Plato, not Prozac. But Prosecco it's better!
Lou Marinoff, insegnante di Filosofia, presiede l'Associazione Americana dei Terapisti filosofici, ha scritto tra l'altro, Plato,non Prozac (1999) che in italia la Piemme ha tradotto e pubblicato con Platone è meglio del Prozac (2001). I Greci distinguevano l'intelligenza bassa (astuzia, furbizia e, forse anche, competenza professionale artigianale) da quella alta matematica, metafisica), Ulisse (metis) da Aristotele o Platone (logos). Marinoff prende le due intelligenze, le shakera (esiste shakerare in italiano?) e ne sortisce formulette aforistiche da "Baci Perugina" (cento venti per l'esattezza, ricavati da una sessantina di autori). Ah, questi yankees! (Vi avevo mai detto che yankee è la pronuncia indiana di non so quale nazione nord americana dello spregiativo les anglais dei Francesi canadesi e della Louisiana prima che questa fosse venduta agli statunitensi e prima che gli inglesi - i coloni inglesi- diventassero americani con la rivoluzione anticoloniale e antibritannica della seconda metà degli anni Settanta del Settecento?). Ma torniamo a Marinoff che in un solo colpo cerca di togliersi d'attorno psicologi, psicanalisti e gli orridi psichiatri con le loro terapie farmacologiche. Di mezzo ci vanno anche i professori, gli accademici-gli studiosi professionalmente disciplinati - che sono tenuti rigorosamente al bando dal suo Philosopher's Forum, un seminario filosofico mensile tenuto in una libreria di Manhattan. In quel luogo i gruppi di discussione osservano una sola regola fondamentale,la cortesia, e praticano la virtù della tolleranza non esercitata a beneficio dei professori universitari(all'epoca il Nostro era un professore del City College di New York). E Marinoff, in qualità di presidente del Caffè filosofico, si fa merito di scoraggiare "le citazioni, vale a dire i riferimenti a opere filosofiche pubblicate. La discussione extra-accademica riguarda ciò che pensi e ciò che pensano gli altri componenti il gruppo, non quello che è servito a qualcun altro per fare carriera[...]. Non occorre essere laureato in filosofia per avere esperienza e pensare in proprio. Coloro che si limitano a buttare lì nomi altisonanti o tentano di fare colpo con la loro erudizione, evidentemente non afferrano il punto fondamentale della riunione" (p.346 dell'edizione italiana). E, subito dopo, a seguire, come un inaspettato malo colpo in testa, viene sciorinata la citazione più lunga delle 120 citazioni che impreziosiscono il libro, un quarto di pagina! L'ho presa male perché non mi ero ripreso dallo smarrimento empatico per il caso di John, patologicamente indeciso tra mettere in casa di riposo la madre, incapace di badare a se stessa, sola, relegata in una sedia a rotelle, e tenerla nell'abitazione di proprietà a rischio dei danni fisici(era caduta dalle scale). John, in preda all'ansia insostenibile dell'indecisione, si rivolse al terapeuta filosofico il quale si avvalse della "teoria delle decisioni, che è la denominazione filosofica della teoria matematica dei giochi elaborata da John von Neumann e Oskar Morgenstern" (p. 191). C'era un' altra strada a buon mercato,scartata da Marinoff pur con comportante spese di Counseling filosofico o Philosophical Practitioner: il buon senso che è il punto di partenza dell'intelligenza, l'inizio (metis) dell'altezza (logos). Eppure non è il buon senso che manca al Marinoff, tutto il suo libro è una lenzuolata di bonarie e sdrammatizzanti pacche sulla spalla. Che se fossi Platone mi querelerei con Aristotele, Schopenhauer, Budda, Socrate, Sartre, Spinoza(il sommo,anche lui!), Kant(il massimo), Nietzsche, l'Ecclesiaste e gli altri 51 elencati a fine volume! Ma se io fossi George Bush, proprietario della ditta farmaceutica produttrice del Prozac, porterei in tribunale Marinoff e chiederei, a compenso dei danni aziendali subiti, un indennizzo tanto ingente da tenere vita natural durante in ansia Marinoff e costringerlo alla cura del Prozac!
