mercoledì 11 giugno 2014

La legge del territorio, la storia montanara, potamica, lacustre di animali, pesci e ortaggi.

         








Roberto Kusterle


     Jules Michelet (1798-1874), immenso scrittore di storia (fra l’altro, 7 volumi di Storia della rivoluzione francese, 19 volumi di Storia della Francia), a proposito di geografia e storia, di uomo e ambiente (di mulinciana?), all’indomani della Rivoluzione di Luglio del 1830 che porterà sul trono francese  con Luigi Filippo la casa d’Orléans in sostituzione di quella del Borbone, Carlo X: “Perché l’uomo si incorpora al suolo? Gli è che, […]non vedendo nulla di là dalla montagna, dal fiume che delimita il proprio cantone, egli si piega e accetta la legge del territorio. La natura è diventata forte, l’uomo debole[per il quale e per gli storiografi come Thierry e come Guizot] la storia non è altro che un affare della geografia. [Ma] la storia [è definibile] come la vittoria progressiva della libertà umana sulla fatalità della natura”( citazioni tratte dalla Prefazione di Franco Farinelli a Lucien Febvre, La terra e l’evoluzione umana. Introduzione geografica alla storia, Einaudi 1980). 

giovedì 5 giugno 2014

La riscrittura







L'intreccio è un nodo aggrovigliato dentro cui sono finiti due rapinatori in ostaggio di Muna e Alice, prese in ostaggio, nella loro Stanza 707 di un albergo parisien.Come uscirne? Come lasciare la Francia, oui ... la France, e tornare a Catania, in via Calatabiano?

“Così siamo ridotti, mio piccolo Iano: solo la più falsa delle operazioni degli uomini, la letteratura, restituisce verità agli uomini”- così parlò, a pagina 167, Agata Scuderi, autrice di un libricino, Annusare il passato, ricavato dalla sua tesi di laurea in Lettere, e merciaiola in una rivendita di cotoni, lane, velluti, fiori secchi, profumi, bottoni, costumi teatrali e maschere di carnevale. E come Agata il suo autore, Francesco Merlo, “da sempre” romanziere mimetizzatosi “da sempre” tra i giornalisti per via della maschera e del costume del giornalista, raccattabili  - maschera e costume - in un qualsiasi negozio (testata di giornale) di una qualsiasi Agata direttrice di quotidiani e riviste, si permette di marcare con sarcasmo vivo e dolcezza ironica la sua distanza dai servitori, dagli schiavi, dagli asserviti alla notizia, alla retorica della notizia. In forza della letteratura, con la forza e l’impunità che gli deriva dalle ragioni della letteratura, gaiamente prende per i fondelli l’universo intero, non autoescludendosi. Infatti l’autore della Stanza 707 non risparmia Francesco Merlo che dice di sé in terza di copertina di essere “da sempre giornalista”, dal primo vagito, tra i pannolini, ai salesiani, in bagno, in barca, in montagna, in pianura, in auto, in bicicletta, mentre dorme, mentre fa l’amore, con i figli, con gli amici. Da sempre. O forse mai perché “da sempre” nel bugiardino del volumetto della Bompiani(2014) è un’excusatio non petita, un metter le mani avanti, un alibi come se avesse commesso un reato, un lungo reato, un reato da sempre: quello di non essere stato mai giornalista ma di stare e di essere stato da sempre tra i giornalisti. A dire il vero, Francesco Merlo ha usato da sempre pretestuosamente la notizia per fare prosa d’arte. Al contrario di un suo mito di scrittura e di ironia, Alessandro Manzoni che assunse ne I promessi sposi, il genere del romanzo, della fiction per fare storiografia. Mentre questi inventò Renzo Tramaglino per produrre il saggio storiografico su La colonna infame, Merlo  inventa (inven ire = trovare all'incontro, ire e cercare) la notizia per mettere in forma (informare) il suo talento di prosatore.
Nella Stanza 707 non c’è una storia (né History, né Story) ci sono due tarantiniani ragazzi, Iano e - in rima - Cristiano, come Nino e Tino della dedica, ci sono due - anzi tre (splendida la formicologa Muna de Kalbermatten) – donne, Alice (del paese delle meraviglie) ed Eva Diabolik Kant (che si legge come il cognome del filosofo tedesco, ma che è anche la pronuncia dell’inglese cunt).C’è il protagonista ma è assente (l’essenza dell’assenza):il feroce capomafia, ’u zu Ginu che, omosessuale, se la tira più e meglio di un titolare di cattedra universitaria, di un professore di Filosofia teoretica e morale. La Stanza 707  è un forziere di battute veloci, di aforismi, di pizzini, di trovate intelligenti, di corde che non si annodano, di ricordi, di paesaggi libanesi che sono quelli della contemporaneità, ora siriani, ora turchi, ora nordafricani, ora siciliani, ora romani, torinesi, milanesi, banlieueparigine dopo una giornata che tende sempre più ad allungarsi oltre le 24 ore, le strade invase dagli eccessi ballardiani delle manifestazioni blackbloccate. La chienlit, oui! Siamo tutti canaglie,sì!
Una scrittura sapiente contro l’amore (che fa rima con cuore, a Sanremo, capitale d’Italia) e per gli ottanta tipi di cornuti del Tableau Analytique du Cocuage di Charles Fourier,
contro gli esperti televisivi che si impancano ad aristoteli dell’ovvietà da loro tormentata,
contro i giornalisti tutti, anche quelli, quello, con il sottopanza nello schermo televisivo dello “storico” (non lo sapevamo che Paolo Mieli è “da sempre”  storico – rectius: storiografo – : solo recentemente ha fatto outing dichiarando il cambio della professione),
contro Dante Alighieri, recitato da quell’eccelso - che manco Sermonti ci può - dantista Benigni, comico, al quale nessun letterato rimprovera di essere un comico come Grillo diversamente trattato,
contro il genere romanzesco perché Stanza 707 non è un romanzo e non è anti-romanzo come il Tristam Shandy di Laurence Sterne,
contro il giornalismo … che, indifferente alla Grammatica, la notizia è quella della cinque W, le Five Ws (Why, Who, When, What, Where),
contro Parigi,anzi, la parigità del provincialismo allucinato,
contro i poliglotti che non hanno nulla da dire ma lo dicono in tante lingue.
Contro il senso, per il controsenso o il buon senso, per il contromano: completata la lettura non ci si ricorda come finisce o da dove prende inizio il racconto. Non è lineare, è un cerchio: in qualsiasi punto della circonferenza si è  lontani dal centro. 
Lontano da dove (1971) si titola un magnifico saggio di Claudio Magris sulla tradizione ebraico-orientale in Joseph Roth, cantore della fine dell'impero Asburgico, omaggiato di una citazione nella "Stanza 707".
Non c’è dove andare. Ridere, sorridere, irridere silenziosamente ché “se la parola è quella che non si dice, il pizzino migliore è quello che si riscrive” - diceva lo zio Gino, ricordato da Cristiano. La vita di ognuno di noi non è forse una lunga riscrittura?




