martedì 20 maggio 2014

Il postumano: Nietzsche è antiquato!








"La Tecnica è un servitore che fa un tale chiasso mettendo in ordine la stanza accanto che i signori non possono far musica" (Karl Kraus)



Presentare Frammento e sistema (Mimesis 2014,pp. 242) di Roberto Fai nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Catania è una provocazione: vi si celebra la morte della politica, prima e più che della scienza politica (che è già una presuntuosa mostruosità). Dovevamo parlare di corda in casa dell’impiccato. Non se n’è fatto niente. Ma neppure con torme di studenti sarebbe successo alcunché, data la folla autistica degli intellettuali, prodotto ultimo della globalizzazione mercatoria che,assieme alla sua ombra, il disagio, è tema del saggio.

Con l’esplosione dominatrice della Tecnica, tutti i medici - buon ultimo il nostro Roberto Fai -  accorsi al capezzale dello Stato nazionale, della democrazia, della sovranità popolare e della politica non hanno potuto non constatare che la politica è morta, lo Stato è larvale, la democrazia è chiacchiera per i talkshow o degli avventori del bar rionale. I becchini sono tanti, divertenti tutti da Le Pen, a Grillo, a Berlusconi, a Crocetta o a Putin (poco divertente, molto inquietante). Siamo in attesa dell’adveniens, del nuovo Messia, della sua Parousìa. Se ne intravvedono i tratti facciali quelli mixati di terribilità di un feroce comico o di una divertente tutta-d'un-pezzo Merkel o di un inespressivo, inaffidabile Putin o dell’ebetino Fonzie.Tutto questo perché siamo al tramonto dentro cui, anzi, sulla cui soglia dobbiamo stare vigili come appena desti all’aurora.

L’Occidente è popolato da occidentali, da tramontanti: il tramonto è la sostanza , la qualità dell’Occidente, il tramonto è occidente, occaso. Pertanto, a noi occidentali nulla di nuovo è accaduto dopo il dilagare della Tecnica: siamo stati sempre occidentali sin dalla nascita del sistema solare.
Prima domanda: se siamo stati sempre occidentali perché la scoperta (1918-1922) di Oswald Arnold Gottfried Spengler  (“l’andata sotto della terra della sera”: traduzione letterale di Der Untergang des Abenlandes) dovrebbe segnare la nascita dell’Occidente alla data della pubblicazione del suo libro o a quella dell’esplosione della Tecnica seguita - come dai cuccioli la mamma - dalla “grande trasformazione” della rivoluzione industriale?(Per inciso, ricordo 1°-  che occidente e tramonto sono sinonimi astronomici e un sinonimo non può auto-specificarsi se non per creare un brusio, un insensatezza, un flatus vocis insignificante; 2°-  che un tramonto non è un punto di poco tratto, ma una linea di durata lunga quanto i secoli che compongono una civiltà; 3° - che dopo Copernico non siamo occidentali, anzi, ad onor del vero astronomico non lo siamo mai stai: il Sole è occidente,tramonta, od oriente, si leva soltanto nella presunzione geocentrica di Tolomeo).


Un saggio “denso” e “inedito” direbbe Fai di questo lavoro per sottolinearne l’eccellenza (“densità”, “condensazione”, “addensamento” e relativi apparentamenti semantici, o  “inedito”  con la variante “inaudito” o “tagliare” “fessurare” “de-cidere”, “soglia” sono i lemmi più frequenti di Fai in questo lavoro, i tic linguistici il cui esame per uno come Leo Spitzer avrebbe chiesto lo spazio di un volume di uguale mole del Frammento e sistema).
 Un saggio denso ma non definitivo che come tutte le buone opere non chiude ma apre questioni.
E cominciamo da Heidegger che  -assieme a Jϋnger e a Schmitt - è il principale attore del teatro filosofico allestito da Fai sul cui impiantito sono chiamati tanti altri personaggi da Nietzshe a Derrida a Cacciari, a Esposito a Bodei a Curi.