Pensate !Pensare in proprio: "Pensare in proprio è pensare improprio" - mi suggerisce il mio amico Giuseppe -. "Ché il pensare esige dressur. Il vecchio Heidegger diceva allo studente infatuato di Nietzsche: hai passato, prima, vent'anni con Aristotele?". Già, questo, Marinoff (che scrive molto), non pensa proprio! Im-proprio è anche la negazione di proprio, non proprio. Il pensare non è di sua proprietà, non gli appartiene. E' un impertinente del pensiero. Un pensiero impertinente, non ha pertinenza con il pensare, è un rumore mentale a forma di pensiero. Se senti un rumore di indistinta provenienza, da qualche parte si nasconde uno che sta pensando impropriamente. E il mio pensiero(!) andava al convertito Vittorio Messori, cristologo, per il quale solo "chi ha fede non è un cretino" o "la figura retorica del cristiano è l'ossimoro". E se davvero vogliamo un bell' esemplare di pensatore in proprio, pensiamo(!) a Max Stirner ne L'Unico e la sua proprietà (Der Einzige und sein Eigentum), miniera di strepitosa, incendiaria intelligenza che voleva farla finita con tutti quelli che volevano salvare la comunità,che volevano confortare e ospedalizzare la comunità, consulenti (counseling) di umanitarismo, di comunismo o comunitarismo: "Facciamola finita con l'ipocrisia della comunità e riconosciamo che, se noi siamo uguali in quanto uomini, allora per l'appunto noi non siamo uguali, perché non siamo uomini. Noi siamo uguali solo nel pensiero, solo se 'noi' veniamo pensati, ma non come siamo realmente, in carne ed ossa. Io sono io e tu sei me, ma io non sono questo io pensato, anzi, questo io in cui noi tutti siamo uguali è solo un mio pensiero. Io sono un uomo, e tu sei un uomo, ma 'uomo' è solo un pensiero, un'entità generale; né tu né io possiamo venire espressi a parole, noi siamo indicibili perché solo i pensieri possono venire detti e consistono nel venire detti"(p. 325, tr. it., edizione Adelphi, 1979). Pensiamo, fratelli, e riappropriamoci dell'unicità (Einzigkeit). Chiudiamo i conti: l'uomo per giungere all'Io deve liberarsi dell'umanità, di ogni astratta rappresentazione dell'uomo (l'iità contro l'umanità). Ma e come può l'Io di un uomo predicare - e trovare prima - la sua non-umanità? Non è come uno scuoiarsi a vivo? Apparire come i disegni anatomici che mostrano sotto la pelle i muscoli, la carne, le ossa? Che ansia! Quasi quasi lo chiamo (ma tra i suoi sessanta pensatori non c'è traccia di Stirner)!
Poi arriva il professore Umberto Galimberti con una sua rubrica sull'inserto "D" de La Repubblica che offre la sua mallevadoria per i consulenti filosofici preparati alla risposta del disagio spirituale, ideale, al male dell'anima dopo avere seguito "corsi universitari di cinque anni e master biennali con tirocini in scuole, ospedali, carceri e organizzazioni aziendali convenzionate con le università". Ma il nostro filosofo precisa i consulenti filosofici, quelli con Platone al posto del Prozac, non si risolvono a persone con disagi psichici, ma a soggetti che vogliono mettere ordine nella propria vita, riesaminando le proprie idee e la propria visione del mondo, perché come scrive Hillman: 'Anche le idee si ammalano o, indisturbate, lavorano come dettati ipnotici' che distorcono il giudizio sulla realtà, rendendo difficoltosa, quando non dolorosa la propria vita più del necessario. I consulenti filosofici non lavorano con strumenti psicologici, ma con quegli insegnamenti sulla saggezza(phrònesis la chiamava Aristotele) o arte del vivere (téchne tou biou la chiamava Platone [l'antagonista del Prozac]) che ricorrono nelle pagine della filosofia da quando è nata a oggi" (5 ottobre 2913).Bah! Sono tanti i miei giovani amici laureati in Filosofia che hanno idee curate, accurate, sane con cento dieci su cento dieci e lode. Soffrono però di un pericoloso disagio esistenziale: la disoccupazione. Che non è un'idea, ammalata o sana... Quasi, quasi mi faccio uno shampoo: suggeriva l'aedo!
sabato 15 giugno 2013
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L'aubergine.
Accordi commerciali tra Ue e Usa. "La Repubblica", mentre si stanno negoziando accordi commerciali tra Ue e Usa, oggi, 15 giugno 2o13, scrive, a commento di un titolo dove l'Asterix franco si azzuffa con il nord americano Mikey Mouse di Disney: "La posizione di Parigi è estremamente radicale: il settore dell'industria culturale, e in particolare quello audiovisivo, deve essere completamente escluso dal negoziato commerciale Ue-Usa. E' un veto su cui la Francia si trova di fatto sostanzialmente isolata. Ma i trattati europei prevedono che, in materia culturale, le posizioni negoziali debbano essere decise all'unanimità. E dunque i francesi dispongono di un diritto di bloccaggio che non hanno esitato ad impugnare. Il settore audiovisivo in Europa vale circa 17 miliardi di euro all'anno. In alcuni Paesi, come la Francia, è fortemente sovvenzionato con soldi pubblici. Sul fronte dell'interscambio con gli Stati Uniti, l'Europa registra un deficit commerciale di circa un miliardo e mezzo di euro. Naturalmente sono molti i Paesi, tra cui l'Italia, che condividono il timore francese che la cultura europea non possa reggere, senza un sostegno, al confronto con le major di Hollywood e soprattutto al predominio dei colossi della rete, i "big data" che controllano sempre più la distribuzione del materiale audiovisivo sul Pianeta. Tredici ministri della cultura europei, tra cui quello italiano, hanno sottoscritto una lettera della loro collega francese in difesa dell'eccezione culturale".
