mercoledì 30 ottobre 2013

Il gioco sessuale della parola


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Eros: il dio guerriero delle donne. Solo per il quale la guerra vale essere dichiarata, dalle donne.
Quanto vale un odore di femmina? La follia di Orlando che porta alla sfida fratricida dei due gran “pileri”(pilastri: l'altro era il cugino Rinaldo) del campo cristiano. Dove? In Sicilia, ovviamente: Viditi quanto pò 'n pilu di fimmina!/Dui palatini, ca su' du' pileri,/ per causanza dela della bela Angelica/ su'addivintati d' nimici feri/. Questa è la quartina d'inizio di Lu cummattimentu di Orlandu e Rinardu di Nino Martoglio.*

Un fanciullo, irresponsabile, dispettoso, sorridente ed ironico. Un uomo di sfrenate furie sessuali: Priapo.
Eros o Priapo. È una smania che disarticola ogni calcolo di equilibrata, misurata armonia.Gli dei dell’Olimpo non lo vogliono tra i condomini, non si fidano. Non è divinamente corretto. E’ una divinità infantile, che non vuole crescere. Infantile: appartiene all’età pre-fàtica, all’età che precede la maturità del linguaggio, del latino fari, del dire. Quindi non linguaggio maturo, ma dialetto, cacolalìa, infanzia della lingua e lingua infantile, dell’infanzia dove trova il suo esilio e lo sceglie come dimora Eros-Priapo. Dimora di licenziosa, scurrile, allegra promiscuità, ghetto senza barriere interne di genere alcuno. I giochi di parole, le iperboli, tutta l’arte della Retorica, tutta la Tecnica del dire sostengono quel luogo clandestino che l’Eros-Priapo dialettale abita. Un carnevale che non si può celebrare con le ghette, un rodeo di immagini, di associazioni psicologiche di realtà dissociate, improbabili, una palestra di acrobazie linguistiche, affabulatorie orientate al riso sguaiato, liberatorio. Un universo ingrottato, nascosto ma ben frequentato come i locali degli anni del proibizionismo americano, gestiti da delinquenti ma riempiti da tutti, rispettabili uomini con ghette e smaniose donne di classe, da donnine e da omuncoli.
Eros-Priapo si può esprimere solo nel dialetto. Vuole essere tratto fuori e messo in vista. Nell'alcova o sul lettino dell'analista.

* La melenzana è ubiqua, reperibile fin dove non la si sospetta. Esemplare ci sembra la prefazione (1921) di Luigi Pirandello, che o ché era Pirandello, alla Centona del poeta e commediografo di Belpasso: "Nino Martoglio è per la Sicilia quello ch'è il Di Giacomo e il Russo per napoli; il Pascarella e il Trilussa per Roma: il Fucini per la Toscana; il Selvatico e il Barbarani per il Veneto: voci native [melius: ortive, per quel che si legge subito appresso] che dicono le cose della loro terra[!], come la loro terra vuole che siano dette per esser quelle e non altre, col sapore e il colore, l'aria, l'alito e l'odore con cui vivono veramente e si gustano e s'illuminano e respirano e palpitano lì soltanto e non altrove". La terra (o l'orto) detta e la melenzana raccoglie e recita secondo sapore colore odore tratti ad alimento identitario! Grande Pirandello!

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