La storiografia di squola



Antonino di San Giuliano
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"La politica estera non vi piace,eh? E allora sarete sempre eterodiretti, storditi nelle faccenduole del cortile di casa, imbozzolati in quel guscio d'ostriche senza luce d'intelletto che è l'isola nostra,anzi, vostra, melenzane!"



Gli insegnanti di “Storia Contemporanea” dell’Università di Catania hanno organizzato il 27 e 28 maggio a Catania nell’Aula Magna del Rettorato un convegno sulla prima guerra mondiale a Catania. Originali i titoli di alcune relazioni, meno “futurista” quella sul futurismo guazzante in un diluvio di bibliografia qualificata a sua illustrazione. Il Rettore, padrone di casa, e il Sindaco, pur invitato, non si sono fatti vedere - mi dicono. Provo a intuirne il motivo. I due si sono dissociati da un’iniziativa che, raccontando della “Grande Guerra”, non ha previsto il ricordo di chi è stato l’ “inventore” per la parte italiana di quell'evento, il regista - sia pure non attore (perché morto 7 mesi prima dell’ entrata dell’Italia in guerra), Antonino di San Giuliano. Nonostante sia nato a Catania che tanto odiava per il suo provincialismo di spocchiosa sonnolenza e di torpida furbizia, fu ambasciatore d’Italia tra il 1906 e il 1910 a Parigi e a Londra, Ministro degli Esteri nel 1906 e dal 1910 al 1914, regista e attore della guerra contro la Turchia per la Libia, che sconquassò l’equilibrio infuocato dei Balcani dove, a Serajevo, nel giugno del 1914 saranno esplosi i colpi di pistola contro il trialista arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono. L’assenza di San Giuliano non è stata perdonata da Giacomo Pignataro ed Enzo Bianco. Pare che abbiano ironizzato con il dire che darsi convegno accademico sulla Prima Guerra Mondiale a Catania e non fare cenno del Marchese, già stupidamente e rancorosamente dileggiato da De Roberto ne I Vicerè, vale quanto un convegno di italianisti su I promessi Sposi,scientificamente intenzionati a tacere su Alessandro Manzoni (chi era costui? un Carneade? e chi era di San Giuliano?un altro Carneade?).  Che gli studenti vadano via da Catania non è una meraviglia! Saggi, come i ribelli di Ernst Jünger, vanno a rifugiarsi nel bosco dove latita la polemologia, disciplina "guerresca", ignorata dai pacifisti (e anche dai bellicisti) ... che se citi - uno per tutti - Gaston Bouthoul pensano al botulino così come filosofi di Stato (certo, italiano) non sanno di Benoit Mandelbrot dei cui frattali fan frattaglie!
P.S. Da qualche anno è stato pubblicato un grosso volume, ricco di bibliografia e documenti d’archivio,  esaustivamente informato sul nostro Marchese, scritto da Gian Paolo  Ferraioli, Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino di Sangiuliano (1852-1914), Rubbettino 2007. A conclusione del triennio (2002-2005) del dottorato in "Storia Contemporanea" nel DAPPSI dell'Università di Catania Maria Clotilde Notarbartolo aveva presentato la sua voluminosa e bene informata tesi, I tempi e i modi della politica estera del Marchese di San Giuliano nella preparazione alla guerra di Libia.

sabato 24 maggio 2014

Agghiacciante il capitalismo!
























Siamo affetti da scientismo manipolatorio, da prometeismo dissolutore per cui tutto ciò che c’è di solido si liquefa o si volatilizza. Anche la democrazia si scioglie in mediocrazia (questa è del sopraggiunto Nietzsche) e nella modernità liquida di Zygmunt Bauman. “Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e i concetti antichi e venerabili[…]. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo di stabile, profanata ogni cosa sacra”. E’ l’autodistruzione innovativa del capitalismo di Marx, della contemporaneità di quell’esperienza della modernità che faceva scrivere nel suo magnifico libro (1982), All that is Solid Melts into Air. The Experience of Modernity, a Marshall Bermann, nel commento del passo marxiano famosissimo del Manifesto del Partito comunista: “ - […] dagli abiti che indossiamo ai telai e alle follatrici che ne tessono le stoffe, agli uomini e alle donne che lavorano alle macchine, alle abitazioni e ai quartieri in i lavoratori vivono, alle aziende e alle corporazioni che sfruttano i lavoratori, ai paesi e alle città alle intere regioni e persino nazioni, che li riuniscono tutti - tutto ciò viene creato per essere domani distrutto, schiacciato, sgretolato polverizzato o dissolto, così che possa essere riciclato o sostituito la settimana successiva e il continuo processo possa dunque ripetersi nel tempo, possibilmente all’infinito, in forme sempre più vantaggiose” (traduzione italiana della pubblicazione de il Mulino del 1985). Ma non tutto si scioglie per effetto della globalizzazione mercatoria e del capitalismo. Da qualche parte il capitalismo ha cercato inutilmente di impedire che - contro il compiacimento apocalittico di Marx - la neve si sciogliesse. Il capitalismo nivale si muoveva secolarmente controcorrente, contro la sua natura, esperiva altre sue potenzialità, evocando dalle sue risorse, tutte orientate alla volatilizzazione di ogni cosa incontrata, l’insospettata capacità di solidificazione, a rendere, cioè, solido il fiocco di neve e a prosperare nella sua solidificazione per il mercato del ghiaccio che ebbe in Europa una lunga stagione di fasti fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. E’ di Antonio Patanè (I viaggi nella neve, Palermo 2014) il racconto di questa strana avventura che esaltò la neve, raccolta dai nevajuoli, custodita nelle neviere, in grotte, anfratti, ripari naturali, commerciata dagli arrendieri, appaltatori, consumata nelle afose estate della città di pianura per l’ “usanza del bere annevato”, per la frutta gelata, per i gelati e le granite, per i sorbetti o gli sciroppi freddi della mensa dei monaci e dell’aristocrazia, per la conservazione dei cibi, per gli ospedali a scopo medicinale contro emorragie e febbri, in groppa ai muli in viaggi notturni, caricata sulle navi (per Malta dalla Sicilia),contrabbandata, controllata alla dogana, alle postazioni daziarie. E attorno alla neve interessi, mestieri, alleanze politiche, lotta di classe, proverbi, modi di dire, modi di fare, modi di vivere in Francia, come in Ispagna, a Catania come a Milano, a Cagliari come a Roma. Il capitalismo, per fortificarsi, lavorava nel frattempo “contro” se stesso. Per liberarsi dalla schiavitù della Natura diede vita all’industria del ghiaccio, della refrigerazione dei corpi e dei cibi. Capitalismo nivale e capitalismo antinivale, ora l’uno ora l’altro? In tutto questo, a non funzionare è il “capitalismo”, il concetto di capitalismo, la filosofia del capitalismo, il Capitale che pensa o che viene pensato. E figurarsi se il Capitale voglia perdere il suo tempo a pensare! Il Tempo è  denaro, non perde se stesso appresso all’Essere!

