giovedì 7 novembre 2013

Anche le melenzane hanno un Dio: Anteo!













«È per questo che ho lavorato come un pazzo per tutta la vita. Non mi interessa in alcun modo lo statuto universitario di quello che faccio, perché il problema è la mia trasformazione. Quella trasformazione di sé attraverso il proprio sapere è, credo, qualcosa che assomiglia all'esperienza estetica. Perché un pittore farebbe quello che fa se non fosse trasformato dalla pittura?» Michel Foucault (epigrafe in seconda di copertina del saggio in traduzione italiana di Paul Veyne, Foucault. Il pensiero e l'uomo, Garzanti 2010)


Anteo. Chi era Anteo? Figlio di Gea, la Terra, e di Poseidone, il Mare, re della Libia (Lixus un’isola di fronte a Larache, Marocco, ospita il palazzo del “libico” re Anteo) si oppone a chi va, a chi cerca la sua strada, a chi traccia la strada nel deserto civilizzandolo, a chi cerca limiti da oltrepassare. La mitologia lo consegna come antagonista di Ercole nella sua penultima fatica per conseguire l’immortalità. Anteo si cibava di stranieri il cui cranio serviva da tegola per il tetto del tempio paterno. Un gigante di conformismo intellettuale, alimentato dai valori della terra, da uno degli elementi della Natura che concorrono e condizionano il tempo degli uomini, la progettualità, la sensibilità, l’idealità, le passioni umane, degli uomini. La forza del re-gigante è in sua madre, la Terra, la serra dei consolidati luoghi comuni che rivitalizza il figlio tutte le volte che viene buttato a terra. Ercole lo solleverà, tra le sue braccia spossandolo ed annientandolo. La Terra è il vecchio, il mare è il nuovo, Ercole è il padre, Anteo è la Madre: figli del mondo ma antagonisti. Il peggio che possa toccare agli uomini è di vivere secondo valori invertiti: un isolano si deforma nel continentale, il terraiolo naufraga in mare.
Anteo, quindi, tipo mitologico negativo: rappresenta il conformismo, l’immensa distesa desertica dei luoghi comuni, che come il deserto sono luoghi vuoti dove smarrirsi è la più ovvia delle cose, dove lo smarrimento è il suo vero ed assoluto valore.
Ercole vuole guadagnare la strada per il mare, per completare quelle fatiche che lo dovranno portare all'immortalità, alla sua sostanza, all'identificazione di ciò che lo farà essere perennemente Ercole: la conoscenza del suo destino, delle sue vocazioni, del suo essere compiuto.

 Da una parte la Terra, dall'altra il Mare. Bisogna scegliere: o il padre o la madre, bisogna sapere come si è stati scelti. Noi Mediterranei, noi isolani siamo stati scelti dal Mare, ma torniamo  autolesivamente verso la terra, alla mammella, al ciuccio della terra, come dei bambinoni, adulti nel corpo, ma infantili nell'anima.

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