
Si può ricavare l’umore di un’epoca dai capelli dei suoi protagonisti; si può, addirittura, intuire la predilezione di Dio per le sue creature attraverso la chioma. In un caso (esemplare il saggio del professore di semiotica, Massimo Baldini, Capelli, "Peliti Associati", ma "Wella Italia", 2003) avremo la tricostoriografia, nell'altro la tricoteologia di cui l’esempio più famoso è rappresentato egregiamente dal trattato tricoetico-comportamentale (ma anche teologico, appunto), di Jean Baptiste Thiers, pubblicato “aux dépense de l’auteur” nel 1690 a Parigi e intitolato Histoire des perruques où l’on fait voir leur origin, leur usage, leur forme, l’abus et l’irregularité des ecclesiastiques. In tutt’e due i casi l’agente della Storia o l’informatore della Storia (colui che dà forma alla sequela degli accadimenti) è il parrucchiere. Perché? Per alcuni motivi: "per nascondere i capelli rossi" - così il curato francese racconta degli Ebrei discendenti di Giuda, notoriamente tricoramati, oppure per sembrare più giovani e sexy-appealing o, ancora, per nascondere la "tigna" (l’alopecia in tutti i suoi 4 tipi) del “sordido male” della sifilide, esplosa in Europa dopo la scoperta delle Americhe.
A dire il vero, il dibattito fra chiomati e
calvi, d’origine antica, potrebbe essere riassunto nello scontro a
distanza di tempo fra il retore e filosofo stoico, Dione Crisostomo, vissuto
tra il 40 d.C. e il 112, e il vescovo cristiano di Tolemaide, Sinesio di
Cirene, vissuto tra il 370 e il 413 d.C., noto ai più attraverso
il film “Agorà” sull'intellettuale a-cristiana, Ipazia, del regista spagnolo Alejardo Amenabar. Intellettuale di grande originalità, di
larghe vedute, di vasta intelligenza e di spiccata devozione, qualità attestate
incontrovertibilmente dalla sua calvizie su cui scrisse un Elogio contro
quello della chioma di Crisostomo, un encomio quello del vescovo di Tolemaide,
dedicato “ai filosofi, ai sacerdoti e a tutte le persone assennate”, vale a dire, calve.
Chi si fa crescere i capelli non è un buon
cristiano, amava ripetere Sinesio, reinterpretando San Paolo della Lettera
ai Corinzi:“Per l’uomo è un disonore portare una lunga
capigliatura…”.
E l’uomo, calvo o a pelo corto, non si deve
vergognare, perché “fra gli animali i più sciocchi sono completamente mantati
di peluria, mentre l’uomo, che ha avuto in sorte l’intelletto e la ragione, ne
è per lo più sprovvisto […]. E come l’uomo è al contempo la creatura più
intelligente e la meno irsuta, così di tutti gli animali la pecora è
sicuramente il più stupido […]. Insomma, tra capelli e qualità intellettive non
sembra correre buon sangue.[E ancora,] “l’individuo completamente calvo è in
assoluto l’essere più divino sulla terra” perché la sfera è la figura
geometrica perfetta, la volta celeste sede di Dio è sferica, l’anima tende al
cielo e la calvizie evoca la volta. Insomma, Dio è calvo: “la calvizie è una
prerogativa divina e conforme alla divinità; essa è il fine ultimo della
natura”.
Chi entra in un salone di acconciatura per
un taglio di capelli o una prova di parrucca, non è - Sinesio consule - persona frivola, ma è filosofo e sacerdote, come
ben argomenta il vescovo di Cirene che, però, non riuscì a salvare la povera
Ipazia (amica, scienziata ma donna chiomata) dai parabolani, sorta di cristiani talebani, fondamentalisti
antipagani. E non erano calvi! O perché non erano calvi?

E ora ci chiediamo: solo il naso di Cleopatra ebbe una ruolo nella storia di Roma? E la pettinatura della regina egiziana?
Il rasoio di monsieur Guillotin - la ghigliottina - prese a saliscendere sul collo in una festa di teste staccate dal corpo, in un tripudio di decollati non tanto in nome della dea Ragione e delle figlie Fratellanza, Eguaglianza e Libertà, quanto per conto dei parrucchieri stressati da una richiesta crescente presso il Terzo Stato di chignon, smarriti in confusione di posticci e di sofisticate pettinature, di parrucche mirabolanti, ideate da architetti visionari e deliranti. Alle feste regali di Versailles, in primavera, l'acconciatura seguiva la stagione: la testa come un'orto irrigato da bottigliette piatte e ricurve adattate alla forma del cranio, piene d'acqua per il nutrimento di fiori naturali.
