con lo stato italiano". I due Stati alleati erano quelli di Italia e Germania, traditi  - nel racconto di Trizzino de Gli amici dei nemici, (Longanesi 1969) - dai generali italiani nelle battaglie dell'Africa settentrionale contro gli inglesi della seconda guerra mondiale. Priamo Leonardi subì nel maggio del 1944 a Parma un processo in contumacia nel Tribunale speciale per la difesa dello Stato, costituito il 3 dicembre del 1943. Fu condannato a morte con fucilazione alla schiena in quanto "traditore" assieme a Gino Pavesi che aveva consegnato nel giugno del 1943 agli Alleati l'isola di Pantelleria. Furono fucilati al petto all'alba del 24 maggio 1944 gli ammiragli Inigo Campioni e Luigi Mascherpa, comandanti dell'Egeo e della base dell'isoletta di Lero. 

Sin dal 10 giugno, giorno della dichiarazione di guerra dell'Italia, da Badoglio a tanti altri alti ufficiali del Superesercito, Supermarina, Superaereo, veniva confermato un "contegno difensivo", un atteggiamento bellico... non bellicoso,anzi, bellico, ma contro la propria parte. Il primo a rimetterci la vita per non averlo capito  - ma gli agenti sono bravi a non scoprirsi per scoprire, a capire e a non essere capiti - pare sia stato il Maresciallo Balbo, Governatore della Libia e Comandante Superiore delle Forze Armate in Africa Settentrionale. Cadde, sospettato di tradimento anglofilo e unico vero antagonista di Mussolini, a Tobruk il 28 giugno con un trimotore italiano, abbattuto a duecento metri da terra dalla contraerea italiana, come se fosse stata guidata da un comandante inglese, da un agente inglese. Si cominciavano a contare i morti della seconda guerra mondiale per quell'aspetto di "guerra civile" tra fascisti all'italiana e fascisti all'inglese o all'americana, tra l'anticomunismo di Churchill e di Roosevelt e quello mussoliniano.

