domenica 11 maggio 2014

Il socialismo a spese altrui


Il vicerè socialista. Giuseppe De Felice Giuffrida, sindaco di Catania

Il saggio di 327 pagine di Pippo Astuto, Il vicerè socialista. Giuseppe De Felice Giuffrida, sindaco di Catania (Bonanno 2014) conclude una lunga parabola di studi sulla Sicilia Ottocentesca (del secondo Ottocento, prevalentemente).
Una lunga traiettoria, intramezzata da studi sulla formazione dello Stato russa in età moderna e del costituzionalismo russo, e che ha finito con l'avere la meglio sulle iniziali ricerche di Astuto, studioso di Inchieste meridionali attraverso le quali paradossalmente si cercava di conoscere un gran parte del territorio nazionale, ignorata dalla cultura istituzionale, solo dopo averla inglobata a forza, violentemente al suo interno. Come mettersi a tavola per ingoiare alimenti di ignota qualità.
Nel Meridione, in Sicilia prima dei ministri, degli amministratori civili e della politica - che dovrebbe essere sorretta previamente dall’informazione  orientata alla costruzione del progetto politico e istituzionale - prima sono arrivati i militari, quali amministratori e ricercatori sociali territoriali. L’esercito garibaldino e, poi, quello dei Savoia hanno avuto il privilegio, la primazia di suggerire alla politica le tecniche amministrative del territorio meridionale che sulle prime furono repressioni e stati d’assedio, la politica - vale a dire dei militari -. E’ così che il furetto conosce il coniglio: azzannandolo e dilaniandolo.
Stanca ma instancabile di violenza, la ruling class, il ceto di governo post-risorgimentale  fece ricorso al Prefetto che in tempo di pace è il soldato o il generale, o l’uno e l’altro, esecutore e suggeritore dei progetti istituzionali del centro, come nella tesi altrove elaborata da Astuto.

L’istituto prefettizio è stato dopo le Inchieste l’argomento-principe degli studi di Astuto dal cui magistero è sortito un altro bel saggio d’ambito istituzionalista pubblicato dalla casa editrice Bonanno e scritto dalla brava allieva Elena Faraci, I prefetti della Destra storica: Le politiche dell'ordine pubblico in provincia di Palermo (1862-1874), Bonanno 2014.
 C’è un lontano debito che si fa credito cospicuo di Astuto verso quella storiografia marxista che, salpando dai "ribelli primitivi", dai delinquenti del grande studioso inglese Eric J. Hobsbawm, dagli antagonisti senza fabbrica,fuori o contro il sistema delle industrie, dal "movimento operaio attraverso i suoi Congressi" dell’indimenticabile maestro, Gastone Manacorda, si era autonomamente, per spinta propria, consegnata all’antropologia di Ernesto De Martino e all’identificazione-trasposizione del ruolo rivoluzionario e ri-compositivo della società disgregata dei meridionali e subalterni. Quel ruolo era stato individuato nello sciamano-intellettuale organico gramsciano-Partito comunista. Lo sciamano, il mago, il fattucchiere meridionale diventano in mano ad Astuto il Prefetto o Crispi o De Felice. Ecco: De Felice è il Prefetto dei poveri, concorrente e antagonista dei Prefetti di Stato. De Felice è il Prefetto-sciamano contro il Prefetto-Prefetto istituzionale.