giovedì 22 maggio 2014

La fiction della psicanalisi: Giocasta era una Milf o una urban cougar!












Un romanzo noto per le pagine iniziali dove si racconta della crisi di questi anni in Nord America, con ragazzi di lavoro precario, squatter, intelligentissimi, coltissimi, sfigatissimi. A me piace tutta la storia e, particolarmente, la pagina finale: "Si preme il ghiaccio sulla mano gonfia, e guardando la mano pensa al soldato senza le mani nel film [I migliori anni della nostra vita]* che visto l'inverno scorso con Alice e Pilar, il giovane reduce dalla guerra che non poteva spogliarsi e andare a letto senza l'aiuto di suo padre, e ora sente di essere diventato come quel ragazzo, che non riesce a fare nulla senza l'aiuto del padre, un ragazzo senza le mani, un ragazzo che dovrebbe essere senza le mani, un ragazzo cui le mani hanno portato solo disgrazie nella vita, le sue mani arrabbiate che sferrano pugni, le sue mani arrabbiate che spintonano, e poi gli torna in mente il nome del soldato nel film, Homer... Homer come il poeta Omero che scrisse quella scena fra Odisseo e Telemaco...". Sono le battute conclusive di Sunset Park (2010) di Paul Auster. Il protagonista è Miles Heller. 

Mi chiedo: cosa sarebbe la psicoanalisi senza la letteratura omerica, senza la mitologia classica? La risposta è quella di Karl Kraus che riteneva si dovesse usare la psicanalisi per smascherarne l'autoreferenzialità, la natura di dispositivo giustificazionista del coatto a ripetere e, insieme, "gesto di vendetta, per mezzo del quale l'inferiorità si dà un contegno, se non addirittura un'aria superiore...].Esser medico è più che essere paziente e perciò oggi non c'è babbeo che non tenti di curare ogni genio [...]. La psicoanalisi è quella malattia mentale di cui ritiene di essere la terapia". Fu per questo che di Edipo - incestuoso a sua insaputa - fu nascosta la sua pederastia, l'abuso sessuale e letale nei confronti di Crisippo che per l'affronto si diede morte. E invece siamo tutti lì a menarla con Giocasta, Laio... E se Giocasta fosse stata una Milf? O una urban cougar?


*The Best Years of Our Lives è un film del 1946 diretto da William Wyler. 

martedì 20 maggio 2014

Il postumano: Nietzsche è antiquato!








"La Tecnica è un servitore che fa un tale chiasso mettendo in ordine la stanza accanto che i signori non possono far musica" (Karl Kraus)



Presentare Frammento e sistema (Mimesis 2014,pp. 242) di Roberto Fai nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Catania è una provocazione: vi si celebra la morte della politica, prima e più che della scienza politica (che è già una presuntuosa mostruosità). Dovevamo parlare di corda in casa dell’impiccato. Non se n’è fatto niente. Ma neppure con torme di studenti sarebbe successo alcunché, data la folla autistica degli intellettuali, prodotto ultimo della globalizzazione mercatoria che,assieme alla sua ombra, il disagio, è tema del saggio.

Con l’esplosione dominatrice della Tecnica, tutti i medici - buon ultimo il nostro Roberto Fai -  accorsi al capezzale dello Stato nazionale, della democrazia, della sovranità popolare e della politica non hanno potuto non constatare che la politica è morta, lo Stato è larvale, la democrazia è chiacchiera per i talkshow o degli avventori del bar rionale. I becchini sono tanti, divertenti tutti da Le Pen, a Grillo, a Berlusconi, a Crocetta o a Putin (poco divertente, molto inquietante). Siamo in attesa dell’adveniens, del nuovo Messia, della sua Parousìa. Se ne intravvedono i tratti facciali quelli mixati di terribilità di un feroce comico o di una divertente tutta-d'un-pezzo Merkel o di un inespressivo, inaffidabile Putin o dell’ebetino Fonzie.Tutto questo perché siamo al tramonto dentro cui, anzi, sulla cui soglia dobbiamo stare vigili come appena desti all’aurora.