Heidegger ovvero l’ossessione della Terra,della terra,delle radici (ma l’uomo ha i piedi, è mobile, itinerante, non stanziale come un vegetale). Heidegger il filosofo-Bauer e mi chiedo se Heidegger in un paese solare come lo scintoista territorio nipponico che - è un maritorio, più che un territorio - abbia mai avuto accoglienza, la devozione tributatagli nel  territorio occidentale.
Heidegger lo leggevo- qualche anno ora è - e alla fine mi rimaneva una forte sensazione di terra e sangue, di terra (Boden) più che di sangue (Blut) e pensavo che mai sugli orizzonti mentali, tolemaici, geocentrici di Heidegger è giunto a stagliarsi (altro tic linguistico di Fai) Copernico, l’eliocentrista.
Il Giappone è “occidentale” dalla Restaurazione Meji del 1868, dalla sconfitta dell’ultimo shogun o, prima, dal 1853 quando il commodoro statunitense Perry attraccò con le sue navi nella baia di Edo. E’ “occidentale” ma è orientale e ha come bandiera distintiva un disco rosso, il disco solare del nonno dell’imperatore e del padre della dea del sole, un disco di esplosiva luce aurorale. Ecco: la Cina, l’India, il Giappone sono atopici mi chiedevo leggendo dell’atopia di cui sarebbe affetto/infetto l’Occidente (pagina 147) ? A me pare che siano ubiquitari, ipertopici! Fai in questo saggio ci presenta una mole immane di riferimenti bibliografici: tutti occidentali, eccezion fatta per quell’ apostata nippoyankee di Fukuyama: non si trova un pensatore orientale manco a peso d’oro (escludiamo Derrida che è un franco algerino, più francese che nord-africano)

Fai affronta la questione del mare, del mare Mediterraneo per sposare in matrimonio - ma senza consumare, senza pervenire alle ultime conseguenze - le tesi di quanti sostengono la centralità - sia pure - di ritorno del Mediterraneo all’arrivo dell’adveniens che - come il Messia per gli ebrei – sarà il vindice della civiltà mediterranea contro cui la Storia s’è accanita, rivelandosi come impostura, imposizione di tramonti estranei e precoci. In realtà, con buona pace di Pedrag Matvejevic, di Fernand Braudel e di Franco Cassano il Mediterraneo è un quasi lago, acqua di risulta degenere degli Oceani, una traccia residuale quasi lacustre, appunto, un quasi stagno della Panthalassa che alla deriva dei Continenti si è concentrata negli Oceani dove si è scatenata la Tecnica, assunti gli Oceani come suoi campi di Marte. Il Mediterraneo è stata la nursery dell’arte nautica,vale a dire della Tecnica per eccellenza, la culla dei mari veri come sosteneva Joseph Conrad ripreso recentemente da Simon Winchester in Atlantico (Adelphi, per il  Pacifico disponiamo da tempo della trilogia di O.K. Spate pubblicata in italiano - ora è tempo -  da Einaudi). Il punto gli è che non si può parlare bene, fare l’elogio del Mediterraneo in presenza di filosofi iperterragni o baltici come Hegel, Kant, Marx, Heidegger, Junger, Schmitt, o l’Hobbes pre-industriale -  solo per fare i nomi più noti di questa lunghissima attraversata di Robero Fai per l’oceano della contemporaneità -. Sinceramente disarmato, non vedo il nesso tra Cassano e Jϋnger, tra Bari e Amburgo, tra la "napoletanità" di Croce e la "tedeschità" di Sloterdjik. In vero, il nesso tra queste distanze geofilosofiche è imprestato da Massimo Cacciari, un pensatore "tedesco", oceanico, figlio di una Venezia ipermediterranea, nauticamente (ex)imperiale. Non trovo coerente in un argomentare filomediterraneistico indicare la Cindia (Cina e l’India,due continenti di natura oceanica, alimentati e posti in essere  dal Mare Cinese e dall’Oceano indiano) quale erede dell’Occidente, dell’Occidente atlantico che è il padre sostanziale dello snervato figlioletto cacciatosi tra le … terre, di nome Mediterraneo, infeudato al gigante Anteo, re dei luoghi comuni.

