
"La Tecnica è un servitore che fa un tale chiasso mettendo in ordine la stanza accanto che i signori non possono far musica" (Karl Kraus)
Presentare Frammento e sistema (Mimesis 2014,pp. 242) di Roberto Fai nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Catania è una provocazione: vi si celebra la morte della politica, prima e più che della scienza politica (che è già una presuntuosa mostruosità). Dovevamo parlare di corda in casa dell’impiccato. Non se n’è fatto niente. Ma neppure con torme di studenti sarebbe successo alcunché, data la folla autistica degli intellettuali, prodotto ultimo della globalizzazione mercatoria che,assieme alla sua ombra, il disagio, è tema del saggio.
Con
l’esplosione dominatrice della Tecnica, tutti i medici - buon ultimo il nostro
Roberto Fai - accorsi al capezzale dello
Stato nazionale, della democrazia, della sovranità popolare e della politica
non hanno potuto non constatare che la politica è morta, lo Stato è larvale, la
democrazia è chiacchiera per i talkshow o degli avventori del bar rionale. I
becchini sono tanti, divertenti tutti da Le Pen, a Grillo, a Berlusconi, a
Crocetta o a Putin (poco divertente, molto inquietante). Siamo in attesa dell’adveniens, del nuovo Messia, della sua
Parousìa. Se ne intravvedono i tratti facciali quelli mixati di terribilità di un feroce comico o
di una divertente tutta-d'un-pezzo Merkel o di un inespressivo, inaffidabile Putin o dell’ebetino Fonzie.Tutto
questo perché siamo al tramonto dentro cui, anzi, sulla cui soglia dobbiamo stare
vigili come appena desti all’aurora.
L’Occidente
è popolato da occidentali, da tramontanti: il tramonto è la sostanza , la qualità dell’Occidente, il
tramonto è occidente, occaso. Pertanto, a noi occidentali nulla di nuovo è
accaduto dopo il dilagare della Tecnica: siamo stati sempre occidentali sin dalla
nascita del sistema solare.
Prima
domanda: se siamo stati sempre occidentali perché la scoperta (1918-1922) di Oswald
Arnold Gottfried Spengler (“l’andata
sotto della terra della sera”: traduzione letterale di Der Untergang des Abenlandes) dovrebbe segnare la nascita dell’Occidente
alla data della pubblicazione del suo libro o a quella dell’esplosione della
Tecnica seguita - come dai cuccioli la mamma - dalla “grande trasformazione”
della rivoluzione industriale?(Per inciso, ricordo 1°- che occidente e tramonto sono sinonimi astronomici
e un sinonimo non può auto-specificarsi se non per creare un brusio, un
insensatezza, un flatus vocis
insignificante; 2°- che un tramonto non
è un punto di poco tratto, ma una linea di durata lunga quanto i secoli che
compongono una civiltà; 3° - che dopo Copernico non siamo occidentali, anzi, ad onor del vero astronomico non lo siamo mai stai: il Sole è occidente,tramonta, od oriente, si leva soltanto nella presunzione geocentrica di Tolomeo).
Un
saggio “denso” e “inedito” direbbe Fai di questo lavoro per sottolinearne
l’eccellenza (“densità”, “condensazione”, “addensamento” e relativi apparentamenti
semantici, o “inedito” con la variante “inaudito” o “tagliare” “fessurare”
“de-cidere”, “soglia” sono i lemmi più frequenti di Fai in questo lavoro, i tic linguistici il cui esame per uno
come Leo Spitzer avrebbe chiesto lo spazio di un volume di uguale mole del Frammento e sistema).
Un saggio denso ma non definitivo che come
tutte le buone opere non chiude ma apre questioni.
E
cominciamo da Heidegger che -assieme a
Jϋnger e a Schmitt - è il principale attore del teatro filosofico allestito da
Fai sul cui impiantito sono chiamati tanti altri personaggi da Nietzshe a
Derrida a Cacciari, a Esposito a Bodei a Curi.
Heidegger
ovvero l’ossessione della Terra,della terra,delle radici (ma l’uomo ha i piedi,
è mobile, itinerante, non stanziale come un vegetale). Heidegger il filosofo-Bauer
e mi chiedo se Heidegger in un paese solare come lo scintoista territorio
nipponico che - è un maritorio, più che un territorio - abbia mai avuto
accoglienza, la devozione tributatagli nel
territorio occidentale.
Heidegger
lo leggevo- qualche anno ora è - e alla fine mi rimaneva una forte sensazione
di terra e sangue, di terra (Boden)
più che di sangue (Blut) e pensavo
che mai sugli orizzonti mentali, tolemaici, geocentrici di Heidegger è giunto a
stagliarsi (altro tic linguistico di Fai)
Copernico, l’eliocentrista.