E' la signora Nicole Bricq, ministra del commercio francese (e non ministra francese del commercio), a sollevare "l'eccezione culturale" o sia "colturale". Una melenzana o melanzana o mulinciana non è creatura meno ortiva sol perché aubergine. A Parigi la melenzana, esposta nei banchetti degli ortifruttivendoli (arabi, asiatici, subsahariani... manco un francese!), sembra un ortaggio, una melenzana. Anzi,mangiata, lo è. Certo, Parigi vale una messa, ma non una presa in giro. L'identità della Cultura non è l'identità culturale: la prima è indefinita, infinita e non definibile come invece lo è in una bottiglia il suo contenuto, non avendo data di nascita o luogo domiciliare, trovandosi, in terra in cielo in mare e in ogni luogo e in tutti i tempi; la seconda è ortiva, colturale ed è quella dell'uomo-melenzana, della melenzana uguale a se stessa ovunque, parmenidea, fissata per sempre come l'oca sul tavolo ingozzata fino a farle scoppiare il fegato (foie gras). Iu sugnu sicilianu, mi son lumbàrd, nui simm'e napule, paisà...il fegato d'oca! Asterix, francese, controTopolino, americano? Asterix mi fa venire in mente la maschera delle regioni italiane, il teatro dei pupi, Orlando che cangia o si intravvede nel baffuto mafioso con la coppola, Pulcinella, il guappo napoletano, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno...Insomma. tutte le volte che un commerciante o un industriale parla di cultura, io metto mano ... al sarcasmo e rileggo quel prodigioso libricino di Stendhal, D'un nouveau complot contre les industriels (1825), lanciato contro i commercianti e gli industriali, il romanticismo contro l'industrialismo, i valore dello spirito contro quelli degli affari economici. La sua dottrina non aveva riscosso favore presso i grandi giornali e per questo chiedeva ospitalità presso i piccoli: "L'industrialismo vuole fare lavorare tutti. Appena non ci sarà il dolce far niente non si troverà più nessuno per gustare l'Orlando dell'Ariosto o le statue del Canova. Andate a proporre a un imprenditore che paga 800 operai alla settimana di leggere l'Orlando furioso, vi risponderà: Penso alle furfanterie che possono farmi i miei operai o anche i miei capimastri. Se l'industrialismo ci invade diventeremo ancora più barbari nei confronti delle arti. Saremo tristi come gli Inglesi. Quella povera gente soccombe per eccesso di lavoro", Henry Beyle diffidava dell'industrialismo del suo "culturalismo" e avrebbe diffidato del supposto interesse degli industriali e dei commercianti, sia pure ministri/e, per la cultura (tutta, anche quella non audiovisiva che ai suoi tempi era quella visiva senza audio della pittura, della scultura, dell'architettura). A 17 miliardi di euro l'anno ammonta il fatturato audiovisivo europeo minacciato da zio Tom. I francesi ci perderebbero la faccia, anzi, l'identità culturale, dell'immaginario. Un settore, quello dell'industria cinematografica, finanziato dallo Stato che ha a cuore la cultura e che fa vibrare di compassione il cuore (o il fegato) di Massimo Bray, ministro leccese per i beni culturali, eroicamente isolato come quel genio incompreso del suo compaesano Carmelo Bene,vuole difendere la cultura di Asterix. Ma perché non si batte all'interno del suo governo per aumentare gli stipendi dei professori italiani di ogni ordine e grado? Sono questi alla base della "produzione" di Cultura. Cultura, non coltura! Questo dell'eccezione culturale della ministra francese è un capitolo del vecchio complotto degli industriali contro la classe dei pensanti alla quale riteneva di appartenere Stendhal.E' una misura protezionista in difesa dell'industria dell'aubergine, della melenzana industriale!
domenica 9 giugno 2013
Kaos o Epimeteo a Venezia, la mummia e i vermi
Interrare la laguna e pedonalizzare il mare e ai margini mette a coltura tante, tante melenzane. Che poi saranno colte!