L’Occidente è popolato da occidentali, da tramontanti: il tramonto è la sostanza , la qualità dell’Occidente, il tramonto è occidente, occaso. Pertanto, a noi occidentali nulla di nuovo è accaduto dopo il dilagare della Tecnica: siamo stati sempre occidentali sin dalla nascita del sistema solare.
Prima domanda: se siamo stati sempre occidentali perché la scoperta (1918-1922) di Oswald Arnold Gottfried Spengler  (“l’andata sotto della terra della sera”: traduzione letterale di Der Untergang des Abenlandes) dovrebbe segnare la nascita dell’Occidente alla data della pubblicazione del suo libro o a quella dell’esplosione della Tecnica seguita - come dai cuccioli la mamma - dalla “grande trasformazione” della rivoluzione industriale?(Per inciso, ricordo 1°-  che occidente e tramonto sono sinonimi astronomici e un sinonimo non può auto-specificarsi se non per creare un brusio, un insensatezza, un flatus vocis insignificante; 2°-  che un tramonto non è un punto di poco tratto, ma una linea di durata lunga quanto i secoli che compongono una civiltà; 3° - che dopo Copernico non siamo occidentali, anzi, ad onor del vero astronomico non lo siamo mai stai: il Sole è occidente,tramonta, od oriente, si leva soltanto nella presunzione geocentrica di Tolomeo).


Un saggio “denso” e “inedito” direbbe Fai di questo lavoro per sottolinearne l’eccellenza (“densità”, “condensazione”, “addensamento” e relativi apparentamenti semantici, o  “inedito”  con la variante “inaudito” o “tagliare” “fessurare” “de-cidere”, “soglia” sono i lemmi più frequenti di Fai in questo lavoro, i tic linguistici il cui esame per uno come Leo Spitzer avrebbe chiesto lo spazio di un volume di uguale mole del Frammento e sistema).
 Un saggio denso ma non definitivo che come tutte le buone opere non chiude ma apre questioni.
E cominciamo da Heidegger che  -assieme a Jϋnger e a Schmitt - è il principale attore del teatro filosofico allestito da Fai sul cui impiantito sono chiamati tanti altri personaggi da Nietzshe a Derrida a Cacciari, a Esposito a Bodei a Curi.

Heidegger ovvero l’ossessione della Terra,della terra,delle radici (ma l’uomo ha i piedi, è mobile, itinerante, non stanziale come un vegetale). Heidegger il filosofo-Bauer e mi chiedo se Heidegger in un paese solare come lo scintoista territorio nipponico che - è un maritorio, più che un territorio - abbia mai avuto accoglienza, la devozione tributatagli nel  territorio occidentale.
Heidegger lo leggevo- qualche anno ora è - e alla fine mi rimaneva una forte sensazione di terra e sangue, di terra (Boden) più che di sangue (Blut) e pensavo che mai sugli orizzonti mentali, tolemaici, geocentrici di Heidegger è giunto a stagliarsi (altro tic linguistico di Fai) Copernico, l’eliocentrista.
Il Giappone è “occidentale” dalla Restaurazione Meji del 1868, dalla sconfitta dell’ultimo shogun o, prima, dal 1853 quando il commodoro statunitense Perry attraccò con le sue navi nella baia di Edo. E’ “occidentale” ma è orientale e ha come bandiera distintiva un disco rosso, il disco solare del nonno dell’imperatore e del padre della dea del sole, un disco di esplosiva luce aurorale. Ecco: la Cina, l’India, il Giappone sono atopici mi chiedevo leggendo dell’atopia di cui sarebbe affetto/infetto l’Occidente (pagina 147) ? A me pare che siano ubiquitari, ipertopici! Fai in questo saggio ci presenta una mole immane di riferimenti bibliografici: tutti occidentali, eccezion fatta per quell’ apostata nippoyankee di Fukuyama: non si trova un pensatore orientale manco a peso d’oro (escludiamo Derrida che è un franco algerino, più francese che nord-africano)

Fai affronta la questione del mare, del mare Mediterraneo per sposare in matrimonio - ma senza consumare, senza pervenire alle ultime conseguenze - le tesi di quanti sostengono la centralità - sia pure - di ritorno del Mediterraneo all’arrivo dell’adveniens che - come il Messia per gli ebrei – sarà il vindice della civiltà mediterranea contro cui la Storia s’è accanita, rivelandosi come impostura, imposizione di tramonti estranei e precoci. In realtà, con buona pace di Pedrag Matvejevic, di Fernand Braudel e di Franco Cassano il Mediterraneo è un quasi lago, acqua di risulta degenere degli Oceani, una traccia residuale quasi lacustre, appunto, un quasi stagno della Panthalassa che alla deriva dei Continenti si è concentrata negli Oceani dove si è scatenata la Tecnica, assunti gli Oceani come suoi campi di Marte. Il Mediterraneo è stata la nursery dell’arte nautica,vale a dire della Tecnica per eccellenza, la culla dei mari veri come sosteneva Joseph Conrad ripreso recentemente da Simon Winchester in Atlantico (Adelphi, per il  Pacifico disponiamo da tempo della trilogia di O.K. Spate pubblicata in italiano - ora è tempo -  da Einaudi). Il punto gli è che non si può parlare bene, fare l’elogio del Mediterraneo in presenza di filosofi iperterragni o baltici come Hegel, Kant, Marx, Heidegger, Junger, Schmitt, o l’Hobbes pre-industriale -  solo per fare i nomi più noti di questa lunghissima attraversata di Robero Fai per l’oceano della contemporaneità -. Sinceramente disarmato, non vedo il nesso tra Cassano e Jϋnger, tra Bari e Amburgo, tra la "napoletanità" di Croce e la "tedeschità" di Sloterdjik. In vero, il nesso tra queste distanze geofilosofiche è imprestato da Massimo Cacciari, un pensatore "tedesco", oceanico, figlio di una Venezia ipermediterranea, nauticamente (ex)imperiale. Non trovo coerente in un argomentare filomediterraneistico indicare la Cindia (Cina e l’India,due continenti di natura oceanica, alimentati e posti in essere  dal Mare Cinese e dall’Oceano indiano) quale erede dell’Occidente, dell’Occidente atlantico che è il padre sostanziale dello snervato figlioletto cacciatosi tra le … terre, di nome Mediterraneo, infeudato al gigante Anteo, re dei luoghi comuni.