Teste di donne che sembravano tanti fercoli del santo patrono... e piume, nastri, crocchie, tupée, pizzi, boccoli, trecce à la Chanceliére, à la Sevigné, à la Hurlupée, à la Maintenon, à la Fontanges ( una delle amanti, questa, di Luigi XIV, Le Roi Soleil) che con una sua delle sue giarrettiere rialzò i capelli scioltisi durante una corsa a cavallo. Fu così che Marie-Angelique de Scorailles de Roussille, duchessa di Fontanges, impose la moda Fontange per anni, allungando al torreggiamento o allargando a gradoni la testa delle donne del bel mondo civilizzato.
I maschi si imparruccavano con ciprie e farine sfoggiando pettinature ad ali di piccione, esibendo ciocche di boccoli ricadenti sulle tempie o disposti su di una linea orizzontale, pavoneggiandosi con lunghe trecce strette da un nastro sulla nuca.
La ghigliottina tagliò la testa a un tale groviglio di esistenze pelose e, poiché il Terrore si andava profilando lungo sui tempi a venire, si pensò bene da parte di chi aveva ancora la testa attaccata alle spalle, di acconciare pettinature corte e semplici onde evitare attriti di inefficacia, di ostacolo alla lama lanciata sul collo del condannato a morte. Per un futuro di corpi decollati giudizio voleva che li si attrezzasse di pettinature sobrie.
La parrucca, bianco-grigia di crine di cavallo, parzialmente resiste nei tribunali britannici tra i magistrati e gli avvocati, i barristers, Inghilterra dove dopo più di 300 anni venne (o verrà?) abolita nei processi civili ma non in quelli penali. Ma non s'è più ripresa dallo spavento procuratole dai sanculotti. Assieme al rococò, paradiso-inferno degli architetti-parrucchieri, è sparita, lasciando il posto a qualche parrucchino tra i maschi che non hanno inteso la lezione del vescovo Sinesio. Prima di sparire canto come il cigno prossimo alla morte. Lo Stile Impero adottò il modello dell'antichità. Poi, dopo qualche incertezza controrivoluzionaria e passato il pauroso brivido del filo della lama sulla nuca, i capelli si riannodarono in complicatissime acconciature. Ma durò poco. Prima dell'accorciamento della gonna imposta negli anni Sessanta del secolo scorso dalla mai sufficientemente lodata Mary Quant, a farsi corti furono i capelli ai quali, benché posti a distanza dal luogo del piacere era assegnata la funzione della seduzione e dell'allontanamento, del chiamare e tenere lontano, del vorrei e non vorrei.. Mostrare la nuca e il collo e tentare gli occhi e le labbra maschili: così dettava la strategia del piacere prima che il copro femminile si svelasse occultato dalla biancheria intima, prima che il capello veniseese surclassato nella gerarchia dei mezzi seduttivi dal reggiseno e dagli slipo.
Il mondo vendette la sua anima alla Tecnica dei Tipi, intollerante delle differenze e della varietà degli individui e dei generi, e dei peli in esubero. Quindi capelli corti e testa alla maschietta. E fu un riconoscimento di quella verità teologica che vede l'uomo (il maschio quale immagine di Dio). Tutto questo fino a quando la Tecnica dell'Occidente non ebbe a scontrarsi con l'irriducibile antagonismo delle civiltà altre che crearono resistenze interne e apostasie nel campo tricotico dell'Occidente. E fu un guazzabuglio vitalissimo di pettinature sorprendenti: africane, asiatiche, seminole, apache, mohicane, incaiche, sumere, assire, babilonesi, egizie, arricciate in permanenza, lunghe a volute, lunghe in allisciamento, colorate. E pelate, anche!

E ora ci chiediamo: solo il naso di Cleopatra ebbe una ruolo nella storia di Roma? E la pettinatura della regina egiziana?