Kaos ora e sempre!Kaos uno e Kaos due: sembrano due contenitori a scala diversa.La cosmetica del caos.O questa contemporaneità(il contenitore dei rifiuti rovesciato sull'asfalto stradale) o quella colta dalla foto precedente (il contenitore dei consumatori dei residui del passato, innalzato sulla strada del mare). Questa è la contemporaneità:la contestualizzazione del disordine come la Tecnica devastante l'ordine presepiale, la cartolina turistica di Piazza San Marco, l'intrusione della Storia(le titaniche navi-crociera) nella post-storia di Venezia turistica (la mummificazione verminante del suo passato) e la contestazione del disordine, disordinare il disordine, la cosmetica del caos, l'armonia del caos, l'ubiquitarietà del kaos. Noi preferiamo, dei due, il kaos azzardato della nave crociera che si prende il caffè a Piazza San Marco! Con i pittori e i poeti futuristi Boccioni, Carrà Marinetti e altri, previggenti di ponti metallici (Calatrava) e opifici chiomati di fumo (le navi crociera),: "Noi ripudiamo l'antica Venezia, estenuata e sfatta da voluttà secolari, che noi pure amammo e possedemmo in un gran sogno nostalgico. Ripudiamo la Venezia dei forestieri, mercato di antiquari falsificatori, calamita dello snobismo e dell'imbecillità universali, letto sfondato da carovane di amanti, semicupio ingemmato per cortigiane cosmopolite. Noi futuristi vogliamo guarire questa tediosa città ammalata. Siano colmati i suoi più fetidi canali con le macerie dei suoi palazzi lebbrosi; la rigida geometria dei ponti metallici e degli opifici chiomati di fumo abolisca le curve cascanti delle vecchie architetture, e la divina Luce Elettrica liberi finalmente Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera ammobigliata". Epperò, un equivoco va estirpato come fosse un callo mentale: i luddisti conservatori sono i difensori del logoro piazzasanmarchismo contro la novità delle architetture e dell'antropologia contemporanee. I talebani sono i critici d'arte a-quattro-un-soldo, i mummificati antagonisti della contemporaneità. E se Piazza San Marco fosse un cliché? La nuova, la nostra architettura è quella inestricabilmente intrecciata tra paesaggio naturale - per natura s'intende anche l'architettura passata a fare parte dell'identità di questo o quel luogo (e solo in natura c'è identità fissa, solo la natura è identica a se stessa, come la melenzana o un qualsiasi ortaggio o una mummia o Piazza San Marco consegnata al cliché o al luogo comune nel tempo e nello spazio). Resta il fatto che la contestazione alla contemporaneità vien praticata nei paesi islamici con il kalashnikov della modernità da chi è escluso - oppure offeso nei suoi antichi valori - dalla modernità; a Venezia la contestazione della Storia - che entra nella post-Storia come attività turistica - è ingaggiata dagli esclusi o dai non beneficiari dell'attività turistica, unica forma di vita del disfacimento di un luogo, i vermi dei cadaveri. Da questa parte i talebani colti, anzi coltissimi (sono da leggere i testi dei grandi intellettuali integralisti dell'Islam), dall'altra la contemporaneità che convive problematicamente e intelligentemente con i resti del passato. Calatrava ha fatto il Ponte della Costituzione sul Canal Grande, il simbolo del coraggio e della intelligenza che fa convivere antico e moderno, che pone la contemporaneità come convivenza ( e conflitto) fra antico e moderno. Forse nel caso della nave crociera che emerge a piazza San Marco, in quell'oceano pieno di edifici e di luoghi comuni, c'è dell'altro forse: l'inquietante natura della nave sottolineata ne Il nemico di tutti (Quodlibet 2010) di Daniel Heller-Roazen che cita Herman Melville di Benito Cereno: "[...]la casa come la nave - l'una per mezzo delle pareti e delle persiane, l'altra delle murate alte come bastioni - nascondono alla vista i loro interni fino all'ultimo; ma nel caso della nave c'è questo in più, che il vivente spettacolo da essa contenuto ha nella sua repentina e integrale apparizione, in contrasto con il vuoto oceano che la circonda, l'effetto quasi di un miraggio. La nave sembra irreale[...]".
Kaos ora e sempre!Kaos uno e Kaos due: sembrano due contenitori a scala diversa.La cosmetica del caos.O questa contemporaneità(il contenitore dei rifiuti rovesciato sull'asfalto stradale) o quella colta dalla foto precedente (il contenitore dei consumatori dei residui del passato, innalzato sulla strada del mare). Questa è la contemporaneità:la contestualizzazione del disordine come la Tecnica devastante l'ordine presepiale, la cartolina turistica di Piazza San Marco, l'intrusione della Storia(le titaniche navi-crociera) nella post-storia di Venezia turistica (la mummificazione verminante del suo passato) e la contestazione del disordine, disordinare il disordine, la cosmetica del caos, l'armonia del caos, l'ubiquitarietà del kaos. Noi preferiamo, dei due, il kaos azzardato della nave crociera che si prende il caffè a Piazza San Marco! Con i pittori e i poeti futuristi Boccioni, Carrà