Roberto Fai ci raccomanda di essere giusti con Marx. Ma Fai ci chiede troppo, chiede di essere indulgenti. Marx, come Federico De Roberto per Antonino di San Giuliano, è stato responsabile del dileggio, della sottovalutazione e della dimenticanza di un pensatore robusto e, quindi, scandaloso come Max Stirner che, recuperato dopo averlo sottratto alla furia del frullatore marxengelsiano dell'Ideologia tedesca, sarebbe il vero protagonista delle pagine di Fai, di quella lunga  rappresentazione della desertificazione europea operata dalla globalizzazione mercatoria. Se c’è uno spettro che si aggira per le pagine di Fai quello appartiene all’Unico (Der Einzige und sein Eigentum, 1844) di Max Stirner, in anticipata prefigurazione dell’individuo sopravvissuto al crollo della sovranità popolare, alla cancrena della democrazia, al collasso della politica, all’implosione della comunità, della communitas, al totalitarismo della democrazia di massa - per dirla con Ernst Jϋnger per il quale, in uscita “stirneriana”, totalitarismo e democrazia di massa “sono due esperienze che obbediscono al principio agonale dei contrari: quanto più si radicalizza un estremo, tanto più affiora quello opposto. A rigore, dal punto di vista dell’Anarca, del grande Solitario, totalitarismo o democrazia di massa non fanno molta differenza. L’Anarca vive negli interstizi della società, la realtà che lo circonda in fondo gli è indifferente, e solo quando si ritira nel proprio mondo, nella propria biblioteca ritrova la sua identità. In ogni caso è raccomandabile la freddezza: su una palude ghiacciata si avanza con maggiore sicurezza e rapidità”(in Antonio Gnoli- Franco Volpi, I prossimi Titani. Conversazioni con Ernst Jϋnger, Adelphi 1997, p.108). Per Stirner l'uomo raggiunge, scopre se stesso, rivela la sua iità, la sua "biblioteca", liberandosi di ogni astratta rappresentazione dell'uomo (l'umanità): la derelizione o deiezione dell'individuo di Heidegger  e & in Stirner e & è unicità ricca di qualità, forte di proprietà. Certo, c'è da chiedersi (ma è altra faccenda) se l'Io di un uomo può predicare la sua non umanità. Non è come scuoiarsi a vivo e apparire come un disegno anatomico che mostra sotto la pelle i muscoli, la carne, le ossa?

Un' ultima osservazione relativa alla vegetalità contadina di Heidegger riferita all’ ”abitare nell’universale sradicamento”. Heidegger scrive(riportato da Fai a pagina 191): “Il modo in cui tu sei e io sono, la maniera con cui noi uomini siamo sulla terra è il Buan, l’abitare. Essere uomo significa: essere sulla terra come mortale; e cioè: abitare”. Mi permetto di affermare che l’essere non è l’abitare se non per una ditta di trasporti, per il postino, così come uno non è quintopianista ché abita al quinto piano. L’habitat determina l’essere vegetale, quello del pomodoro di Pachino o del carciofo di Niscemi o del tartufo di Alba. Gli studiosi di storia del territorio o della città sanno che la delimitazione dello spazio a scopi abitativi o la norma edificale sono ispirate a utopie celesti, a supposte armonie divine come ha ben dimostrato Joseph Rykwert ne L’idea di città. I comunisti non nascono dalla comunità, non sono tali perché abitanti della polis comunitaria ma dalla messa in comune dei beni prodotti o sgraffignati: il modello comunista – come è stato scritto - è in Marx quello dei pirati,di uomini di ventura di mare.

Schmitt ha individuato in un lampo balenante la figura del Grifo quale portatore o cifra simbolica del futuro. Come a dire: la terra è stata la nursery, la culla della umanità, il cielo sarà la prova della sua maturità che dovrebbe spingerla al "transumano" di Attali, al "postumano" che Trotzsky additò, immaginandolo come l’operaio nicciano, l’Arbeiter di Jϋnger, l’uomo della Tecnica o la Tecnica antropizzata, un nuovo Prometeo più i Soviet, il colonizzatore dei mondi oltre la terra, l’astronauta. L’uomo dapprima cacciatore, poi pastore contadino, poi marinaio, poi astronauta. Quale sarà la forma politica della comunità degli astronauti del comunismo di Trotzsky dove l’uomo diverrà “incomparabilmente più forte, più saggio, più acuto. Il suo corpo si farà più armonico, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale, le forme dell’essere acquisteranno una dinamica rappresentatività. La media dell’umanità sarà al livello di un Aristotele, di un Goethe, di un Marx. Oltre queste altezze si eleveranno nuove vette” (Letteratura, arte, libertà 1958 Milano). E la nuova Utopia, congedatasi dal Comunismo, sarà la pratica del Cosmismo. Insomma, oltre la Terra il Sole che non tramonta, fisso nel suo splendore a illuminare il Cosmo, l’habitat del postumano!
Jϋnger parlando del suo Al muro del tempo e del giudizio lusinghiero di Hermann Hesse: “ […] una delle idee che io esprimo in quel libro, e che lo colpì, è che per capire ciò che avviene bisogna per così dire spostare lo sguardo dalla storia umana alla storia della terra, bisogna volgersi dalla considerazione del tempo storico a quella del tempo cosmico, della natura. L’umanità è parte dell’accadere del cosmo”(Gnoli-Volpi, citato sopra, p. 90).

venerdì 16 maggio 2014

Non sappiamo cosa pensasse di De Roberto e de I Vicerè, rancoroso ritratto di Consalvo-San Giuliano. Non lo sappiamo perché assai probabilmente Antonio Di Sangiuliano che pure era un consumatore bulimico di letteratura, da Dante a Goethe in lingua originale,non degnò neppure di uno sguardo quel romanzo che - a detta del più recente biografo di San Giuliano, Gianpaolo Ferraioli (Politica e diplomazia in Italia fra XIX e XX secolo. Vita di Antonino di San Giuliano Rubbettino 2007)  - "una volta diffusosi a Catania, divenne per tutti la narrazione letteraria, ma nella sostanza fedele, della cinica carriera politica del marchese. Il capolavoro di De Roberto, quindi, fu accolto come una sorta di appello al partito monarchico catanese, affinché emarginasse il narciso San Giuliano, che aveva dimostrato in tredici anni di permanenza in Parlamento [fu eletto nel 1883] di sfruttare il programma della conservazione nel progresso per allungare la sua trasformistica carriera" (p. 121 ).

