mercoledì 11 giugno 2014

La legge del territorio, la storia montanara, potamica, lacustre di animali, pesci e ortaggi.

         








Roberto Kusterle


     Jules Michelet (1798-1874), immenso scrittore di storia (fra l’altro, 7 volumi di Storia della rivoluzione francese, 19 volumi di Storia della Francia), a proposito di geografia e storia, di uomo e ambiente (di mulinciana?), all’indomani della Rivoluzione di Luglio del 1830 che porterà sul trono francese  con Luigi Filippo la casa d’Orléans in sostituzione di quella del Borbone, Carlo X: “Perché l’uomo si incorpora al suolo? Gli è che, […]non vedendo nulla di là dalla montagna, dal fiume che delimita il proprio cantone, egli si piega e accetta la legge del territorio. La natura è diventata forte, l’uomo debole[per il quale e per gli storiografi come Thierry e come Guizot] la storia non è altro che un affare della geografia. [Ma] la storia [è definibile] come la vittoria progressiva della libertà umana sulla fatalità della natura”( citazioni tratte dalla Prefazione di Franco Farinelli a Lucien Febvre, La terra e l’evoluzione umana. Introduzione geografica alla storia, Einaudi 1980). 

giovedì 5 giugno 2014

La riscrittura







L'intreccio è un nodo aggrovigliato dentro cui sono finiti due rapinatori in ostaggio di Muna e Alice, prese in ostaggio, nella loro Stanza 707 di un albergo parisien.Come uscirne? Come lasciare la Francia, oui ... la France, e tornare a Catania, in via Calatabiano?