Figlio e orfano a 9 anni di un delinquente, ucciso durante una rapina,educato in ospizio, all’uscita fa di tutto, esercita strani mestieri (escluso quello dell’astrologo o dello sciamano). Astuto ce li ricorda: marito e padre a 17 anni, inizia diciannovenne con un impiego in Prefettura, ovviamente, da cui dopo tre anni viene mandato via a causa della pubblicazione di un giornale antigovernativo,  - “salato e pepato” lui lo definisce  - Lo Staffile, quindi, fa il suonatore di bombardino, il lavorante tipografo, il commerciante di vini, il piazzista di macchine da cucire. Questo aspetto picaresco-sciamanico, decisamente völkisch, non lo perderà il Nostro se anni dopo, alla vigilia della sindacatura catanese del 1902, lontano dall’eco dei fasci, dalla condanna a 16 anni, ma amnistiati a due dal governo Di Rudinì, la Kuliscioff scriverà da Catania a Turati (1899) quella notissima lettera che  Astuto ha posto ad apertura del suo libro: " Basta dirti che il De Felice è la sintesi, l'espressione vera e genuina, della qualità e dei difetti di quell'immensa popolazione. Anzi, direi che egli come tipo dell'ambiente riassume in sé in modo esagerato le tendenze basse  ed elevate;perché il bello e il brutto si toccano e si confondono là con un armonia meravigliosa. De Felice è il vero vicerè; i baroni e principi lo ossequiano, i facchini del porto lo abbracciano, gli operai delle zolfare si rivolgono a lui come al redentore, le ragazze allegre lo festeggiano al suo passaggio" ( p. 9). Dove non si capisce della meraviglia della Kuliscioff se lo scandalo sia nelle riverenze aristocratiche verso un socialista, sfracellatore di classi superiori, o nei modi affettuosi di cui il compagno, erede dell'alta filosofia tedesca culminata in Marx, godeva tra puttane e facchini!

Da qui, in un confronto serrato con autori, colleghi e maestri come Giuliano Procacci, Giuseppe Barone, Giuseppe Giarrizzo, Saro Spampinato, Giovanni Schininà ed altri elencati nella esaustiva bibliografia, prende abbrivo la ricerca di Astuto che riempie un grande vuoto nella storiografia della città siciliana e un vuoto nella storiografia del movimento operaio e socialista nazionale.

Necessariamente - parlando di De Felice - non si può non richiamare alla memoria il marchese Antonino di San Giuliano della cui biografica politica si occupa Gianpaolo Ferraioli in un ponderoso ma imperdibile volume di quasi mille pagine, pubblicato nel 2007 da Rubbettino con il titolo Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino Di Sangiuliano (1852-1914). Sono quasi coetanei: De Felice nasce nel 1859 e muore nel 1920, di San Giuliano nasce nel 1852 e muore nel 1914. L’impressione che se ne ricava mettendo in comparazione ravvicinata le due biografie è quella secondo cui l’uno è il rovescio dell’altro,con profili di coincidenza sorprendenti. San Giuliano, eletto sindaco nel 1879, giovanissimo, mette in piedi un programma di forte deficit spending, incentrato sui lavori pubblici e infrastrutturali, sull’ammodernamento del porto innanzitutto, e poi sul rifacimento delle strade cittadine. Con San Giuliano, “riformista dall’alto” ( Io sono scettico, ma ciò nonostante ho una specie di culto per la Sinistra [che] per me vuol dire democrazia e progresso, ed io sono per convinzione profonda, democratico e progressista, benché molti non ci credono, dal Diario, 1892), Catania si offre come un grande cantiere grazie al quale dare occupazione a quegli operai che infittiscono speranzosi e minacciosi le fila del movimento di De Felice, pericoloso “riformista dal basso”.

San Giuliano, autodefinitosi "socialista", ha un’intuizione che poi sarà ripresa quale elemento distintivo di buona amministrazione cittadina da De Felice sindaco (dal 1902, Antonino di San Giuliano, deputato parlamentare, viaggia in quegli anni per l'Albania e l'area adriatica dei Balcani avendo come meta il Ministero degli Esteri che avrà nel 1904): la municipalizzazione della panificazione che avrebbe dovuto tenere basso il prezzo dell’elemento base e irrinunciabile di una alimentazione povera, della povera gente sedotta dalla sirene che militavano dalle parti del defelicianesimo. 
De Felice nella guerra di Libia, orchestrata da San Giuliano ad alleggerimento del sovraccarico demografico meridionale e in difesa degli interessi economici del Banco di Roma, dell’Ansaldo e della Fiat, si schiererà a favore dell’impresa anti-turca che dava l’opportunità alla Sicilia e ai suoi porti di divenire il crocevia dei commerci dell’area mediterranea.