    In guerra uccidere un uomo è un'azione eroica, tradire il proprio paese - beninteso, per valori superiori a quelli della geografia! - è attività di Intelligence che non può essere considerata disonorata, se essa figura ai primi posti - quinta colonna - ** nella strategia dei Ministeri della Difesa, nella Strategia militare. La Germania ebbe al suo fianco i collaborazionisti, dall' Hitler della Norvegia, il nazionalista Vidkun Quisling, al francese,socialista, Pierre Laval, quattro volte primo ministro, fucilato nell'ottobre del 1945 per l'ultimo suo premierato (aprile 1942-agosto 1944), capo degli "esecutori  - li chiama nel suo trattato di polemologia Gaston Bouthoul, Le guerre, (Longanesi 1982) - del tentativo di colonizzazione intellettuale della Francia fatto dal nazismo". In guerra avevano (e hanno) la funzione del cavallo di Troia quegli attori che i paesi belligeranti muovevano (e muovono) nei paesi nemici, avendo lo stesso valore dei carri armati Sherman, schierati contro le difese nemiche e ai quali viene richiesto lo svolgimento di alcuni importanti compiti (cinque ne enuclea Bouthoul): "1) Un'intensa propaganda che cercasse di abituare l'opinione pubblica ad ammettere la supremazia dell'avversario e a rendere assurda ai suoi occhi l'idea stessa di resistergli. 2) Far nascere nel paese nemico un partito ai cui aderenti si prometteva la supremazia politica e di metterli, dopo la vittoria, ai posti più alti dello stato[...].3) Istigare alla ribellione le minoranze etniche o linguistiche, facendo creder loro, anche contrariamente all'evidenza, che erano oppresse [tutta la Sicilia fu incoraggiata ad auto-rappresentarsi come territorio etnicamente separato e politicamente oppresso dall'Italia continentale]. 4) Acquistarsi la simpatia di uno o di parecchi partiti politici, ai quali si prometteva di liberarli per sempre dai loro avversari e di dar loro il potere assoluto[...]. 5) Presentare la guerra sotto un aspetto di politica interna[...]. L'insieme di questi metodi si riassume in un'unica espressione: la quinta colonna per cui "ogni belligerante cerca, prima di dichiarare la guerra, di appoggiare o magari di creare nella popolazione del suo avversario un partito che gli sia devoto e tenta di suscitarvi una corrente di pubblica opinione che metta d'accordo  i suoi interessi materiali con le simpatie verso il nemico" (pp. 188-189). Sono gli spioni, i doppiogiochisti. In Marina ce ne furono tanti. Persone speciali per status sociale e spregiudicatezza intellettuale come il professor Antonio Canepa o Badoglio o i molti ammiragli del luglio 1943. Come Alcibiade (450-404 a.C.), allievo e amante di Socrate, ricco, bello, geniale, gran seduttore di donne, sfrenatamente desideroso di volere essere sempre il primo, che passò da Atene a Sparta e di nuovo ad Atene per intelligere, poi, con i Persiani per mano dei quali finì anzitempo i suoi giorni, non ancora cinquantenne. 
    Plutarco racconta che Alcibiade "una volta, nella lotta, semi-soffocato dall'avversario, per non cadere, si tirò verso la bocca le braccia del rivale, e gli azzannò le mani. L'avversario, mollata la presa, protestò:<Alcibiade, tu mordi come le donne!>. <No>, fu la risposta, <come i leoni>. Alcibiade non era una donna, ma un leone. Non erano traditori, ma guerrieri, prima con l'Asse, dopo contro l'Asse. Prima, Alcibiade e dopo, Alcibiade! E qui, per questa nostra storia, cade in taglio la versione femminile dell'eroe dell'eccellenza ateniese-spartano-persiano: Hildegard Burkhardt o Frau Felizitas Beetz (1919-2010), bella, intelligente, colta e spia nazista contro il "traditore" Galeazzo Ciano di cui si innamora e che,usando il tradimento a danno di chi l'aveva impiegata per tradire il genero di Mussolini, tenta invano di salvare dalla fucilazione a cui lo condannerà il tribunale "hitleriano" di Verona. L'eccellenza ispira il "tradimento" tanto più "abietto" quanto più eccellente si reputa il traditore. E per, questo,il nazista ariano trad'  per eccellenza di abiezione l'alleato fascista. Tutto il lungo saggio di Kuby è un'illustrazione dei ripetuti tradimenti tedeschi a danno degli Italiani. Il culmine si ebbe con l'operazione Sunrise, una definizione aurorale, ovviamente, riguardando la razza eletta europea e gli americani, la prima rappresentata dal generale delle SS, Karl Wolff, i secondi dal capo dei servizi segreti americani, Allen Dulles. Tedeschi, inglesi e americani con la mediazione  del cardinale Ildefonso Schuster, si misero d'accordo, intorno al marzo del 1945, in un modo che "non è possibile non qualificare di disonesto, proditorio, abietto" contro "Mussolini e i suoi ministri [che] furono piantati in asso"(p.580), abbandonati alla vendetta dei partigiani.