Marinetti e altri, previggenti di ponti metallici (Calatrava) e opifici chiomati di fumo (le navi crociera),: "Noi ripudiamo l'antica Venezia, estenuata e sfatta da voluttà secolari, che noi pure amammo e possedemmo in un gran sogno nostalgico. Ripudiamo la Venezia dei forestieri, mercato di antiquari falsificatori, calamita dello snobismo e dell'imbecillità universali, letto sfondato da carovane di amanti, semicupio ingemmato per cortigiane cosmopolite. Noi futuristi vogliamo guarire questa tediosa città ammalata. Siano colmati i suoi più fetidi canali con le macerie dei suoi palazzi lebbrosi; la rigida geometria dei ponti metallici e degli opifici chiomati di fumo abolisca le curve cascanti delle vecchie architetture, e la divina Luce Elettrica liberi finalmente Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera ammobigliata". Epperò, un equivoco va estirpato come fosse un callo mentale: i luddisti conservatori sono i difensori del logoro piazzasanmarchismo contro la novità delle architetture e dell'antropologia contemporanee. I talebani sono i critici d'arte a-quattro-un-soldo, i mummificati antagonisti della contemporaneità. E se Piazza San Marco fosse un cliché? La nuova, la nostra architettura è quella inestricabilmente intrecciata tra paesaggio naturale - per natura s'intende anche l'architettura passata a fare parte dell'identità di questo o quel luogo (e solo in natura c'è identità fissa, solo la natura è identica a se stessa, come la melenzana o un qualsiasi ortaggio o una mummia o Piazza San Marco consegnata al cliché o al luogo comune nel tempo e nello spazio). Resta il fatto che la contestazione alla contemporaneità vien praticata nei paesi islamici con il kalashnikov della modernità da chi è escluso - oppure offeso nei suoi antichi valori - dalla modernità; a Venezia la contestazione della Storia - che entra nella post-Storia come attività turistica - è ingaggiata dagli esclusi o dai non beneficiari dell'attività turistica, unica forma di vita del disfacimento di un luogo, i vermi dei cadaveri. Da questa parte i talebani colti, anzi coltissimi (sono da leggere i testi dei grandi intellettuali integralisti dell'Islam), dall'altra la contemporaneità che convive problematicamente e intelligentemente con i resti del passato. Calatrava ha fatto il Ponte della Costituzione sul Canal Grande, il simbolo del coraggio e della intelligenza che fa convivere antico e moderno, che pone la contemporaneità come convivenza ( e conflitto) fra antico e moderno. Forse nel caso della nave crociera che emerge a piazza San Marco, in quell'oceano pieno di edifici e di luoghi comuni, c'è dell'altro forse: l'inquietante natura della nave sottolineata ne Il nemico di tutti (Quodlibet 2010) di Daniel Heller-Roazen che cita Herman Melville di Benito Cereno: "[...]la casa come la nave - l'una per mezzo delle pareti e delle persiane, l'altra delle murate alte come bastioni - nascondono alla vista i loro interni fino all'ultimo; ma nel caso della nave c'è questo in più, che il vivente spettacolo da essa contenuto ha nella sua repentina e integrale apparizione, in contrasto con il vuoto oceano che la circonda, l'effetto quasi di un miraggio. La nave sembra irreale[...]".
I contestatori delle navi-crociera a Venezia: Prometeo, “quello che capisce prima” e si diede da fare per rubare il fuoco della Storia agli dei dell’Eternità immodificabile, ha un fratello, Epimeteo, “quello che capisce in ritardo”, il ritardato, il cretino, la melenzana. E sposò Pandora che aprirà il vaso, che partorirà tutti i malanni di cui fu capace la stupidità rancorosa, sovrumana, pre-umana di Zeus, punitore e invidioso di Prometeo! A Epimeteo non interessavano gli uomini, ma le bestie, “gli esseri privi di ragione”. Il testo greco del Protagora di Platone nella traduzione di Giovanni Reale recita: “orbene, Epimeteo che non era troppo sapiente, non si accorse di avere esaurite tutte le facoltà per gli animali”, a favore di tutti gli esseri privi di ragione”, τά άλογα, i senza logos, gli irragionevoli del creato, animali, frutta e verdura. Le melenzane: τά άλογα per eccellenza.
Di seguito un’altra traduzione e parziale commento tratti da Internet
Nel "Protagora", il noto sofista di Abdera illustra la propria tesi col mito di Epimeteo e Prometeo: Zeus, per render loro possibile vivere in società, ha distribuito aidos e dike a tutti gli uomini. Gli uomini hanno bisogno della cultura e dell'organizzazione politica perché sono creature prive di doti naturali, come artigli, denti e corna, immediatamente funzionali ai loro bisogni. Tutti partecipano di queste due virtù "politiche". Ma esse non vanno viste come connaturate all'uomo, bensì come qualcosa di sopravvenuto, qualcosa che è stato trasmesso in maniera consapevole, e non semplicemente attribuito in un processo cieco, "epimeteico", del quale si può render conto soltanto ex post: per questo è possibile insegnare aidos e dike agli uomini, mentre non si può "insegnare" a un toro ad avere corna e zoccoli.