“Così siamo ridotti, mio piccolo Iano: solo la più falsa delle operazioni degli uomini, la letteratura, restituisce verità agli uomini”- così parlò, a pagina 167, Agata Scuderi, autrice di un libricino, Annusare il passato, ricavato dalla sua tesi di laurea in Lettere, e merciaiola in una rivendita di cotoni, lane, velluti, fiori secchi, profumi, bottoni, costumi teatrali e maschere di carnevale. E come Agata il suo autore, Francesco Merlo, “da sempre” romanziere mimetizzatosi “da sempre” tra i giornalisti per via della maschera e del costume del giornalista, raccattabili  - maschera e costume - in un qualsiasi negozio (testata di giornale) di una qualsiasi Agata direttrice di quotidiani e riviste, si permette di marcare con sarcasmo vivo e dolcezza ironica la sua distanza dai servitori, dagli schiavi, dagli asserviti alla notizia, alla retorica della notizia. In forza della letteratura, con la forza e l’impunità che gli deriva dalle ragioni della letteratura, gaiamente prende per i fondelli l’universo intero, non autoescludendosi. Infatti l’autore della Stanza 707 non risparmia Francesco Merlo che dice di sé in terza di copertina di essere “da sempre giornalista”, dal primo vagito, tra i pannolini, ai salesiani, in bagno, in barca, in montagna, in pianura, in auto, in bicicletta, mentre dorme, mentre fa l’amore, con i figli, con gli amici. Da sempre. O forse mai perché “da sempre” nel bugiardino del volumetto della Bompiani(2014) è un’excusatio non petita, un metter le mani avanti, un alibi come se avesse commesso un reato, un lungo reato, un reato da sempre: quello di non essere stato mai giornalista ma di stare e di essere stato da sempre tra i giornalisti. A dire il vero, Francesco Merlo ha usato da sempre pretestuosamente la notizia per fare prosa d’arte. Al contrario di un suo mito di scrittura e di ironia, Alessandro Manzoni che assunse ne I promessi sposi, il genere del romanzo, della fiction per fare storiografia. Mentre questi inventò Renzo Tramaglino per produrre il saggio storiografico su La colonna infame, Merlo  inventa (inven ire = trovare all'incontro, ire e cercare) la notizia per mettere in forma (informare) il suo talento di prosatore.
Nella Stanza 707 non c’è una storia (né History, né Story) ci sono due tarantiniani ragazzi, Iano e - in rima - Cristiano, come Nino e Tino della dedica, ci sono due - anzi tre (splendida la formicologa Muna de Kalbermatten) – donne, Alice (del paese delle meraviglie) ed Eva Diabolik Kant (che si legge come il cognome del filosofo tedesco, ma che è anche la pronuncia dell’inglese cunt).C’è il protagonista ma è assente (l’essenza dell’assenza):il feroce capomafia, ’u zu Ginu che, omosessuale, se la tira più e meglio di un titolare di cattedra universitaria, di un professore di Filosofia teoretica e morale. La Stanza 707  è un forziere di battute veloci, di aforismi, di pizzini, di trovate intelligenti, di corde che non si annodano, di ricordi, di paesaggi libanesi che sono quelli della contemporaneità, ora siriani, ora turchi, ora nordafricani, ora siciliani, ora romani, torinesi, milanesi, banlieueparigine dopo una giornata che tende sempre più ad allungarsi oltre le 24 ore, le strade invase dagli eccessi ballardiani delle manifestazioni blackbloccate. La chienlit, oui! Siamo tutti canaglie,sì!
Una scrittura sapiente contro l’amore (che fa rima con cuore, a Sanremo, capitale d’Italia) e per gli ottanta tipi di cornuti del Tableau Analytique du Cocuage di Charles Fourier,
contro gli esperti televisivi che si impancano ad aristoteli dell’ovvietà da loro tormentata,
contro i giornalisti tutti, anche quelli, quello, con il sottopanza nello schermo televisivo dello “storico” (non lo sapevamo che Paolo Mieli è “da sempre”  storico – rectius: storiografo – : solo recentemente ha fatto outing dichiarando il cambio della professione),
contro Dante Alighieri, recitato da quell’eccelso - che manco Sermonti ci può - dantista Benigni, comico, al quale nessun letterato rimprovera di essere un comico come Grillo diversamente trattato,
contro il genere romanzesco perché Stanza 707 non è un romanzo e non è anti-romanzo come il Tristam Shandy di Laurence Sterne,
contro il giornalismo … che, indifferente alla Grammatica, la notizia è quella della cinque W, le Five Ws (Why, Who, When, What, Where),
contro Parigi,anzi, la parigità del provincialismo allucinato,
contro i poliglotti che non hanno nulla da dire ma lo dicono in tante lingue.
Contro il senso, per il controsenso o il buon senso, per il contromano: completata la lettura non ci si ricorda come finisce o da dove prende inizio il racconto. Non è lineare, è un cerchio: in qualsiasi punto della circonferenza si è  lontani dal centro. 
Lontano da dove (1971) si titola un magnifico saggio di Claudio Magris sulla tradizione ebraico-orientale in Joseph Roth, cantore della fine dell'impero Asburgico, omaggiato di una citazione nella "Stanza 707".
Non c’è dove andare. Ridere, sorridere, irridere silenziosamente ché “se la parola è quella che non si dice, il pizzino migliore è quello che si riscrive” - diceva lo zio Gino, ricordato da Cristiano. La vita di ognuno di noi non è forse una lunga riscrittura?




La storiografia di squola



Antonino di San Giuliano
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"La politica estera non vi piace,eh? E allora sarete sempre eterodiretti, storditi nelle faccenduole del cortile di casa, imbozzolati in quel guscio d'ostriche senza luce d'intelletto che è l'isola nostra,anzi, vostra, melenzane!"