Provenivano da storie diverse, opposte, l’aristocratico marchese, ministro degli Esteri, e il proletario alfabetizzato De Felice: ma avevano l’identico progetto e di gestione municipale, ambedue keynesiani ante litteram, e di collocamento dell’Italia, con funzione egemone, nel Mediterraneo. Un unico progetto e lo stesso antagonista denigratore: Federico De Roberto de I viceré.

Il libro di Astuto composto di 8 capitoli di cui ben quattro sono dedicati alla questione dei Fasci, alla repressione, ai conseguenti processi dei leader. E qui ritorna - dai precedenti lavori di Astuto - e  riappare prepotentemente l’altro uomo straordinario della Sicilia politica post risorgimentale: Francesco Crispi. 

Ma cos’è stato il socialismo di De Felice, questa sorta di socialismo municipale teorizzato così: " Il municipio dovrà diventare il centro attivo di tutta la vita cittadina, il Consiglio comunale dirigerà le grandi imprese urbani, i cittadini ne saranno gli azionisti, il dividendo sarà rappresentato dalla migliorata igiene, dai più comodi e pronti servizi pubblici, dall'accresciuto benessere, dalla felicità dell'intera cittadinanza. Epperò, non soltanto deve provvedersi alle ville pubbliche, alle biblioteche e pinacoteche e musei, ma soprattutto agli acquedotti, all'illuminazione generale, alle tramvie ( che sono le carrozze di tutti), alle provviste sanitarie, all'apprestamento dei mezzi di alimentazione a buon mercato" (p. 216)?
Si può dire che sia stato una sorta di socialismo per decreto regio, un socialismo che usava l’amministrazione municipale per demonarchizzare dall’interno il paese, che usava i bisogni sociali come dispositivo lanciato contro il potere finanziario, contro gli ovvi criteri della contabilità comunale.Un socialismo che non doveva rendere il conto, pagare il conto!

 Nella strategia di questo socialismo, finanziariamente allegro, si ricorreva strategicamente all'indebitamento, ai mutui bancari che viaggiava su alte cifre di anno in anno sempre più crescenti. Ma il deficit spending o il socialismo a-spese-di-altri non fu misura solo dell’amministratore socialista se il San Giovanni Battista del keynesismo ante litteram fu il di San Giuliano nel 1879. Dagli anni settanta in poi, per tutto il lungo emiciclo di Kontradieff che copre il venticinquennio 1870-1896 gli amministratori a Catania spendono furiosamente alla cieca, anzi, a ben vedere. Sistematicamente facendo il gioco delle parti l’opposizione (qualsiasi opposizione) rimprovera alla Giunta in carica (qualsiasi Giunta) il disavanzo, lo sperpero del denaro, l'erronea compilazione dei bilanci, lo sfacelo dell'amministrazione daziaria,clientelismo e sovraoccupazione nell'impiego pubblico.

 Letta questa biografia che è anche la biografia del municipio cittadino resta una semplice certezza: le città meridionali non hanno mai avuto sufficienti risorse interne per sostenere i costi della civiltà delle buone maniere, della buona amministrazione. Crispi, De Felice San Giuliano sia pure con  motivazioni diverse sanno che Catania o la Sicilia o il Meridione o l’Italia intera debbono ritagliarsi un ruolo internazionale se non vogliono sprofondare nella marginalità. E, considerato l’interventismo nella prima guerra mondiale di De Felice e il consenso alla guerra di Libia di qualche anno prima, non si può non riflettere sul fatto che con Crispi e San Giuliano, il più dinamico e intelligente ministro degli esteri della storia d’Italia, la politica internazionale dell’Italia ebbe a prendere  una curvatura meridionale, riclassificando le gerarchie territoriali della nazione  che, nata in Piemonte e in Francia, con Camillo Benso di Cavour e Napoleone III di Francia, doveva essere riposizionato nel Mediterraneo, nei suoi porti, nelle sue città pena la marginalità contro cui lavorò De Felice, interventista "democratico" nella prima guerra mondiale e imperialista demografico nella guerra di Libia.


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