
Il saggio di 327 pagine di Pippo Astuto, Il vicerè socialista. Giuseppe De Felice Giuffrida, sindaco di Catania (Bonanno 2014) conclude una lunga parabola di studi sulla Sicilia Ottocentesca (del secondo Ottocento, prevalentemente).
Una lunga traiettoria, intramezzata da studi sulla
formazione dello Stato russa in età moderna e del costituzionalismo russo, e
che ha finito con l'avere la meglio sulle iniziali ricerche di Astuto, studioso di Inchieste meridionali attraverso le quali paradossalmente si cercava di
conoscere un gran parte del territorio nazionale, ignorata dalla cultura
istituzionale, solo dopo averla inglobata a forza, violentemente al suo
interno. Come mettersi a tavola per ingoiare alimenti di ignota qualità.
Nel Meridione, in Sicilia prima dei ministri, degli
amministratori civili e della politica - che dovrebbe essere sorretta previamente dall’informazione orientata alla costruzione del progetto politico e
istituzionale - prima sono arrivati i militari, quali amministratori e
ricercatori sociali territoriali. L’esercito garibaldino e, poi, quello dei
Savoia hanno avuto il privilegio, la primazia di suggerire alla politica le
tecniche amministrative del territorio meridionale che sulle prime furono
repressioni e stati d’assedio, la politica - vale a dire dei militari -. E’ così che il furetto conosce il coniglio:
azzannandolo e dilaniandolo.
Stanca ma instancabile di violenza, la ruling class, il ceto di governo
post-risorgimentale fece ricorso al
Prefetto che in tempo di pace è il soldato o il generale, o l’uno e l’altro,
esecutore e suggeritore dei progetti istituzionali del centro, come nella tesi altrove elaborata da Astuto.
L’istituto prefettizio è stato dopo le Inchieste l’argomento-principe degli
studi di Astuto dal cui magistero è sortito un altro bel saggio d’ambito
istituzionalista pubblicato dalla casa editrice Bonanno e scritto dalla brava
allieva Elena Faraci, I prefetti della Destra storica: Le politiche dell'ordine pubblico in provincia di Palermo (1862-1874), Bonanno 2014.
C’è un lontano
debito che si fa credito cospicuo di Astuto verso quella storiografia marxista
che, salpando dai "ribelli primitivi", dai delinquenti del grande studioso inglese Eric J. Hobsbawm, dagli antagonisti
senza fabbrica,fuori o contro il sistema delle industrie, dal "movimento operaio attraverso i suoi Congressi" dell’indimenticabile
maestro, Gastone Manacorda, si era autonomamente, per spinta
propria, consegnata all’antropologia di Ernesto De Martino e
all’identificazione-trasposizione del ruolo rivoluzionario e ri-compositivo
della società disgregata dei meridionali e subalterni. Quel ruolo era stato individuato nello
sciamano-intellettuale organico gramsciano-Partito comunista. Lo sciamano, il
mago, il fattucchiere meridionale diventano in mano ad Astuto il Prefetto o
Crispi o De Felice. Ecco: De Felice è il Prefetto dei poveri, concorrente e
antagonista dei Prefetti di Stato. De Felice è il Prefetto-sciamano contro il
Prefetto-Prefetto istituzionale.