domenica 11 maggio 2014

Il socialismo a spese altrui


Il vicerè socialista. Giuseppe De Felice Giuffrida, sindaco di Catania

Il saggio di 327 pagine di Pippo Astuto, Il vicerè socialista. Giuseppe De Felice Giuffrida, sindaco di Catania (Bonanno 2014) conclude una lunga parabola di studi sulla Sicilia Ottocentesca (del secondo Ottocento, prevalentemente).
Una lunga traiettoria, intramezzata da studi sulla formazione dello Stato russa in età moderna e del costituzionalismo russo, e che ha finito con l'avere la meglio sulle iniziali ricerche di Astuto, studioso di Inchieste meridionali attraverso le quali paradossalmente si cercava di conoscere un gran parte del territorio nazionale, ignorata dalla cultura istituzionale, solo dopo averla inglobata a forza, violentemente al suo interno. Come mettersi a tavola per ingoiare alimenti di ignota qualità.
Nel Meridione, in Sicilia prima dei ministri, degli amministratori civili e della politica - che dovrebbe essere sorretta previamente dall’informazione  orientata alla costruzione del progetto politico e istituzionale - prima sono arrivati i militari, quali amministratori e ricercatori sociali territoriali. L’esercito garibaldino e, poi, quello dei Savoia hanno avuto il privilegio, la primazia di suggerire alla politica le tecniche amministrative del territorio meridionale che sulle prime furono repressioni e stati d’assedio, la politica - vale a dire dei militari -. E’ così che il furetto conosce il coniglio: azzannandolo e dilaniandolo.
Stanca ma instancabile di violenza, la ruling class, il ceto di governo post-risorgimentale  fece ricorso al Prefetto che in tempo di pace è il soldato o il generale, o l’uno e l’altro, esecutore e suggeritore dei progetti istituzionali del centro, come nella tesi altrove elaborata da Astuto.

L’istituto prefettizio è stato dopo le Inchieste l’argomento-principe degli studi di Astuto dal cui magistero è sortito un altro bel saggio d’ambito istituzionalista pubblicato dalla casa editrice Bonanno e scritto dalla brava allieva Elena Faraci, I prefetti della Destra storica: Le politiche dell'ordine pubblico in provincia di Palermo (1862-1874), Bonanno 2014.
 C’è un lontano debito che si fa credito cospicuo di Astuto verso quella storiografia marxista che, salpando dai "ribelli primitivi", dai delinquenti del grande studioso inglese Eric J. Hobsbawm, dagli antagonisti senza fabbrica,fuori o contro il sistema delle industrie, dal "movimento operaio attraverso i suoi Congressi" dell’indimenticabile maestro, Gastone Manacorda, si era autonomamente, per spinta propria, consegnata all’antropologia di Ernesto De Martino e all’identificazione-trasposizione del ruolo rivoluzionario e ri-compositivo della società disgregata dei meridionali e subalterni. Quel ruolo era stato individuato nello sciamano-intellettuale organico gramsciano-Partito comunista. Lo sciamano, il mago, il fattucchiere meridionale diventano in mano ad Astuto il Prefetto o Crispi o De Felice. Ecco: De Felice è il Prefetto dei poveri, concorrente e antagonista dei Prefetti di Stato. De Felice è il Prefetto-sciamano contro il Prefetto-Prefetto istituzionale.

Figlio e orfano a 9 anni di un delinquente, ucciso durante una rapina,educato in ospizio, all’uscita fa di tutto, esercita strani mestieri (escluso quello dell’astrologo o dello sciamano). Astuto ce li ricorda: marito e padre a 17 anni, inizia diciannovenne con un impiego in Prefettura, ovviamente, da cui dopo tre anni viene mandato via a causa della pubblicazione di un giornale antigovernativo,  - “salato e pepato” lui lo definisce  - Lo Staffile, quindi, fa il suonatore di bombardino, il lavorante tipografo, il commerciante di vini, il piazzista di macchine da cucire. Questo aspetto picaresco-sciamanico, decisamente völkisch, non lo perderà il Nostro se anni dopo, alla vigilia della sindacatura catanese del 1902, lontano dall’eco dei fasci, dalla condanna a 16 anni, ma amnistiati a due dal governo Di Rudinì, la Kuliscioff scriverà da Catania a Turati (1899) quella notissima lettera che  Astuto ha posto ad apertura del suo libro: " Basta dirti che il De Felice è la sintesi, l'espressione vera e genuina, della qualità e dei difetti di quell'immensa popolazione. Anzi, direi che egli come tipo dell'ambiente riassume in sé in modo esagerato le tendenze basse  ed elevate;perché il bello e il brutto si toccano e si confondono là con un armonia meravigliosa. De Felice è il vero vicerè; i baroni e principi lo ossequiano, i facchini del porto lo abbracciano, gli operai delle zolfare si rivolgono a lui come al redentore, le ragazze allegre lo festeggiano al suo passaggio" ( p. 9). Dove non si capisce della meraviglia della Kuliscioff se lo scandalo sia nelle riverenze aristocratiche verso un socialista, sfracellatore di classi superiori, o nei modi affettuosi di cui il compagno, erede dell'alta filosofia tedesca culminata in Marx, godeva tra puttane e facchini!

Da qui, in un confronto serrato con autori, colleghi e maestri come Giuliano Procacci, Giuseppe Barone, Giuseppe Giarrizzo, Saro Spampinato, Giovanni Schininà ed altri elencati nella esaustiva bibliografia, prende abbrivo la ricerca di Astuto che riempie un grande vuoto nella storiografia della città siciliana e un vuoto nella storiografia del movimento operaio e socialista nazionale.

Necessariamente - parlando di De Felice - non si può non richiamare alla memoria il marchese Antonino di San Giuliano della cui biografica politica si occupa Gianpaolo Ferraioli in un ponderoso ma imperdibile volume di quasi mille pagine, pubblicato nel 2007 da Rubbettino con il titolo Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino Di Sangiuliano (1852-1914). Sono quasi coetanei: De Felice nasce nel 1859 e muore nel 1920, di San Giuliano nasce nel 1852 e muore nel 1914. L’impressione che se ne ricava mettendo in comparazione ravvicinata le due biografie è quella secondo cui l’uno è il rovescio dell’altro,con profili di coincidenza sorprendenti. San Giuliano, eletto sindaco nel 1879, giovanissimo, mette in piedi un programma di forte deficit spending, incentrato sui lavori pubblici e infrastrutturali, sull’ammodernamento del porto innanzitutto, e poi sul rifacimento delle strade cittadine. Con San Giuliano, “riformista dall’alto” ( Io sono scettico, ma ciò nonostante ho una specie di culto per la Sinistra [che] per me vuol dire democrazia e progresso, ed io sono per convinzione profonda, democratico e progressista, benché molti non ci credono, dal Diario, 1892), Catania si offre come un grande cantiere grazie al quale dare occupazione a quegli operai che infittiscono speranzosi e minacciosi le fila del movimento di De Felice, pericoloso “riformista dal basso”.