Gli insegnanti di “Storia Contemporanea” dell’Università di Catania hanno organizzato il 27 e 28 maggio a Catania nell’Aula Magna del Rettorato un convegno sulla prima guerra mondiale a Catania. Originali i titoli di alcune relazioni, meno “futurista” quella sul futurismo guazzante in un diluvio di bibliografia qualificata a sua illustrazione. Il Rettore, padrone di casa, e il Sindaco, pur invitato, non si sono fatti vedere - mi dicono. Provo a intuirne il motivo. I due si sono dissociati da un’iniziativa che, raccontando della “Grande Guerra”, non ha previsto il ricordo di chi è stato l’ “inventore” per la parte italiana di quell'evento, il regista - sia pure non attore (perché morto 7 mesi prima dell’ entrata dell’Italia in guerra), Antonino di San Giuliano. Nonostante sia nato a Catania che tanto odiava per il suo provincialismo di spocchiosa sonnolenza e di torpida furbizia, fu ambasciatore d’Italia tra il 1906 e il 1910 a Parigi e a Londra, Ministro degli Esteri nel 1906 e dal 1910 al 1914, regista e attore della guerra contro la Turchia per la Libia, che sconquassò l’equilibrio infuocato dei Balcani dove, a Serajevo, nel giugno del 1914 saranno esplosi i colpi di pistola contro il trialista arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono. L’assenza di San Giuliano non è stata perdonata da Giacomo Pignataro ed Enzo Bianco. Pare che abbiano ironizzato con il dire che darsi convegno accademico sulla Prima Guerra Mondiale a Catania e non fare cenno del Marchese, già stupidamente e rancorosamente dileggiato da De Roberto ne I Vicerè, vale quanto un convegno di italianisti su I promessi Sposi,scientificamente intenzionati a tacere su Alessandro Manzoni (chi era costui? un Carneade? e chi era di San Giuliano?un altro Carneade?).  Che gli studenti vadano via da Catania non è una meraviglia! Saggi, come i ribelli di Ernst Jünger, vanno a rifugiarsi nel bosco dove latita la polemologia, disciplina "guerresca", ignorata dai pacifisti (e anche dai bellicisti) ... che se citi - uno per tutti - Gaston Bouthoul pensano al botulino così come filosofi di Stato (certo, italiano) non sanno di Benoit Mandelbrot dei cui frattali fan frattaglie!
P.S. Da qualche anno è stato pubblicato un grosso volume, ricco di bibliografia e documenti d’archivio,  esaustivamente informato sul nostro Marchese, scritto da Gian Paolo  Ferraioli, Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino di Sangiuliano (1852-1914), Rubbettino 2007. A conclusione del triennio (2002-2005) del dottorato in "Storia Contemporanea" nel DAPPSI dell'Università di Catania Maria Clotilde Notarbartolo aveva presentato la sua voluminosa e bene informata tesi, I tempi e i modi della politica estera del Marchese di San Giuliano nella preparazione alla guerra di Libia.

sabato 24 maggio 2014

Agghiacciante il capitalismo!
