Il Giappone
è “occidentale” dalla Restaurazione Meji del 1868, dalla sconfitta dell’ultimo
shogun o, prima, dal 1853 quando il commodoro statunitense Perry attraccò con le
sue navi nella baia di Edo. E’ “occidentale” ma è orientale e ha come bandiera
distintiva un disco rosso, il disco solare del nonno dell’imperatore e del
padre della dea del sole, un disco di esplosiva luce aurorale. Ecco: la Cina,
l’India, il Giappone sono atopici mi
chiedevo leggendo dell’atopia di cui
sarebbe affetto/infetto l’Occidente (pagina 147) ? A me pare che siano
ubiquitari, ipertopici! Fai in questo saggio ci presenta una mole immane di
riferimenti bibliografici: tutti occidentali, eccezion fatta per quell’ apostata
nippoyankee di Fukuyama: non si trova un pensatore orientale manco a peso d’oro
(escludiamo Derrida che è un franco algerino, più francese che nord-africano)
Fai
affronta la questione del mare, del mare Mediterraneo per sposare in matrimonio
- ma senza consumare, senza pervenire alle ultime conseguenze - le tesi di quanti sostengono la centralità - sia pure - di ritorno
del Mediterraneo all’arrivo dell’adveniens
che - come il Messia per gli ebrei – sarà il vindice della civiltà mediterranea
contro cui la Storia s’è accanita, rivelandosi come impostura, imposizione di
tramonti estranei e precoci. In realtà,
con buona pace di Pedrag Matvejevic, di Fernand Braudel e di Franco Cassano il Mediterraneo è
un quasi lago, acqua di risulta degenere
degli Oceani, una traccia residuale quasi lacustre, appunto, un quasi stagno
della Panthalassa che alla deriva dei Continenti si è concentrata negli Oceani
dove si è scatenata la Tecnica, assunti gli Oceani come suoi campi di Marte. Il
Mediterraneo è stata la nursery
dell’arte nautica,vale a dire della Tecnica per eccellenza, la culla dei mari
veri come sosteneva Joseph Conrad ripreso recentemente da Simon Winchester in Atlantico (Adelphi, per il Pacifico disponiamo da tempo della trilogia di
O.K. Spate pubblicata in italiano - ora è tempo - da Einaudi). Il punto gli è che non si può
parlare bene, fare l’elogio del Mediterraneo in presenza di filosofi
iperterragni o baltici come Hegel, Kant, Marx, Heidegger, Junger, Schmitt, o
l’Hobbes pre-industriale - solo per fare
i nomi più noti di questa lunghissima attraversata di Robero Fai per l’oceano
della contemporaneità -. Sinceramente disarmato, non vedo il nesso tra Cassano
e Jϋnger, tra Bari e Amburgo, tra la "napoletanità" di Croce e la "tedeschità" di
Sloterdjik. In vero, il nesso tra queste distanze geofilosofiche è imprestato
da Massimo Cacciari, un pensatore "tedesco", oceanico, figlio di una Venezia
ipermediterranea, nauticamente (ex)imperiale. Non trovo coerente in un argomentare
filomediterraneistico indicare la Cindia (Cina e l’India,due continenti di natura oceanica, alimentati e posti in
essere dal Mare Cinese e dall’Oceano
indiano) quale erede dell’Occidente, dell’Occidente atlantico che è il padre
sostanziale dello snervato figlioletto cacciatosi tra le … terre, di nome
Mediterraneo, infeudato al gigante Anteo, re dei luoghi comuni.
Roberto
Fai ci raccomanda di essere giusti con
Marx. Ma Fai ci chiede troppo, chiede di essere indulgenti. Marx, come Federico De Roberto per Antonino di San
Giuliano, è stato responsabile del dileggio, della sottovalutazione e della dimenticanza di
un pensatore robusto e, quindi, scandaloso come Max Stirner che, recuperato dopo averlo sottratto alla furia del frullatore marxengelsiano dell'Ideologia tedesca, sarebbe il vero protagonista delle pagine di
Fai, di quella lunga rappresentazione
della desertificazione europea operata dalla globalizzazione mercatoria. Se c’è
uno spettro che si aggira per le pagine di Fai quello appartiene all’Unico (Der Einzige und sein Eigentum, 1844) di Max Stirner, in anticipata
prefigurazione dell’individuo sopravvissuto al crollo della sovranità popolare,
alla cancrena della democrazia, al collasso della politica, all’implosione
della comunità, della communitas, al totalitarismo della
democrazia di massa - per dirla con Ernst Jϋnger per il quale, in uscita “stirneriana”, totalitarismo e democrazia di massa “sono due esperienze che obbediscono al
principio agonale dei contrari: quanto più si radicalizza un estremo, tanto più
affiora quello opposto. A rigore, dal punto di vista dell’Anarca, del grande Solitario,
totalitarismo o democrazia di massa non fanno molta differenza. L’Anarca vive
negli interstizi della società, la realtà che lo circonda in fondo gli è
indifferente, e solo quando si ritira nel proprio mondo, nella propria
biblioteca ritrova la sua identità. In ogni caso è raccomandabile la freddezza:
su una palude ghiacciata si avanza con maggiore sicurezza e rapidità”(in Antonio
Gnoli- Franco Volpi, I prossimi Titani. Conversazioni
con Ernst Jϋnger, Adelphi 1997, p.108). Per Stirner l'uomo raggiunge, scopre se stesso, rivela la sua iità, la sua "biblioteca", liberandosi di ogni astratta rappresentazione dell'uomo (l'umanità): la derelizione o deiezione dell'individuo di Heidegger e & in Stirner e & è unicità ricca di qualità, forte di proprietà. Certo, c'è da chiedersi (ma è altra faccenda) se l'Io di un uomo può predicare la sua non umanità. Non è come scuoiarsi a vivo e apparire come un disegno anatomico che mostra sotto la pelle i muscoli, la carne, le ossa?