    Machiavelli nel suo Principe (capitolo XII) si prefiggeva di dimostrare quanto fosse "infelice" affidarsi ai mercenari e sottolineava la diabolica inaffidabilità dell'eccellenza. Dei capitani di ventura mercenari - ma la considerazione va estesa a tutti i capitani di Partito, di Azienda, di Redazione giornalistica, di Università (ove contro l'allievo-traditore si alleva l'allievo-cretino traditore, ove si pratica contro il tradimento la legge della cooptazione del cretino spinto in alto per non tradire il cooptante fino a raggiungere vette altissime di cooptazione cretinica. A quella altezza il cooptante è talmente cretino da reclutare un allievo intelligente che lo tradirà per dare inizio alla cooptazione del cretino crescente e fedele).Torniamo a Machiavelli che contro l'infida eccellenza suggeriva al Principe, al capo, al direttore di Dipartimento, al segretario di Partito di contornarsi di uomini "sufficienti" e "fedeli", cioè servili e corrotti o servili perché corrotti [...] el principe, per mantenerlo buono, debba pensare al ministro onorandolo, faccendolo ricco, obligandoselo participandogli gli onori e carichi: acciò vegga che non può stare sanza di lui e che gli assai onori non li facccino desiderare più onori, le assai ricchezze non gli faccino desiderare più ricchezze, li assai carichi gli faccino temere le mutazioni"(cap. XXII).  " E capitani   - [da Machiavelli vengono espressamente specificati quelli di ventura, ma gli uomini di potere eccellenti hanno lo stesso status antropologico del merceneraio e corrisponde - come sanno gli studiosi del grande fiorentino - al ritratto di Annibale fatto da Tito Livio :" nihil veri, nihil sancti, nullus deum metus, nullum ius iurandum nulla religio (nessun rispetto per la verità,né per la santità,nessun timore degli dei, pronto a rompere qualsiasi giuramento, senza scrupoli religiosi)] - e' capitani mercennarii, o sono uomini eccellenti, o no: se sono, non te ne puoi fidare, perché sempre aspireranno alla grandezza propria, con l'opprimere te che li se' patrone [...]". Non sarà loro tributata gloria, ma saranno sempre al potere, mai abbattuti, mai atterrati come  i misirizzi. Scriveva il fiorentino: "Non si può ancora chiamare virtù amazare i suoi ciptadini, tradire gli amici,essere sanza fede, sanza piatà, sanza religione: e quali modi possono fare acquistare imperio ma non gloria"(cap.VIII). E' questa l'identità del guerriero eccellente: l'identità, questa mala bestia, contro la quale vanno lette le seguenti parole di Friedrich Nietzsche: " Noi dobbiamo diventare traditori, commettere infedeltà, abbandonare sempre di nuovo i nostri ideali. Non possiamo passare da un periodo all'altro della vita senza causare questi dolori del tradimento e senza anche, a nostra volta, soffrirne". 

    Ma si può essere traditori contro l'innovazione, per amore e fedeltà ai valori patrii come nel caso,1728 dell'era cristiana, di Zeng Jing che tradisce la dinastia manciù, barbara, dei Qing per lealismo nei confronti della dinastia Ming. Aveva legittimato il suo tradimento con la legittimazione del tradimento di un ministro d'epoca preconfuciana, Guan Zhong che non si era suicidato dopo l'assassinio del suo signore, innovatore, fratello, del suo carnefice,tradizionalista, al cui servizio Guan Zhong si pose.E Confucio un paio di secoli dopo giustificò Guan, il traditore, che aiutò l'usurpatore fratricida, a imperare sul popolo cinese:'Se non fosse stato per Guan Zhong, noi andremmo con i capelli sciolti sul dorso e l'abbottonatura degli abiti a sinistra'. Da Confucio Zeng Jing "aveva tratto la conclusione che nella mente di Confucio la capacità di difendere i valori della civiltà cinese contro gli assalti dei popoli barbari stava più in alto dell'obbligo di un ministro di servire il suo signore con fedeltà assoluta". Ma Zeng Jing tradirà - a favore della novità della dinastia sopravvenuta - il suo tradimento  con l'abiura del suo lealismo a favore dell'imperatore manciù Yongzheng che lo grazia, salvandolo dal castigo previsto per l'alto tradimento, consistente nella morte lenta per progressiva mutilazione del reo,  nella decapitazione o strangolamento per tutti i parenti maschi dai sedici anni in su, nell'esilio o riduzione a schiavitù per le donne e i maschi minorenni (tutta la faccenda è raccontata da Jonathan D. Spence, Il libro del tradimento, Adelphi 2006. Per i passi citati v. p. 221).