Siamo affetti da scientismo manipolatorio, da prometeismo dissolutore per cui tutto ciò che c’è di solido si liquefa o si volatilizza. Anche la democrazia si scioglie in mediocrazia (questa è del sopraggiunto Nietzsche) e nella modernità liquida di Zygmunt Bauman. “Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e i concetti antichi e venerabili[…]. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo di stabile, profanata ogni cosa sacra”. E’ l’autodistruzione innovativa del capitalismo di Marx, della contemporaneità di quell’esperienza della modernità che faceva scrivere nel suo magnifico libro (1982), All that is Solid Melts into Air. The Experience of Modernity, a Marshall Bermann, nel commento del passo marxiano famosissimo del Manifesto del Partito comunista: “ - […] dagli abiti che indossiamo ai telai e alle follatrici che ne tessono le stoffe, agli uomini e alle donne che lavorano alle macchine, alle abitazioni e ai quartieri in i lavoratori vivono, alle aziende e alle corporazioni che sfruttano i lavoratori, ai paesi e alle città alle intere regioni e persino nazioni, che li riuniscono tutti - tutto ciò viene creato per essere domani distrutto, schiacciato, sgretolato polverizzato o dissolto, così che possa essere riciclato o sostituito la settimana successiva e il continuo processo possa dunque ripetersi nel tempo, possibilmente all’infinito, in forme sempre più vantaggiose” (traduzione italiana della pubblicazione de il Mulino del 1985). Ma non tutto si scioglie per effetto della globalizzazione mercatoria e del capitalismo. Da qualche parte il capitalismo ha cercato inutilmente di impedire che - contro il compiacimento apocalittico di Marx - la neve si sciogliesse. Il capitalismo nivale si muoveva secolarmente controcorrente, contro la sua natura, esperiva altre sue potenzialità, evocando dalle sue risorse, tutte orientate alla volatilizzazione di ogni cosa incontrata, l’insospettata capacità di solidificazione, a rendere, cioè, solido il fiocco di neve e a prosperare nella sua solidificazione per il mercato del ghiaccio che ebbe in Europa una lunga stagione di fasti fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. E’ di Antonio Patanè (I viaggi nella neve, Palermo 2014) il racconto di questa strana avventura che esaltò la neve, raccolta dai nevajuoli, custodita nelle neviere, in grotte, anfratti, ripari naturali, commerciata dagli arrendieri, appaltatori, consumata nelle afose estate della città di pianura per l’ “usanza del bere annevato”, per la frutta gelata, per i gelati e le granite, per i sorbetti o gli sciroppi freddi della mensa dei monaci e dell’aristocrazia, per la conservazione dei cibi, per gli ospedali a scopo medicinale contro emorragie e febbri, in groppa ai muli in viaggi notturni, caricata sulle navi (per Malta dalla Sicilia),contrabbandata, controllata alla dogana, alle postazioni daziarie. E attorno alla neve interessi, mestieri, alleanze politiche, lotta di classe, proverbi, modi di dire, modi di fare, modi di vivere in Francia, come in Ispagna, a Catania come a Milano, a Cagliari come a Roma. Il capitalismo, per fortificarsi, lavorava nel frattempo “contro” se stesso. Per liberarsi dalla schiavitù della Natura diede vita all’industria del ghiaccio, della refrigerazione dei corpi e dei cibi. Capitalismo nivale e capitalismo antinivale, ora l’uno ora l’altro? In tutto questo, a non funzionare è il “capitalismo”, il concetto di capitalismo, la filosofia del capitalismo, il Capitale che pensa o che viene pensato. E figurarsi se il Capitale voglia perdere il suo tempo a pensare! Il Tempo è  denaro, non perde se stesso appresso all’Essere!

giovedì 22 maggio 2014

La fiction della psicanalisi: Giocasta era una Milf o una urban cougar!












Un romanzo noto per le pagine iniziali dove si racconta della crisi di questi anni in Nord America, con ragazzi di lavoro precario, squatter, intelligentissimi, coltissimi, sfigatissimi. A me piace tutta la storia e, particolarmente, la pagina finale: "Si preme il ghiaccio sulla mano gonfia, e guardando la mano pensa al soldato senza le mani nel film [I migliori anni della nostra vita]* che visto l'inverno scorso con Alice e Pilar, il giovane reduce dalla guerra che non poteva spogliarsi e andare a letto senza l'aiuto di suo padre, e ora sente di essere diventato come quel ragazzo, che non riesce a fare nulla senza l'aiuto del padre, un ragazzo senza le mani, un ragazzo che dovrebbe essere senza le mani, un ragazzo cui le mani hanno portato solo disgrazie nella vita, le sue mani arrabbiate che sferrano pugni, le sue mani arrabbiate che spintonano, e poi gli torna in mente il nome del soldato nel film, Homer... Homer come il poeta Omero che scrisse quella scena fra Odisseo e Telemaco...". Sono le battute conclusive di Sunset Park (2010) di Paul Auster. Il protagonista è Miles Heller. 