Un' ultima osservazione relativa alla vegetalità contadina di Heidegger riferita
all’ ”abitare nell’universale sradicamento”. Heidegger scrive(riportato da Fai a
pagina 191): “Il modo in cui tu sei e io sono, la maniera con cui noi uomini
siamo sulla terra è il Buan,
l’abitare. Essere uomo significa: essere sulla terra come mortale; e cioè:
abitare”. Mi permetto di affermare che l’essere non è l’abitare se non per una
ditta di trasporti, per il postino, così come uno non è quintopianista ché
abita al quinto piano. L’habitat determina l’essere vegetale, quello del
pomodoro di Pachino o del carciofo di Niscemi o del tartufo di Alba. Gli
studiosi di storia del territorio o della città sanno che la delimitazione dello
spazio a scopi abitativi o la norma edificale sono ispirate a utopie celesti, a
supposte armonie divine come ha ben dimostrato Joseph Rykwert ne L’idea di città. I comunisti non nascono
dalla comunità, non sono tali perché abitanti della polis comunitaria ma dalla
messa in comune dei beni prodotti o sgraffignati: il modello comunista – come è
stato scritto - è in Marx quello dei pirati,di uomini di ventura di mare.
Schmitt
ha individuato in un lampo balenante la figura del Grifo quale portatore o cifra simbolica del futuro. Come a dire: la
terra è stata la nursery, la culla della umanità, il cielo sarà la prova della
sua maturità che dovrebbe spingerla al "transumano" di Attali, al "postumano" che Trotzsky
additò, immaginandolo come l’operaio nicciano, l’Arbeiter di Jϋnger, l’uomo della Tecnica o la Tecnica antropizzata,
un nuovo Prometeo più i Soviet, il colonizzatore dei mondi oltre la terra, l’astronauta.
L’uomo dapprima cacciatore, poi pastore contadino, poi marinaio, poi
astronauta. Quale sarà la forma politica della comunità degli astronauti del
comunismo di Trotzsky dove l’uomo diverrà “incomparabilmente più forte, più
saggio, più acuto. Il suo corpo si farà più armonico, i suoi movimenti più
ritmici, la sua voce più musicale, le forme dell’essere acquisteranno una
dinamica rappresentatività. La media dell’umanità sarà al livello di un
Aristotele, di un Goethe, di un Marx. Oltre queste altezze si eleveranno nuove
vette” (Letteratura, arte, libertà
1958 Milano). E la nuova Utopia, congedatasi dal Comunismo, sarà la pratica del
Cosmismo. Insomma, oltre la Terra il Sole che non tramonta, fisso nel suo
splendore a illuminare il Cosmo, l’habitat del postumano!
Jϋnger parlando del suo Al muro del tempo e del giudizio lusinghiero di Hermann Hesse: “ […] una delle idee che io esprimo in quel libro, e che lo colpì, è che per capire ciò che avviene bisogna per così dire spostare lo sguardo dalla storia umana alla storia della terra, bisogna volgersi dalla considerazione del tempo storico a quella del tempo cosmico, della natura. L’umanità è parte dell’accadere del cosmo”(Gnoli-Volpi, citato sopra, p. 90).
Jϋnger parlando del suo Al muro del tempo e del giudizio lusinghiero di Hermann Hesse: “ […] una delle idee che io esprimo in quel libro, e che lo colpì, è che per capire ciò che avviene bisogna per così dire spostare lo sguardo dalla storia umana alla storia della terra, bisogna volgersi dalla considerazione del tempo storico a quella del tempo cosmico, della natura. L’umanità è parte dell’accadere del cosmo”(Gnoli-Volpi, citato sopra, p. 90).
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