    Adamo ed Eva tradirono Dio per il serpente. Cristo tradì la religione dei suoi Padri. Tradì per restare fedele a se stesso! Giuda l'Iscariota tradì Gesù a favore degli Ebrei, eletti da Dio e negletti/traditi da Cristo. Se ne sarebbe addolorato Giuda che consegnò Gesù ai capi del Sinedrio e ai Romani di Ponzio Pilato, martire per la Chiesa Copta e santo per quella Etiopica, perché se ne facesse un eroe sacrificale del nazionalismo ebraico e si alimentasse l'insurrezione "antimperialista degli Zeloti. E qui cade in taglio L'opera del tradimento di Mario Brelich (Adelphi 1975) che vede in Giuda, indiavolato da Cristo, il responsabile di un atto adiaforon, eticamente irresponsabile ma storicamente necessario all'avvento del cristianesimo. Piace citare (p.221) un lungo passo in cui Auguste Dupin presenta le sue argomentazioni all'io narrante del saggio sopra richiamato:"In tutte le mitologie[...] se non è proprio un dio (ma il più delle volte contrastato da altri dèi) a regalare nuove condizioni di vita agli uomini, generalmente sono essere ribelli, titani, semidei, eroi che, con un gesto spavaldo e noncurante delle conseguenze, carpiscono con la forza o con la scaltrezza i più grandi beni, fino a quel momento patrimonio gelosamente custodito degli dèi e successivamente elementi basilari del progresso umano.Basta ricordare in proposito il mito di Prometeo che rubò il fuoco[...]. Secondo il mito ebraico, furono gli angeli decaduti, compagni di Satana,a far conoscere le scienze e le arti agli uomini, e se a questo aggiungete che i fondatori delle prime civiltà furono discendenti del maledetto Caino, non troverete difficoltà a cogliere la stretta connessione del progresso con il Male, della Storia con il Diavolo" e di Lucifero con Giuda, il traditore. Il tradimento, per quanto adiaforon, tecnicamente neutro come il pugnale di Balzac, è una "virtù" diabolica, anzi, divina: e Dio fu l'Iscariota che tradì Gesù, almeno secondo la lettura proposta da José Saramago ne Il Vangelo secondo Gesù Cristo (Bompiani 1993 e ribadita da Giulio Giorello nel suo Il tradimento (Longanesi 2012).

    Non è il disvalore "demoplutocratico" dei fascisti il tradimento, non è la maschera reazionaria della borghesia recitante nel teatro della purezza eroica del proletariato comunista. Il lungo viaggio verso l'antifascismo fu costellato da apostasie e tradimenti, da resistenze conventuali che ospitavano - come ha raccontato nel suo magnifico libro postumo, La Resistenza in convento (Einaudi 1999) Enzo Forcella - i fuggiaschi dalla storia (meglio: dalla guerra): una strada costruita dai marmi pregiati dei partigiani in armi e da materiali di risulta, per sentieri interrotti, balzi lineari e acrobazie carsiche. Il tradimento è un arma del vincitore (e del vinto), fu un valore di fondazione dell'antifascismo internazionale nel caso del bombardamento atomico. Truman - che aveva preso il posto di Roosevelt - il 24 luglio aveva informato Stalin della intenzione di sganciare l'atomica. E i Sovietici lo stesso giorno della seconda atomica su Nagasaki, il 9 agosto, attaccarono il Giappone in Manciuria, in Corea e nell'isola di Sakhalin. Il tradimento come il pugnale della panoplia di Hugo è,dunque, un'arma di quell'arsenale cui appartiene la bomba atomica, in due esemplari del "Fat man" e del "Little boy", lanciata il 6 e il 9 agosto del 1945 su Hiroshima e Nagasaki che uccise 200.000 persone e che convinse l'imperatore giapponese a desistere dall'idea di essere un divino discendente della dea solare e a farsi "simbolo" laico dello Stato. Quella bomba aprì il viaggio dal Tennosei-fashimuzu ("fascismo del sistema imperiale") alla democrazia nipponica, battezzata dallo "shogun dagli occhi azzurri", il generale Douglas MacArthur:
    l'antifascismo atomico. 

    Chi può dire che il "tradimento" della Marina italiana sia stato più nefasto dell'atomica americana (o democratica) in Giappone? Pantelleria e Augusta del 1943 contro Hiroshima e Nagasaki del 1945: la resa della Marina italiana contro la resistenza a oltranza della Marina giapponese!