Il rasoio di monsieur Guillotin - la ghigliottina - prese a saliscendere sul collo in una festa di teste staccate dal corpo, in un tripudio di decollati non tanto in nome della dea Ragione e delle figlie Fratellanza, Eguaglianza e Libertà, quanto per conto dei parrucchieri stressati da una richiesta crescente presso il Terzo Stato di chignon, smarriti in confusione di posticci e di sofisticate pettinature, di parrucche mirabolanti, ideate da architetti visionari e deliranti. Alle feste regali di Versailles, in primavera, l'acconciatura seguiva la stagione: la testa come un'orto irrigato da bottigliette piatte e ricurve adattate alla forma del cranio, piene d'acqua per il nutrimento di fiori naturali.
Teste di donne che sembravano tanti fercoli del santo patrono... e piume, nastri, crocchie, tupée, pizzi, boccoli, trecce à la Chanceliére, à la Sevigné, à la Hurlupée, à la Maintenon, à la Fontanges ( una delle amanti, questa, di Luigi XIV, Le Roi Soleil) che con una sua delle sue giarrettiere rialzò i capelli scioltisi durante una corsa a cavallo. Fu così che Marie-Angelique de Scorailles de Roussille, duchessa di Fontanges, impose la moda Fontange per anni, allungando al torreggiamento o allargando a gradoni la testa delle donne del bel mondo civilizzato.
I maschi si imparruccavano con ciprie e farine sfoggiando pettinature ad ali di piccione, esibendo ciocche di boccoli ricadenti sulle tempie o disposti su di una linea orizzontale, pavoneggiandosi con lunghe trecce strette da un nastro sulla nuca.
La ghigliottina tagliò la testa a un tale groviglio di esistenze pelose e, poiché il Terrore si andava profilando lungo sui tempi a venire, si pensò bene da parte di chi aveva ancora la testa attaccata alle spalle, di acconciare pettinature corte e semplici onde evitare attriti di inefficacia, di ostacolo alla lama lanciata sul collo del condannato a morte. Per un futuro di corpi decollati giudizio voleva che li si attrezzasse di pettinature sobrie.
La parrucca, bianco-grigia di crine di cavallo, parzialmente resiste nei tribunali britannici tra i magistrati e gli avvocati, i barristers, Inghilterra dove dopo più di 300 anni venne (o verrà?) abolita nei processi civili ma non in quelli penali. Ma non s'è più ripresa dallo spavento procuratole dai sanculotti. Assieme al rococò, paradiso-inferno degli architetti-parrucchieri, è sparita, lasciando il posto a qualche parrucchino tra i maschi che non hanno inteso la lezione del vescovo Sinesio. Prima di sparire canto come il cigno prossimo alla morte. Lo Stile Impero adottò il modello dell'antichità. Poi, dopo qualche incertezza controrivoluzionaria e passato il pauroso brivido del filo della lama sulla nuca, i capelli si riannodarono in complicatissime acconciature. Ma durò poco. Prima dell'accorciamento della gonna imposta negli anni Sessanta del secolo scorso dalla mai sufficientemente lodata Mary Quant, a farsi corti furono i capelli ai quali, benché posti a distanza dal luogo del piacere era assegnata la funzione della seduzione e dell'allontanamento, del chiamare e tenere lontano, del vorrei e non vorrei.. Mostrare la nuca e il collo e tentare gli occhi e le labbra maschili: così dettava la strategia del piacere prima che il copro femminile si svelasse occultato dalla biancheria intima, prima che il capello veniseese surclassato nella gerarchia dei mezzi seduttivi dal reggiseno e dagli slipo.
Il mondo vendette la sua anima alla Tecnica dei Tipi, intollerante delle differenze e della varietà degli individui e dei generi, e dei peli in esubero. Quindi capelli corti e testa alla maschietta. E fu un riconoscimento di quella verità teologica che vede l'uomo (il maschio quale immagine di Dio). Tutto questo fino a quando la Tecnica dell'Occidente non ebbe a scontrarsi con l'irriducibile antagonismo delle civiltà altre che crearono resistenze interne e apostasie nel campo tricotico dell'Occidente. E fu un guazzabuglio vitalissimo di pettinature sorprendenti: africane, asiatiche, seminole, apache, mohicane, incaiche, sumere, assire, babilonesi, egizie, arricciate in permanenza, lunghe a volute, lunghe in allisciamento, colorate. E pelate, anche!