Ci fu un tempo in cui esistevano gli dei, ma non le stirpi mortali. Quando giunse anche per queste il momento fatale della nascita, gli dei le plasmarono nel cuore della terra, mescolando terra, fuoco e tutto ciò che si amalgama con terra e fuoco. Quando le stirpi mortali stavano per venire alla luce, gli dei ordinarono a Prometeo e a Epimeteo di dare con misura e distribuire in modo opportuno a ciascuno le facoltà naturali. Epimeteo chiese a Prometeo di poter fare da solo la distribuzione: "Dopo che avrò distribuito - disse - tu controllerai". Così, persuaso Prometeo, iniziò a distribuire. Nella distribuzione, ad alcuni dava forza senza velocità, mentre donava velocità ai più deboli; alcuni forniva di armi, mentre per altri, privi di difese naturali, escogitava diversi espedienti per la sopravvivenza. [321] Ad esempio, agli esseri di piccole dimensioni forniva una possibilità di fuga attraverso il volo o una dimora sotterranea; a quelli di grandi dimensioni, invece, assegnava proprio la grandezza come mezzo di salvezza. Secondo questo stesso criterio distribuiva tutto il resto, con equilibrio. Escogitava mezzi di salvezza in modo tale che nessuna specie potesse estinguersi. Procurò agli esseri viventi possibilità di fuga dalle reciproche minacce e poi escogitò per loro facili espedienti contro le intemperie stagionali che provengono da Zeus. Li avvolse, infatti, di folti peli e di dure pelli, per difenderli dal freddo e dal caldo eccessivo. Peli e pelli costituivano inoltre una naturale coperta per ciascuno, al momento di andare a dormire. Sotto i piedi di alcuni mise poi zoccoli, sotto altri unghie e pelli dure e prive di sangue. In seguito procurò agli animali vari tipi di nutrimento, per alcuni erba, per altri frutti degli alberi, per altri radici. Alcuni fece in modo che si nutrissero di altri animali: concesse loro, però, scarsa prolificità, che diede invece in abbondanza alle loro prede, offrendo così un mezzo di sopravvivenza alla specie. Ma Epimeteo non si rivelò bravo fino in fondo: senza accorgersene aveva consumato tutte le facoltà per gli esseri privi di ragione. Il genere umano era rimasto dunque senza mezzi, e lui non sapeva cosa fare. In quel momento giunse Prometeo per controllare la distribuzione, e vide gli altri esseri viventi forniti di tutto il necessario, mentre l’uomo era nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi. Intanto era giunto il giorno fatale, in cui anche l’uomo doveva venire alla luce. Allora Prometeo, non sapendo quale mezzo di salvezza procurare all’uomo, rubò a Efesto e ad Atena la perizia tecnica, insieme al fuoco - infatti era impossibile per chiunque ottenerla o usarla senza fuoco - e li donò all’uomo. All’uomo fu concessa in tal modo la perizia tecnica necessaria per la vita, ma non la virtù politica. [322] Questa si trovava presso Zeus, e a Prometeo non era più possibile accedere all’Acropoli, la dimora di Zeus, protetta da temibili guardie. Entrò allora di nascosto nella casa comune di Atena ed Efesto, dove i due lavoravano insieme. Rubò quindi la scienza del fuoco di Efesto e la perizia tecnica di Atena e le donò all’uomo. Da questo dono derivò all’uomo abbondanza di risorse per la vita, ma, come si narra, in seguito la pena del furto colpì Prometeo, per colpa di Epimeteo. Allorché l’uomo divenne partecipe della sorte divina, in primo luogo, per la parentela con gli dei, unico fra gli esseri viventi, cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dei. Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli e l’agricoltura. Con questi mezzi in origine gli uomini vivevano sparsi qua e là, non c’erano città; perciò erano preda di animali selvatici, essendo in tutto più deboli di loro. La perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata alla lotta contro le belve (infatti gli uomini non possedevano ancora l’arte politica, che comprende anche quella bellica). Cercarono allora di unirsi e di salvarsi costruendo città; ogni volta che stavano insieme, però, commettevano ingiustizie gli uni contro gli altri, non conoscendo ancora la politica; perciò, disperdendosi di nuovo, morivano. Zeus dunque, temendo che la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e giustizia, affinché fossero fondamenti dell’ordine delle città e vincoli d’amicizia. Ermes chiese a Zeus in quale modo dovesse distribuire rispetto e giustizia agli uomini: «Devo distribuirli come sono state distribuite le arti? Per queste, infatti, ci si è regolati così: se uno solo conosce la medicina, basta per molti che non la conoscono, e questo vale anche per gli altri artigiani. Mi devo regolare allo stesso modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a tutti gli uomini?