Figlio e orfano a 9 anni di un delinquente, ucciso
durante una rapina,educato in ospizio, all’uscita fa di tutto, esercita strani
mestieri (escluso quello dell’astrologo o dello sciamano). Astuto ce li ricorda:
marito e padre a 17 anni, inizia diciannovenne con un impiego in Prefettura,
ovviamente, da cui dopo tre anni viene mandato via a causa della pubblicazione di un
giornale antigovernativo, - “salato e
pepato” lui lo definisce - Lo
Staffile, quindi, fa il suonatore di bombardino, il lavorante tipografo, il commerciante di vini, il piazzista di macchine da cucire. Questo aspetto
picaresco-sciamanico, decisamente völkisch,
non lo perderà il Nostro se anni dopo, alla vigilia della sindacatura catanese
del 1902, lontano dall’eco dei fasci, dalla condanna a 16 anni, ma amnistiati a
due dal governo Di Rudinì, la Kuliscioff scriverà da Catania a Turati (1899) quella notissima lettera
che Astuto ha posto ad apertura del suo libro: " Basta dirti che il De Felice è la sintesi, l'espressione vera e genuina, della qualità e dei difetti di quell'immensa popolazione. Anzi, direi che egli come tipo dell'ambiente riassume in sé in modo esagerato le tendenze basse ed elevate;perché il bello e il brutto si toccano e si confondono là con un armonia meravigliosa. De Felice è il vero vicerè; i baroni e principi lo ossequiano, i facchini del porto lo abbracciano, gli operai delle zolfare si rivolgono a lui come al redentore, le ragazze allegre lo festeggiano al suo passaggio" ( p. 9). Dove non si capisce della meraviglia della Kuliscioff se lo scandalo sia nelle riverenze aristocratiche verso un socialista, sfracellatore di classi superiori, o nei modi affettuosi di cui il compagno, erede dell'alta filosofia tedesca culminata in Marx, godeva tra puttane e facchini!
Da qui, in un confronto serrato con autori, colleghi e
maestri come Giuliano Procacci, Giuseppe Barone, Giuseppe Giarrizzo, Saro Spampinato, Giovanni Schininà ed altri
elencati nella esaustiva bibliografia, prende abbrivo la ricerca di Astuto che
riempie un grande vuoto nella storiografia della città siciliana e un vuoto
nella storiografia del movimento operaio e socialista nazionale.
Necessariamente - parlando di De Felice - non si può non
richiamare alla memoria il marchese Antonino di San Giuliano della cui biografica politica si occupa Gianpaolo Ferraioli in un ponderoso ma imperdibile volume di quasi mille pagine, pubblicato nel 2007 da Rubbettino con il titolo Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino Di Sangiuliano (1852-1914). Sono quasi
coetanei: De Felice nasce nel 1859 e muore nel 1920, di San Giuliano nasce nel
1852 e muore nel 1914. L’impressione che se ne ricava mettendo in comparazione
ravvicinata le due biografie è quella secondo cui l’uno è il rovescio
dell’altro,con profili di coincidenza sorprendenti. San Giuliano, eletto
sindaco nel 1879, giovanissimo, mette in piedi un programma di forte deficit spending,
incentrato sui lavori pubblici e infrastrutturali, sull’ammodernamento del
porto innanzitutto, e poi sul rifacimento delle strade cittadine. Con San
Giuliano, “riformista dall’alto” ( Io sono scettico, ma ciò nonostante ho una specie di culto per la Sinistra [che] per me vuol dire democrazia e progresso, ed io sono per convinzione profonda, democratico e progressista, benché molti non ci credono, dal Diario, 1892), Catania si offre come un grande cantiere
grazie al quale dare occupazione a quegli operai che infittiscono speranzosi e
minacciosi le fila del movimento di De Felice, pericoloso “riformista dal
basso”.
San Giuliano, autodefinitosi "socialista", ha
un’intuizione che poi sarà ripresa quale elemento distintivo di buona
amministrazione cittadina da De Felice sindaco (dal 1902, Antonino di San Giuliano, deputato parlamentare, viaggia in quegli anni per l'Albania e l'area adriatica dei Balcani avendo come meta il Ministero degli Esteri che avrà nel 1904): la municipalizzazione della
panificazione che avrebbe dovuto tenere basso il prezzo dell’elemento base e
irrinunciabile di una alimentazione povera, della povera gente sedotta dalla
sirene che militavano dalle parti del defelicianesimo.
De Felice nella guerra
di Libia, orchestrata da San Giuliano ad alleggerimento del sovraccarico
demografico meridionale e in difesa degli interessi economici del Banco di
Roma, dell’Ansaldo e della Fiat, si schiererà a favore dell’impresa anti-turca che
dava l’opportunità alla Sicilia e ai suoi porti di divenire il crocevia dei
commerci dell’area mediterranea.