    Badoglio tradì perché il suo re,traditore, non godeva della discendenza divina di Hirohito? Avrebbe comunque tradito: Badoglio è il soggetto della sua azione, è l'essenza concreta del to badogliate, coniato assieme alle Am-lire dagli anglo-americani per dire di un "fare stupido e furbo", dell'opportunista che sale sul carro del vincitore credendo e facendo credere di stare alla stanga a spingere. Badoglio non somigliava nemmeno lontanamente al ministro della guerra nipponico, Korechika Anami che pur davanti al disastro nucleare dell'Enola Gay e del Great Artist non capitolò. Si suicidò qualche settimana dopo. Badoglio - che tanto doveva a Mussolini - non si tolse la vita: doveva, anche se temporeggiava, firmare la resa antifascista il 29 settembre 1943 a Malta. Perdeva tempo (e viveva) il Maresciallo, mentre Eisenowher che aveva fretta, mostrò al collega italiano una carta geografica su cui erano tracciate delle "rette orizzontali che dividevano la penisola in parti equidistanti, a circa duecento chilometri tra loro. La prima linea passava per Napoli e Foggia, la seconda per Roma, la terza  per Firenze, la quarta per Bologna e così di seguito. Avevano calcolato [gli Alleati] di avere a disposizione per la fine di ottobre cinquemila apparecchi da bombardamento, coi quali partendo dalle basi della Sicilia e potendo effettuare due incursioni giornaliere avrebbero scaricato sul primo settore, limitato alla linea Napoli-Foggia, diecimila bombe al giorno. Calcolavano che entro venticinque o trenta giorni non sarebbe rimasta una sola casa in piedi. Sarebbero allora passati al secondo settore limitato dalla linea di Roma e vi avrebbero operato la stessa distruzione[...]".

    Al Giappone che si sarebbe arreso solo ad attendere la stagione autunnale gli americani non diedero il tempo utile per fabbricare traditori. Avevano, loro, fabbricato un'arma più devastante alla quale fu consegnata, fu tràdita la fine della guerra: la bomba atomica, questa assoluta traditrice cui Guenther Anders dedicò delle pagine in L'uomo antiquato 1. Considerazioni sull'anima nell'epoca della seconda rivoluzione industriale (Bollati Boringhieri 2007 - ma 1956), denunciando l'incapacità del provare angoscia nell'epoca in cui si scopre che l'umanità è eliminabile da un suo strumento di morte che è diventato fine. Ci vuole coraggio a dirlo, quel coraggio che nell'epoca del conformismo o in occasioni di conformismo "diventa quasi sinonimo di tradimento". Ma ecco la formulazione completa del coraggio-tradimento di Anders: [... ci vuole uno straordinario coraggio a non essere un eroe in una situazione in cui persino al vigliacco non resta altro che resistere eroicamente. Coraggio sarebbe essere pronti ad assumerci rischi sotto propria responsabilità, anche quando si è sottoposti a pressione, e non soltanto alla pressione dell'opinione pubblica; il che, per lo più, è effettivamente impossibile sotto le dittature. Ma se c'è qualcuno che tuttavia osa farlo, gli sarà eo ipso imputata l'odiosità del tradimento (come dimostra, per esempio, il destino di coloro che attentarono alla vita di Hitler). In realtà nell'epoca del conformismo, il coraggio diventa sinonimo di tradimento; a ogni modo nel giudizio altrui un motivo di sospetto"(p. 318).

    Dopo la disfatta tedesca a Stalingrado, dopo la cacciata dei nazifascisti dal Nord Africa, dopo il ridimensionamento dei sommergibili tedeschi nell'Atlantico, dopo che il Giappone declinava di sconfitta in sconfitta nell'Oceano Pacifico fu chiaro a tutti i belligeranti l'esito della guerra. Per questo Luis de la Sierra, biscaglino di Santander, che - al navalismo militare della seconda guerra mondiale dedicò parecchi lavori - non può biasimare chi ordì - di nascosto o proditoriamente - l'abbattimento del regime fascista. Se ci fu un "atto criminale" quello è addebitabile a chi lasciò in Africa 250.000 combattenti e veterani italo-tedeschi che dovevano essere trasferiti in Sicilia dove " con un conveniente equipaggiamento avrebbero potuto molto bene far fallire lo sbarco alleato. Perché l'unica cosa da fare là dove il nemico combatte con tutti vantaggi dalla sua parte è quella di sapersi ritirare in tempo su posizioni più convenienti. Ostinarsi in una difesa ad oltranza quando si è arrivati ad una situazione insostenibile come quella dei tedeschi a Stalingrado o dell'Asse in Tunisia, all'unico scopo di rispettare un ordine politico, vuol dire non solo fare il gioco del nemico,cioè cadere nel più deplorevole degli errori, ma costituisce anche - come avrebbe detto Napoleone Bonaparte - un atto criminale"(pp. 416-417). Il re non scappò a Pescara, non tradì la patria, ma portò nella sua persona lo Stato a Brindisi per continuare a farlo funzionare, a farlo sopravvivere con tutta la sua regale persona " con il riconoscimento ufficiale della sua legittimità da parte degli ex nemici". Molte corone europee scapparono, in auto-esilio: scappò il re del Belgio Leopoldo III, scappò la regina di Olanda,scappò il re di Norvegia, ma all'Italia con il suo Vittorio Emanuele III fuggiasco andò meglio. Lucio Villari (su Repubblica del 5 settembre 2013, p. 42) - respinge "sul piano storico e storiografico" lo svilimento del "significato del Regno del Sud" per cui viene negato "il ruolo che quello Stato ha svolto, anche sul piano del diritto internazionale, confermandosi nel territorio italiano come stato sovrano, 'cobelligerante' con quegli Stati che avrebbero avuto tutto il diritto di fare del nostro paese una terra bruciata e divisa. Come in Germania". La fuga del re a Pescara, quindi, non sarebbe un tradimento, doppio, a danno degli ex alleati e a danno dei sudditi abbandonati. Fu un ri-Risorgimento. Minchia, non stiamo esagerando?Non avrebbe detto questo Napoleone del Savoia, il breve, nell'ultimo ritratto apologetico che ne ha fatto Lucio Villari, repubblicano e ex-comunista, a ricordo della togliattiana "svolta di Salerno"?