« «A tutti - rispose Zeus - e tutti ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città, se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti. Istituisci inoltre a nome mio una legge in base alla quale si uccida, come peste della città, chi non sia partecipe di rispetto e giustizia». [323] Per questo motivo, Socrate, gli Ateniesi e tutti gli altri, quando si discute di architettura o di qualche altra attività artigianale, ritengono che spetti a pochi la facoltà di dare pareri e non tollerano, come tu dici - naturalmente, dico io - se qualche profano vuole intromettersi. Quando invece deliberano sulla virtù politica - che deve basarsi tutta su giustizia e saggezza - ascoltano il parere di chiunque, convinti che tutti siano partecipi di questa virtù, altrimenti non ci sarebbero città. Questa è la spiegazione, Socrate. Ti dimostro che non ti sto ingannando: eccoti un’ulteriore prova di come in realtà gli uomini ritengano che la giustizia e gli altri aspetti della virtù politica spettino a tutti. Si tratta di questo. Riguardo alle altre arti, come tu dici, se qualcuno afferma di essere un buon auleta o esperto in qualcos'altro e poi dimostri di non esserlo, viene deriso e disprezzato; i familiari, accostandosi a lui, lo rimproverano come se fosse pazzo. Riguardo alla giustizia, invece, e agli altri aspetti della virtù politica, quand’anche si sappia che qualcuno è ingiusto, se costui spontaneamente, a suo danno, lo ammette pubblicamente, ciò che nell’altra situazione ritenevano fosse saggezza - dire la verità - in questo caso la considerano una follia: dicono che è necessario che tutti diano l’impressione di essere giusti, che lo siano o no, e che è pazzo chi non finge di essere giusto. Secondo loro è inevitabile che ognuno in qualche modo sia partecipe della giustizia, oppure non appartiene al genere umano. Dunque gli uomini accettano che chiunque deliberi riguardo alla virtù politica, poiché ritengono che ognuno ne sia partecipe. Ora tenterò di dimostrarti che essi pensano che questa virtù non derivi né dalla natura né dal caso, ma che sia frutto di insegnamento e di impegno in colui nel quale sia presente. Nessuno disprezza né rimprovera né ammaestra né punisce, affinché cambino, coloro che hanno difetti che, secondo gli uomini, derivano dalla natura o dal caso. Tutti provano compassione verso queste persone: chi è così folle da voler punire persone brutte, piccole, deboli? Infatti, io credo, si sa che le caratteristiche degli uomini derivano dalla natura o dal caso, sia le buone qualità, sia i vizi contrari a queste. Se invece qualcuno non possiede quelle qualità che si sviluppano negli uomini con lo studio, l’esercizio, l’insegnamento, mentre ha i vizi opposti, viene biasimato, punito, rimproverato".
(Platone, Protagora, 320 C - 324 A)
venerdì 7 giugno 2013
"Garibaldi era un cornuto" e la guerra è omosessuale
Uno, Salvatore Silvano Nigro,professore di Letteratura italiana, ci narra di Tommasi di Lampedusa o meglio di Don Fabrizio Corbèra, principe di Salina, de Il gattopardo, l'altro,Giuseppe Raciti, filosofo, scrive di Jonathan Littell o meglio di Max Aue delle Benevole/Eumenidi. Due saggi sideralmente lontani per ambito "disciplinare" sia pure tenuti insieme per familiarità letteraria, gemelli per sapienza indagatoria. Sono due recensioni lunghissime, l'una di 151 (Sellerio editore 2012), l'altra di 114 pagine (Mimesis editore 2013).Ineffabili.Nulla da dire. Da leggere, godendo e apprendendo il giocoso virtuosismo dell'archeologia bibliografica. Meritano entrambi il "Nobel della Recensione come categoria biblio-letterario-filosofica". L'archeologia genealogica di Foucault (a loro insaputa?Non certamente nel caso di Raciti!) scopre il bottino della bibliografia diffusa di un tessuto di scrittura,ridisegna la mano che disegna se stessa, riproduce il film che è un film di altri come nelle pellicole di Tarantino, il quale ama dire che "i grandi autori non copiano, ma rubano". E nascondono l'evidenza, da dissotterrare - più che recensire - con i criteri dell'archeologia.
La melenzana robotica dell'energumeno e la sua zucca identitaria.