Mi chiedo: cosa sarebbe la psicoanalisi senza la letteratura omerica, senza la mitologia classica? La risposta è quella di Karl Kraus che riteneva si dovesse usare la psicanalisi per smascherarne l'autoreferenzialità, la natura di dispositivo giustificazionista del coatto a ripetere e, insieme, "gesto di vendetta, per mezzo del quale l'inferiorità si dà un contegno, se non addirittura un'aria superiore...].Esser medico è più che essere paziente e perciò oggi non c'è babbeo che non tenti di curare ogni genio [...]. La psicoanalisi è quella malattia mentale di cui ritiene di essere la terapia". Fu per questo che di Edipo - incestuoso a sua insaputa - fu nascosta la sua pederastia, l'abuso sessuale e letale nei confronti di Crisippo che per l'affronto si diede morte. E invece siamo tutti lì a menarla con Giocasta, Laio... E se Giocasta fosse stata una Milf? O una urban cougar?


*The Best Years of Our Lives è un film del 1946 diretto da William Wyler. 

martedì 20 maggio 2014

Il postumano: Nietzsche è antiquato!








"La Tecnica è un servitore che fa un tale chiasso mettendo in ordine la stanza accanto che i signori non possono far musica" (Karl Kraus)



Presentare Frammento e sistema (Mimesis 2014,pp. 242) di Roberto Fai nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Catania è una provocazione: vi si celebra la morte della politica, prima e più che della scienza politica (che è già una presuntuosa mostruosità). Dovevamo parlare di corda in casa dell’impiccato. Non se n’è fatto niente. Ma neppure con torme di studenti sarebbe successo alcunché, data la folla autistica degli intellettuali, prodotto ultimo della globalizzazione mercatoria che,assieme alla sua ombra, il disagio, è tema del saggio.

Con l’esplosione dominatrice della Tecnica, tutti i medici - buon ultimo il nostro Roberto Fai -  accorsi al capezzale dello Stato nazionale, della democrazia, della sovranità popolare e della politica non hanno potuto non constatare che la politica è morta, lo Stato è larvale, la democrazia è chiacchiera per i talkshow o degli avventori del bar rionale. I becchini sono tanti, divertenti tutti da Le Pen, a Grillo, a Berlusconi, a Crocetta o a Putin (poco divertente, molto inquietante). Siamo in attesa dell’adveniens, del nuovo Messia, della sua Parousìa. Se ne intravvedono i tratti facciali quelli mixati di terribilità di un feroce comico o di una divertente tutta-d'un-pezzo Merkel o di un inespressivo, inaffidabile Putin o dell’ebetino Fonzie.Tutto questo perché siamo al tramonto dentro cui, anzi, sulla cui soglia dobbiamo stare vigili come appena desti all’aurora.

L’Occidente è popolato da occidentali, da tramontanti: il tramonto è la sostanza , la qualità dell’Occidente, il tramonto è occidente, occaso. Pertanto, a noi occidentali nulla di nuovo è accaduto dopo il dilagare della Tecnica: siamo stati sempre occidentali sin dalla nascita del sistema solare.
Prima domanda: se siamo stati sempre occidentali perché la scoperta (1918-1922) di Oswald Arnold Gottfried Spengler  (“l’andata sotto della terra della sera”: traduzione letterale di Der Untergang des Abenlandes) dovrebbe segnare la nascita dell’Occidente alla data della pubblicazione del suo libro o a quella dell’esplosione della Tecnica seguita - come dai cuccioli la mamma - dalla “grande trasformazione” della rivoluzione industriale?(Per inciso, ricordo 1°-  che occidente e tramonto sono sinonimi astronomici e un sinonimo non può auto-specificarsi se non per creare un brusio, un insensatezza, un flatus vocis insignificante; 2°-  che un tramonto non è un punto di poco tratto, ma una linea di durata lunga quanto i secoli che compongono una civiltà; 3° - che dopo Copernico non siamo occidentali, anzi, ad onor del vero astronomico non lo siamo mai stai: il Sole è occidente,tramonta, od oriente, si leva soltanto nella presunzione geocentrica di Tolomeo).