    *Flotta in potenza o in attesa: concezione "corsara", rifacentesi "a una formula strategica risalente al XVII secolo e si applicava  a una potenza marittima, a una Marina, a una flotta inferiore a quella contrapposta. In base a essa, le forze sarebbero state impiegate non come uno strumento offensivo alla ricerca di uno scontro navale diretto, bensì come una minaccia permanente e incombente sui movimenti navali del nemico, sottoponendolo a logorio e colpendolo con azioni veloci e insidiose nelle situazioni di debolezza e nelle condizioni di inferiorità" (G. Giorgerini, p. 46). O con le parole dell'ammiraglio Chester Nimitz in The Great Sea War sopra citato in traduzione italiana: "La dottrina navale italiana si basava sull'indebolimento delle flotte alleate mediante incursioni, attacchi portati da sommergibili e uomini rana, mentre erano assolutamente da evitare combattimenti contro forze navali nemiche superiori" (p. 57). Altra definizione di Giorgerini (Da Matapan al Golfo Persico, Mondadori 1989, pp.33-34):"flotta di battaglia, specie di una potenza navale secondaria o di una Marina inferiore al suo avversario, impiegata non come uno strumento offensivo alla ricerca di uno scontro navale diretto, bensì come minaccia permanente condizionante i movimenti navali dell'avversario, sottoponendolo a logorio e colpendolo con azioni veloci e insidiose nelle situazioni di debolezza e nelle condizioni di inferiorità".

    Concezione "corsara",quindi, senza corsari sul ponte delle navi, ma rabdomantica con Supermarina a Roma: "Trovarsi a più di mille chilometri di distanza, non sapere se, come, quando e dove la battaglia avrebbe avuto luogo e pretendere di regolarne lo svolgimento con ordini dettagliati, quali la scelta dei bersagli, del munizionamento e persino della quota al di sotto della quale i piloti non dovevano scendere e di quella che non dovevano superare, è certo, più che strategia, rabdomanzia" (Antonino Trizzino, Navi e poltrone).

    ** "L'origine di questa espressione [ non si sa se del generale golpista Emilio Mola Vidal o di Queipo de Llano] è la seguente: durante la guerra civile spagnola, quando Madrid fu assediata, i giornali pubblicarono che l'investimento della città era stato compiuto da quattro colonne marcianti concentricamente; ma, aggiungevano, gli assedianti contano su una quinta colonna che già si trova dentro la città e che è composta di partigiani che si solleveranno al momento dell'assalto finale" (G. Bouthoul, Le guerre, p. 575 dove si trovano citate dello scrittore di questioni militari, Sun-Tsé, le considerazioni sulla strategia psicologica o Intelligence: "Corrompete tutto quel che c'è di meglio nel nemico con offerte, con doni, con promesse, distruggete la fiducia nei suoi ufficiali inducendo i migliori di essi ad azioni vergognose e vili e non mancate di divulgarle; stringete relazioni segrete con quel c'è di meno raccomandabile tra i nemici e moltiplicate il numero di questi agenti [...]").