L'identità è il passato volto al futuro quando anche questo è passato. La sua azione è al futuro anteriore, una supposizione. Oppure, l'identità, come il sarchiapone, è una costruzione indefinita mai "identica" a se stessa oppure è quella dei denti del drago, ucciso da Cadmo, un automatismo da energumeno. Gli Spartoi, "uomini seminati" (gegeneis: nati dalla terra) germogliano, come da chicchi di grano i cereali, e si presentano quali guerrieri armati di tutto punto - scrive Jean-Pierre Vernant ne L'universo,gli dèi, gli uomini ( Einaudi 2000, p.145) "in tenuta da oplita, con elmo, scudo,gladio, lancia, schinieri, corazza. Spuntati dal suolo, i guerrieri assumono subito un atteggiamento di minaccia, si guardano l'un l'altro, squadrandosi, diffidano come possono fare solo creature interamente votate al massacro, alla guerra,alla violenza bellica, guerrieri dalla testa ai piedi". In tempi di pace li si trova sugli spalti dei campi di calcio, i "warriors" dell'autoctonietà. Cadmo, che deve fondare Tebe rassegnatosi alla perdita della sorella Europa non più rintracciabile, "capisce immediatamente che [gli Uomini seminati] potrebbero rivoltarglisi contro. Afferra dunque una pietra e approfittando del fatto che i guerrieri miracolosi sono intenti a sfidarsi l'un l'altro con lo sguardo, la getta in mezzo a loro. Non sapendo da chi è stata scagliata la pietra, gli uomini si accusano reciprocamente e si massacrano. Solo cinque sopravvivono [...]. Sono uomini nati dalla terra, autoctoni. Non sono vagabondi, le loro radici affondano saldamente nel suolo; rappresentano il legame fondamentale e concreto con la terra tebana e sono interamente votati alla vita guerriera". Una melenzana robotica o sia - con Eraclito - un demone identitario ortivo, se risponde a plausibilità il noto aforisma: il carattere di un uomo è il suo demone che balza fuori come vuole la Madre Terra e secondo i misteri frigi ripresi e avvalorati da Platone per il quale nel Politico le psuchai (anime) "sono concepite come semi che cadono penetrando nella terra e nel Timeo come seminate nella terra e in altri mondi". La citazione precedente annota il passo seguente:"L'idea che l'anima e il seme della nuova vita si trovassero nella testa si può ora ipotizzare sorretta dall'assimilazione dell'uomo ad altri figli della Madre Terra, più in particolare al grano che sembra alla base dei riti misterici, non solo eleusini; tale assimilazione ricorre nei racconti secondo i quali gli uomini nascevano un tempo dalla terra dopo essere stati seminati. E' noto che nei misteri frigi il dio era una spiga mietuta ricca di linfa e tale era la suprema rivelazione di Eleusi": così R.B.Onians nel suo geniale saggio, Le origini del pensiero europeo (Adelphi 2011, p. 140). La testa, a terra adagiata,dalla terra rinvigorita come Anteo dalla sua genitrice, dall'humus generatore e rigeneratore materno, non di rado era una zucca e... caput cucurbita fit!
L'identità è il passato volto al futuro quando anche questo è passato. La sua azione è al futuro anteriore, una supposizione. Oppure, l'identità, come il sarchiapone, è una costruzione indefinita mai "identica" a se stessa oppure è quella dei denti del drago, ucciso da Cadmo, un automatismo da energumeno. Gli Spartoi, "uomini seminati" (gegeneis: nati dalla terra) germogliano, come da chicchi di grano i cereali, e si presentano quali guerrieri armati di tutto punto - scrive Jean-Pierre Vernant ne L'universo,gli dèi, gli uomini ( Einaudi 2000, p.145) "in tenuta da oplita, con elmo, scudo,gladio, lancia, schinieri, corazza. Spuntati dal suolo, i guerrieri assumono subito un atteggiamento di minaccia, si guardano l'un l'altro, squadrandosi, diffidano come possono fare solo creature interamente votate al massacro, alla guerra,alla violenza bellica, guerrieri dalla testa ai piedi". In tempi di pace li si trova sugli spalti dei campi di calcio, i "warriors" dell'autoctonietà. Cadmo, che deve fondare Tebe rassegnatosi alla perdita della sorella Europa non più rintracciabile, "capisce immediatamente che [gli Uomini seminati] potrebbero rivoltarglisi contro. Afferra dunque una pietra e approfittando del fatto che i guerrieri miracolosi sono intenti a sfidarsi l'un l'altro con lo sguardo, la getta in mezzo a loro. Non sapendo da chi è stata scagliata la pietra, gli uomini si accusano reciprocamente e si massacrano. Solo cinque sopravvivono [...]. Sono uomini nati dalla terra, autoctoni. Non sono vagabondi, le loro radici affondano saldamente nel suolo; rappresentano il legame fondamentale e concreto con la terra tebana e sono interamente votati alla vita guerriera". Una melenzana robotica o sia - con Eraclito - un demone identitario ortivo, se risponde a plausibilità il noto aforisma: il carattere di un uomo è il suo demone che balza fuori come vuole la Madre Terra e secondo i misteri frigi ripresi e avvalorati da Platone per il quale nel Politico le psuchai (anime) "sono concepite come semi che cadono penetrando nella terra e nel Timeo come seminate nella terra e in altri mondi". La citazione precedente annota il passo seguente:"L'idea che l'anima e il seme della nuova vita si trovassero nella testa si può ora ipotizzare sorretta dall'assimilazione dell'uomo ad altri figli della Madre Terra, più in particolare al grano che sembra alla base dei riti misterici, non solo eleusini; tale assimilazione ricorre nei racconti secondo i quali gli uomini nascevano un tempo dalla terra dopo essere stati seminati. E' noto che nei misteri frigi il dio era una spiga mietuta ricca di linfa e tale era la suprema rivelazione di Eleusi": così R.B.Onians nel suo geniale saggio, Le origini del pensiero europeo (Adelphi 2011, p. 140). La testa, a terra adagiata,dalla terra rinvigorita come Anteo dalla sua genitrice, dall'humus generatore e rigeneratore materno, non di rado era una zucca e... caput cucurbita fit!
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