Un saggio “denso” e “inedito” direbbe Fai di questo lavoro per sottolinearne l’eccellenza (“densità”, “condensazione”, “addensamento” e relativi apparentamenti semantici, o  “inedito”  con la variante “inaudito” o “tagliare” “fessurare” “de-cidere”, “soglia” sono i lemmi più frequenti di Fai in questo lavoro, i tic linguistici il cui esame per uno come Leo Spitzer avrebbe chiesto lo spazio di un volume di uguale mole del Frammento e sistema).
 Un saggio denso ma non definitivo che come tutte le buone opere non chiude ma apre questioni.
E cominciamo da Heidegger che  -assieme a Jϋnger e a Schmitt - è il principale attore del teatro filosofico allestito da Fai sul cui impiantito sono chiamati tanti altri personaggi da Nietzshe a Derrida a Cacciari, a Esposito a Bodei a Curi.

Heidegger ovvero l’ossessione della Terra,della terra,delle radici (ma l’uomo ha i piedi, è mobile, itinerante, non stanziale come un vegetale). Heidegger il filosofo-Bauer e mi chiedo se Heidegger in un paese solare come lo scintoista territorio nipponico che - è un maritorio, più che un territorio - abbia mai avuto accoglienza, la devozione tributatagli nel  territorio occidentale.
Heidegger lo leggevo- qualche anno ora è - e alla fine mi rimaneva una forte sensazione di terra e sangue, di terra (Boden) più che di sangue (Blut) e pensavo che mai sugli orizzonti mentali, tolemaici, geocentrici di Heidegger è giunto a stagliarsi (altro tic linguistico di Fai) Copernico, l’eliocentrista.
Il Giappone è “occidentale” dalla Restaurazione Meji del 1868, dalla sconfitta dell’ultimo shogun o, prima, dal 1853 quando il commodoro statunitense Perry attraccò con le sue navi nella baia di Edo. E’ “occidentale” ma è orientale e ha come bandiera distintiva un disco rosso, il disco solare del nonno dell’imperatore e del padre della dea del sole, un disco di esplosiva luce aurorale. Ecco: la Cina, l’India, il Giappone sono atopici mi chiedevo leggendo dell’atopia di cui sarebbe affetto/infetto l’Occidente (pagina 147) ? A me pare che siano ubiquitari, ipertopici! Fai in questo saggio ci presenta una mole immane di riferimenti bibliografici: tutti occidentali, eccezion fatta per quell’ apostata nippoyankee di Fukuyama: non si trova un pensatore orientale manco a peso d’oro (escludiamo Derrida che è un franco algerino, più francese che nord-africano)