Roberto Fai ci raccomanda di essere giusti con Marx. Ma Fai ci chiede troppo, chiede di essere indulgenti. Marx, come Federico De Roberto per Antonino di San Giuliano, è stato responsabile del dileggio, della sottovalutazione e della dimenticanza di un pensatore robusto e, quindi, scandaloso come Max Stirner che, recuperato dopo averlo sottratto alla furia del frullatore marxengelsiano dell'Ideologia tedesca, sarebbe il vero protagonista delle pagine di Fai, di quella lunga  rappresentazione della desertificazione europea operata dalla globalizzazione mercatoria. Se c’è uno spettro che si aggira per le pagine di Fai quello appartiene all’Unico (Der Einzige und sein Eigentum, 1844) di Max Stirner, in anticipata prefigurazione dell’individuo sopravvissuto al crollo della sovranità popolare, alla cancrena della democrazia, al collasso della politica, all’implosione della comunità, della communitas, al totalitarismo della democrazia di massa - per dirla con Ernst Jϋnger per il quale, in uscita “stirneriana”, totalitarismo e democrazia di massa “sono due esperienze che obbediscono al principio agonale dei contrari: quanto più si radicalizza un estremo, tanto più affiora quello opposto. A rigore, dal punto di vista dell’Anarca, del grande Solitario, totalitarismo o democrazia di massa non fanno molta differenza. L’Anarca vive negli interstizi della società, la realtà che lo circonda in fondo gli è indifferente, e solo quando si ritira nel proprio mondo, nella propria biblioteca ritrova la sua identità. In ogni caso è raccomandabile la freddezza: su una palude ghiacciata si avanza con maggiore sicurezza e rapidità”(in Antonio Gnoli- Franco Volpi, I prossimi Titani. Conversazioni con Ernst Jϋnger, Adelphi 1997, p.108). Per Stirner l'uomo raggiunge, scopre se stesso, rivela la sua iità, la sua "biblioteca", liberandosi di ogni astratta rappresentazione dell'uomo (l'umanità): la derelizione o deiezione dell'individuo di Heidegger  e & in Stirner e & è unicità ricca di qualità, forte di proprietà. Certo, c'è da chiedersi (ma è altra faccenda) se l'Io di un uomo può predicare la sua non umanità. Non è come scuoiarsi a vivo e apparire come un disegno anatomico che mostra sotto la pelle i muscoli, la carne, le ossa?

Un' ultima osservazione relativa alla vegetalità contadina di Heidegger riferita all’ ”abitare nell’universale sradicamento”. Heidegger scrive(riportato da Fai a pagina 191): “Il modo in cui tu sei e io sono, la maniera con cui noi uomini siamo sulla terra è il Buan, l’abitare. Essere uomo significa: essere sulla terra come mortale; e cioè: abitare”. Mi permetto di affermare che l’essere non è l’abitare se non per una ditta di trasporti, per il postino, così come uno non è quintopianista ché abita al quinto piano. L’habitat determina l’essere vegetale, quello del pomodoro di Pachino o del carciofo di Niscemi o del tartufo di Alba. Gli studiosi di storia del territorio o della città sanno che la delimitazione dello spazio a scopi abitativi o la norma edificale sono ispirate a utopie celesti, a supposte armonie divine come ha ben dimostrato Joseph Rykwert ne L’idea di città. I comunisti non nascono dalla comunità, non sono tali perché abitanti della polis comunitaria ma dalla messa in comune dei beni prodotti o sgraffignati: il modello comunista – come è stato scritto - è in Marx quello dei pirati,di uomini di ventura di mare.

Schmitt ha individuato in un lampo balenante la figura del Grifo quale portatore o cifra simbolica del futuro. Come a dire: la terra è stata la nursery, la culla della umanità, il cielo sarà la prova della sua maturità che dovrebbe spingerla al "transumano" di Attali, al "postumano" che Trotzsky additò, immaginandolo come l’operaio nicciano, l’Arbeiter di Jϋnger, l’uomo della Tecnica o la Tecnica antropizzata, un nuovo Prometeo più i Soviet, il colonizzatore dei mondi oltre la terra, l’astronauta. L’uomo dapprima cacciatore, poi pastore contadino, poi marinaio, poi astronauta. Quale sarà la forma politica della comunità degli astronauti del comunismo di Trotzsky dove l’uomo diverrà “incomparabilmente più forte, più saggio, più acuto. Il suo corpo si farà più armonico, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale, le forme dell’essere acquisteranno una dinamica rappresentatività. La media dell’umanità sarà al livello di un Aristotele, di un Goethe, di un Marx. Oltre queste altezze si eleveranno nuove vette” (Letteratura, arte, libertà 1958 Milano). E la nuova Utopia, congedatasi dal Comunismo, sarà la pratica del Cosmismo. Insomma, oltre la Terra il Sole che non tramonta, fisso nel suo splendore a illuminare il Cosmo, l’habitat del postumano!
Jϋnger parlando del suo Al muro del tempo e del giudizio lusinghiero di Hermann Hesse: “ […] una delle idee che io esprimo in quel libro, e che lo colpì, è che per capire ciò che avviene bisogna per così dire spostare lo sguardo dalla storia umana alla storia della terra, bisogna volgersi dalla considerazione del tempo storico a quella del tempo cosmico, della natura. L’umanità è parte dell’accadere del cosmo”(Gnoli-Volpi, citato sopra, p. 90).

Nessun commento:

Posta un commento