San Giuliano, autodefinitosi "socialista", ha un’intuizione che poi sarà ripresa quale elemento distintivo di buona amministrazione cittadina da De Felice sindaco (dal 1902, Antonino di San Giuliano, deputato parlamentare, viaggia in quegli anni per l'Albania e l'area adriatica dei Balcani avendo come meta il Ministero degli Esteri che avrà nel 1904): la municipalizzazione della panificazione che avrebbe dovuto tenere basso il prezzo dell’elemento base e irrinunciabile di una alimentazione povera, della povera gente sedotta dalla sirene che militavano dalle parti del defelicianesimo. 
De Felice nella guerra di Libia, orchestrata da San Giuliano ad alleggerimento del sovraccarico demografico meridionale e in difesa degli interessi economici del Banco di Roma, dell’Ansaldo e della Fiat, si schiererà a favore dell’impresa anti-turca che dava l’opportunità alla Sicilia e ai suoi porti di divenire il crocevia dei commerci dell’area mediterranea.

Provenivano da storie diverse, opposte, l’aristocratico marchese, ministro degli Esteri, e il proletario alfabetizzato De Felice: ma avevano l’identico progetto e di gestione municipale, ambedue keynesiani ante litteram, e di collocamento dell’Italia, con funzione egemone, nel Mediterraneo. Un unico progetto e lo stesso antagonista denigratore: Federico De Roberto de I viceré.

Il libro di Astuto composto di 8 capitoli di cui ben quattro sono dedicati alla questione dei Fasci, alla repressione, ai conseguenti processi dei leader. E qui ritorna - dai precedenti lavori di Astuto - e  riappare prepotentemente l’altro uomo straordinario della Sicilia politica post risorgimentale: Francesco Crispi. 

Ma cos’è stato il socialismo di De Felice, questa sorta di socialismo municipale teorizzato così: " Il municipio dovrà diventare il centro attivo di tutta la vita cittadina, il Consiglio comunale dirigerà le grandi imprese urbani, i cittadini ne saranno gli azionisti, il dividendo sarà rappresentato dalla migliorata igiene, dai più comodi e pronti servizi pubblici, dall'accresciuto benessere, dalla felicità dell'intera cittadinanza. Epperò, non soltanto deve provvedersi alle ville pubbliche, alle biblioteche e pinacoteche e musei, ma soprattutto agli acquedotti, all'illuminazione generale, alle tramvie ( che sono le carrozze di tutti), alle provviste sanitarie, all'apprestamento dei mezzi di alimentazione a buon mercato" (p. 216)?
Si può dire che sia stato una sorta di socialismo per decreto regio, un socialismo che usava l’amministrazione municipale per demonarchizzare dall’interno il paese, che usava i bisogni sociali come dispositivo lanciato contro il potere finanziario, contro gli ovvi criteri della contabilità comunale.Un socialismo che non doveva rendere il conto, pagare il conto!

 Nella strategia di questo socialismo, finanziariamente allegro, si ricorreva strategicamente all'indebitamento, ai mutui bancari che viaggiava su alte cifre di anno in anno sempre più crescenti. Ma il deficit spending o il socialismo a-spese-di-altri non fu misura solo dell’amministratore socialista se il San Giovanni Battista del keynesismo ante litteram fu il di San Giuliano nel 1879. Dagli anni settanta in poi, per tutto il lungo emiciclo di Kontradieff che copre il venticinquennio 1870-1896 gli amministratori a Catania spendono furiosamente alla cieca, anzi, a ben vedere. Sistematicamente facendo il gioco delle parti l’opposizione (qualsiasi opposizione) rimprovera alla Giunta in carica (qualsiasi Giunta) il disavanzo, lo sperpero del denaro, l'erronea compilazione dei bilanci, lo sfacelo dell'amministrazione daziaria,clientelismo e sovraoccupazione nell'impiego pubblico.

 Letta questa biografia che è anche la biografia del municipio cittadino resta una semplice certezza: le città meridionali non hanno mai avuto sufficienti risorse interne per sostenere i costi della civiltà delle buone maniere, della buona amministrazione. Crispi, De Felice San Giuliano sia pure con  motivazioni diverse sanno che Catania o la Sicilia o il Meridione o l’Italia intera debbono ritagliarsi un ruolo internazionale se non vogliono sprofondare nella marginalità. E, considerato l’interventismo nella prima guerra mondiale di De Felice e il consenso alla guerra di Libia di qualche anno prima, non si può non riflettere sul fatto che con Crispi e San Giuliano, il più dinamico e intelligente ministro degli esteri della storia d’Italia, la politica internazionale dell’Italia ebbe a prendere  una curvatura meridionale, riclassificando le gerarchie territoriali della nazione  che, nata in Piemonte e in Francia, con Camillo Benso di Cavour e Napoleone III di Francia, doveva essere riposizionato nel Mediterraneo, nei suoi porti, nelle sue città pena la marginalità contro cui lavorò De Felice, interventista "democratico" nella prima guerra mondiale e imperialista demografico nella guerra di Libia.