Fai affronta la questione del mare, del mare Mediterraneo per sposare in matrimonio - ma senza consumare, senza pervenire alle ultime conseguenze - le tesi di quanti sostengono la centralità - sia pure - di ritorno del Mediterraneo all’arrivo dell’adveniens che - come il Messia per gli ebrei – sarà il vindice della civiltà mediterranea contro cui la Storia s’è accanita, rivelandosi come impostura, imposizione di tramonti estranei e precoci. In realtà, con buona pace di Pedrag Matvejevic, di Fernand Braudel e di Franco Cassano il Mediterraneo è un quasi lago, acqua di risulta degenere degli Oceani, una traccia residuale quasi lacustre, appunto, un quasi stagno della Panthalassa che alla deriva dei Continenti si è concentrata negli Oceani dove si è scatenata la Tecnica, assunti gli Oceani come suoi campi di Marte. Il Mediterraneo è stata la nursery dell’arte nautica,vale a dire della Tecnica per eccellenza, la culla dei mari veri come sosteneva Joseph Conrad ripreso recentemente da Simon Winchester in Atlantico (Adelphi, per il  Pacifico disponiamo da tempo della trilogia di O.K. Spate pubblicata in italiano - ora è tempo -  da Einaudi). Il punto gli è che non si può parlare bene, fare l’elogio del Mediterraneo in presenza di filosofi iperterragni o baltici come Hegel, Kant, Marx, Heidegger, Junger, Schmitt, o l’Hobbes pre-industriale -  solo per fare i nomi più noti di questa lunghissima attraversata di Robero Fai per l’oceano della contemporaneità -. Sinceramente disarmato, non vedo il nesso tra Cassano e Jϋnger, tra Bari e Amburgo, tra la "napoletanità" di Croce e la "tedeschità" di Sloterdjik. In vero, il nesso tra queste distanze geofilosofiche è imprestato da Massimo Cacciari, un pensatore "tedesco", oceanico, figlio di una Venezia ipermediterranea, nauticamente (ex)imperiale. Non trovo coerente in un argomentare filomediterraneistico indicare la Cindia (Cina e l’India,due continenti di natura oceanica, alimentati e posti in essere  dal Mare Cinese e dall’Oceano indiano) quale erede dell’Occidente, dell’Occidente atlantico che è il padre sostanziale dello snervato figlioletto cacciatosi tra le … terre, di nome Mediterraneo, infeudato al gigante Anteo, re dei luoghi comuni.

Roberto Fai ci raccomanda di essere giusti con Marx. Ma Fai ci chiede troppo, chiede di essere indulgenti. Marx, come Federico De Roberto per Antonino di San Giuliano, è stato responsabile del dileggio, della sottovalutazione e della dimenticanza di un pensatore robusto e, quindi, scandaloso come Max Stirner che, recuperato dopo averlo sottratto alla furia del frullatore marxengelsiano dell'Ideologia tedesca, sarebbe il vero protagonista delle pagine di Fai, di quella lunga  rappresentazione della desertificazione europea operata dalla globalizzazione mercatoria. Se c’è uno spettro che si aggira per le pagine di Fai quello appartiene all’Unico (Der Einzige und sein Eigentum, 1844) di Max Stirner, in anticipata prefigurazione dell’individuo sopravvissuto al crollo della sovranità popolare, alla cancrena della democrazia, al collasso della politica, all’implosione della comunità, della communitas, al totalitarismo della democrazia di massa - per dirla con Ernst Jϋnger per il quale, in uscita “stirneriana”, totalitarismo e democrazia di massa “sono due esperienze che obbediscono al principio agonale dei contrari: quanto più si radicalizza un estremo, tanto più affiora quello opposto. A rigore, dal punto di vista dell’Anarca, del grande Solitario, totalitarismo o democrazia di massa non fanno molta differenza. L’Anarca vive negli interstizi della società, la realtà che lo circonda in fondo gli è indifferente, e solo quando si ritira nel proprio mondo, nella propria biblioteca ritrova la sua identità. In ogni caso è raccomandabile la freddezza: su una palude ghiacciata si avanza con maggiore sicurezza e rapidità”(in Antonio Gnoli- Franco Volpi, I prossimi Titani. Conversazioni con Ernst Jϋnger, Adelphi 1997, p.108). Per Stirner l'uomo raggiunge, scopre se stesso, rivela la sua iità, la sua "biblioteca", liberandosi di ogni astratta rappresentazione dell'uomo (l'umanità): la derelizione o deiezione dell'individuo di Heidegger  e & in Stirner e & è unicità ricca di qualità, forte di proprietà. Certo, c'è da chiedersi (ma è altra faccenda) se l'Io di un uomo può predicare la sua non umanità. Non è come scuoiarsi a vivo e apparire come un disegno anatomico che mostra sotto la pelle i muscoli, la carne, le ossa?