Provenivano da storie diverse, opposte, l’aristocratico
marchese, ministro degli Esteri, e il proletario alfabetizzato De Felice: ma
avevano l’identico progetto e di gestione municipale, ambedue keynesiani ante
litteram, e di collocamento dell’Italia, con funzione egemone, nel Mediterraneo. Un unico progetto e lo stesso antagonista denigratore: Federico De Roberto de I viceré.
Il libro di Astuto composto di 8 capitoli di cui ben
quattro sono dedicati alla questione dei Fasci, alla repressione, ai conseguenti processi dei leader. E qui ritorna - dai precedenti lavori di Astuto - e riappare prepotentemente l’altro uomo
straordinario della Sicilia politica post risorgimentale: Francesco Crispi.
Ma cos’è stato il socialismo di De Felice, questa
sorta di socialismo municipale teorizzato così: " Il municipio dovrà diventare il centro attivo di tutta la vita cittadina, il Consiglio comunale dirigerà le grandi imprese urbani, i cittadini ne saranno gli azionisti, il dividendo sarà rappresentato dalla migliorata igiene, dai più comodi e pronti servizi pubblici, dall'accresciuto benessere, dalla felicità dell'intera cittadinanza. Epperò, non soltanto deve provvedersi alle ville pubbliche, alle biblioteche e pinacoteche e musei, ma soprattutto agli acquedotti, all'illuminazione generale, alle tramvie ( che sono le carrozze di tutti), alle provviste sanitarie, all'apprestamento dei mezzi di alimentazione a buon mercato" (p. 216)?
Si può dire che
sia stato una sorta di socialismo per decreto regio, un socialismo che usava
l’amministrazione municipale per demonarchizzare dall’interno il paese, che usava i bisogni sociali come dispositivo lanciato contro il potere finanziario, contro gli ovvi criteri della contabilità comunale.Un socialismo che non doveva rendere il conto, pagare il conto!
Nella strategia
di questo socialismo, finanziariamente allegro, si ricorreva strategicamente all'indebitamento, ai mutui bancari che viaggiava su alte cifre di anno in anno sempre più crescenti. Ma il deficit spending o il socialismo a-spese-di-altri non fu misura solo dell’amministratore socialista se
il San Giovanni Battista del keynesismo ante litteram fu il di San Giuliano nel
1879. Dagli anni settanta in poi, per tutto il lungo emiciclo di Kontradieff
che copre il venticinquennio 1870-1896 gli amministratori a Catania spendono
furiosamente alla cieca, anzi, a ben vedere. Sistematicamente facendo il
gioco delle parti l’opposizione (qualsiasi opposizione) rimprovera alla Giunta in carica (qualsiasi Giunta) il disavanzo, lo sperpero del denaro, l'erronea compilazione dei bilanci, lo sfacelo dell'amministrazione daziaria,clientelismo e sovraoccupazione nell'impiego pubblico.
Letta questa biografia che è anche la biografia del municipio cittadino resta una semplice certezza:
le città meridionali non hanno mai avuto sufficienti risorse interne per
sostenere i costi della civiltà delle buone maniere, della buona
amministrazione. Crispi, De Felice San Giuliano sia pure con motivazioni diverse sanno che Catania o la
Sicilia o il Meridione o l’Italia intera debbono ritagliarsi un ruolo
internazionale se non vogliono sprofondare nella marginalità. E, considerato
l’interventismo nella prima guerra mondiale di De Felice e il consenso alla
guerra di Libia di qualche anno prima, non si può non riflettere sul fatto che
con Crispi e San Giuliano, il più dinamico e intelligente ministro degli esteri
della storia d’Italia, la politica internazionale dell’Italia ebbe a
prendere una curvatura meridionale,
riclassificando le gerarchie territoriali della nazione che, nata in Piemonte e in Francia, con Camillo Benso di Cavour e Napoleone
III di Francia, doveva essere riposizionato nel Mediterraneo, nei suoi porti,
nelle sue città pena la marginalità contro cui lavorò De Felice, interventista "democratico" nella prima guerra mondiale e imperialista demografico nella guerra di Libia.
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