Un' ultima osservazione relativa alla vegetalità contadina di Heidegger riferita all’ ”abitare nell’universale sradicamento”. Heidegger scrive(riportato da Fai a pagina 191): “Il modo in cui tu sei e io sono, la maniera con cui noi uomini siamo sulla terra è il Buan, l’abitare. Essere uomo significa: essere sulla terra come mortale; e cioè: abitare”. Mi permetto di affermare che l’essere non è l’abitare se non per una ditta di trasporti, per il postino, così come uno non è quintopianista ché abita al quinto piano. L’habitat determina l’essere vegetale, quello del pomodoro di Pachino o del carciofo di Niscemi o del tartufo di Alba. Gli studiosi di storia del territorio o della città sanno che la delimitazione dello spazio a scopi abitativi o la norma edificale sono ispirate a utopie celesti, a supposte armonie divine come ha ben dimostrato Joseph Rykwert ne L’idea di città. I comunisti non nascono dalla comunità, non sono tali perché abitanti della polis comunitaria ma dalla messa in comune dei beni prodotti o sgraffignati: il modello comunista – come è stato scritto - è in Marx quello dei pirati,di uomini di ventura di mare.

Schmitt ha individuato in un lampo balenante la figura del Grifo quale portatore o cifra simbolica del futuro. Come a dire: la terra è stata la nursery, la culla della umanità, il cielo sarà la prova della sua maturità che dovrebbe spingerla al "transumano" di Attali, al "postumano" che Trotzsky additò, immaginandolo come l’operaio nicciano, l’Arbeiter di Jϋnger, l’uomo della Tecnica o la Tecnica antropizzata, un nuovo Prometeo più i Soviet, il colonizzatore dei mondi oltre la terra, l’astronauta. L’uomo dapprima cacciatore, poi pastore contadino, poi marinaio, poi astronauta. Quale sarà la forma politica della comunità degli astronauti del comunismo di Trotzsky dove l’uomo diverrà “incomparabilmente più forte, più saggio, più acuto. Il suo corpo si farà più armonico, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale, le forme dell’essere acquisteranno una dinamica rappresentatività. La media dell’umanità sarà al livello di un Aristotele, di un Goethe, di un Marx. Oltre queste altezze si eleveranno nuove vette” (Letteratura, arte, libertà 1958 Milano). E la nuova Utopia, congedatasi dal Comunismo, sarà la pratica del Cosmismo. Insomma, oltre la Terra il Sole che non tramonta, fisso nel suo splendore a illuminare il Cosmo, l’habitat del postumano!
Jϋnger parlando del suo Al muro del tempo e del giudizio lusinghiero di Hermann Hesse: “ […] una delle idee che io esprimo in quel libro, e che lo colpì, è che per capire ciò che avviene bisogna per così dire spostare lo sguardo dalla storia umana alla storia della terra, bisogna volgersi dalla considerazione del tempo storico a quella del tempo cosmico, della natura. L’umanità è parte dell’accadere del cosmo”(Gnoli-Volpi, citato sopra, p. 90).

venerdì 16 maggio 2014

Non sappiamo cosa pensasse di De Roberto e de I Vicerè, rancoroso ritratto di Consalvo-San Giuliano. Non lo sappiamo perché assai probabilmente Antonio Di Sangiuliano che pure era un consumatore bulimico di letteratura, da Dante a Goethe in lingua originale,non degnò neppure di uno sguardo quel romanzo che - a detta del più recente biografo di San Giuliano, Gianpaolo Ferraioli (Politica e diplomazia in Italia fra XIX e XX secolo. Vita di Antonino di San Giuliano Rubbettino 2007)  - "una volta diffusosi a Catania, divenne per tutti la narrazione letteraria, ma nella sostanza fedele, della cinica carriera politica del marchese. Il capolavoro di De Roberto, quindi, fu accolto come una sorta di appello al partito monarchico catanese, affinché emarginasse il narciso San Giuliano, che aveva dimostrato in tredici anni di permanenza in Parlamento [fu eletto nel 1883] di sfruttare il programma della conservazione nel progresso per allungare la sua trasformistica carriera" (p. 121 ).