martedì 8 aprile 2014

L'ingannato






Uno arriva e fa l'Assessore ai Saperi e alla Bellezza condivisa. E mi ricordo che l'assessore è "quello che si siede accanto", in questo caso, a Catania, accanto ai Saperi e alla Bellezza Condivisa. E allora un altro pensa che i Saperi siano dei mestieri o cristiani o, nel peggiore dei casi, altri assessori o consiglieri comunali e che la Bellezza condivisa sia un'escort, una bella ragazza che si condivide al bunga bunga. Invece no, l'Assessore non si siede accanto, ma solo se ne sta a "urlare al vento nella speranza che orecchio lo senta" - come scrive o urla da licantropo, il professore Licandro della città delle mulinciane, assessore che condivide la Bellezza(con chi,Bellezza?). Tutto questo si può ben condividere, ma che Manlio Sgalambro, ne La morte del sole "sulla quale tanto si è soffermato" abbia voluto redigere un manifesto eco-ambientalista per tenere in vita il sole(s'è spento il sole e chi l'ha spento sei tu, grande Celentano!) ci pare un azzardo sia pure di bene intenzionata ispirazione antindustrialista. Facendo finta di avere letto per intero Il tramonto dell'Occidente (Der Untergang des Abendlandes) di quel reazionario protonazista di Oswald Spengler, ecco quanto scrive il professore Licandro, assessore in condivisione, in con-addizione, con-moltiplicazione, con-sottrazione, presentando il catalogo, Contrasti,edito da Carthago, di una mostra di dipinti dell'avvocato penalista Salvo Trombetta, esposti nei locali del Palazzo Platamone della città delle mulinciane (come Niscemi e Ramacca sono le città dei carciofi):"[Siamo al] tramonto. Della nostra civiltà contemporanea che si è nutrita di terre come di uomini, di colori come di poesia, per risputarci nero catrame: è il tramonto dell'Occidente [...]. Bisogna abbandonare i siti dove le ciminiere soffocano la terra[...] andare verso mari e terre meno contaminati[...] andare a Vendicari o arrampicarsi sui Nebrodi dove bla bla bla fru fru fru. Ma [ ...] l'uomo invadente [in presenza di escort non si può dire di un uomo che siainvadente, ma Allah Akbar, è grande e perdona tutti!] e stupratore[Bellezza condivisa e stuprata?], signore della terra e dei mondi [e degli Anelli], dominatore del bergsoniano 'spirito vitale'[ esprit? non era élan?] al quale addirittura vuole sostituirsi per farsi unico dio, scoprirà presto che non c'è bisogno di attendere qualche milione di anni per assistere alla morte del sole[ecco!] sulla quale tanto si è soffermato Manlio Sgalambro: il sole lo sta già uccidendo lui[non Sgalambro, ma lo stupratore di escort condivise]". Non condividendo quanto l'assessore condivide con la Bellezza, ho deciso di ri-soffermarmi sul saggio di Sgalambro alla ricerca di considerazioni eco-ambientaliste ed eliofile. Non ho trovato di più appropriato altro se non il 24 della quinta parte de La morte del sole:" Sulla conciliazione con la natura, la novella di Thomas Mann, Die Betrogene, ne sa una più di Hegel quando, al desiderio di amore della signora von Tummler. ormai in menopausa, la natura risponde ristabilendole il flusso mestruale, ma come cancro. In questo grande racconto, che si presenta, come si conviene, lezioso e perdigiorno, v'è tra le pagine, avvolto in serico damasco, il significato dell'età del compimento. L'idea che si realizza come sberleffo".

sabato 29 marzo 2014

La "Repubblica" delle melenzane

Ricordo questi versi di Dante: “Ahi Costantin di quanto mal fu matre...” Quei versi ricordano l’editto dell’imperatore Costantino che nel 313 d. C. fece una donazione alla Chiesa..." - così Scalfari nel suo editoriale di oggi, 30 marzo 2013. Ricordo che quei versi Dante (1265-1321) li scrisse tra il 1300 e il 1316,per l' impossibile conoscenza della De falso credita et ementita Costantini donatione declamatio che Lorenzo Valla (1405-1457) ebbe a dissertare nel 1440. Ovviamente ignorante non è Dante, ma Eugenio Scalfari che professa saperi inconsistenti, aggiungendosi alla lista di quei falsari presi di mira da Valla: " Perciò non è di Costantino questa prosa, ma di qualche stoliduzzo di ecclesiastico che non sapeva che si dicesse o in che modo, di qualche canonico bene ingrassato di corpo e di mente e che eruttava questi pensieri e queste parole nella crapula e nel calore del vino [e nell'algida presunzione dilagante per la dilagata anagrafe]". (la traduzione del passo è quella proposta da TEA Storica giugno 1996)

La "Repubblica" dell'edizione siciliana non è da meno del fondatore, Scalfari. Ieri sabato 29 marzo 2014  Beppe Benvenuto a p. XVII ci dava notizie di un doppio viaggio in Sicilia di Ernst Junger (con la dieresi sulla "u") che sarebbe per Benvenuto avvenuto nel 1927 e nel 1977. Falso: il primo è del 1929 come si legge nell'edizione della Sellerio del 1993 che il malcapitato Benvenuto cita omettendo il nome del curatore (magnifica la sua "cura") che è anche il traduttore, Giuseppe Raciti, filosofo universitario catanese. Il malcapitato benvenuto produce un altro falso instillando nel lettore la convinzione che il padre dell'Anarca e dell'Arbeiter scrivesse o abbia scritto il suo diario del 1929 ( e non del 1927) in italiano.

Pienamente condivisa questa definizione di cretino o di melenzana (o di cretino intelligente di sciasciana memoria) nel cui "modo di agire [si osserva] una completa paralisi di alcune aree del cervello, letteralmente inibite da un'onda di emozione incontenibile. Problemi di sinapsi, collegati all'inibizione dei centri che presiedono alla coordinazione logica". E' di Valerio Magrelli alle prese o alla cura dei "difetti della sinistra" (in Il Sessantotto realizzato da Mediaset. Un Dialogo agli Inferi, Einaudi 2011, p.29). Altra bella definizione di Magrelli della vecchiaia (e del morbo di Parkinson - in un libro, Geologia di un padre, Einaudi 2013 - che è un monumentale "grattacielo" geologico al padre, al suo, al nostro, a noi quando saremo padri di figli come Magrelli): "La vecchiaia è una droga: un fungo allucinogeno [uno stato di] traslazione psichica. L'uscire da sé, l'extasis. Bisogna figurarsi un astronauta che tronchi il cavo con cui è collegato alla navicella. Persa ogni speranza di recupero, mio padre non aveva più dove tornare, e ormai orbitava lontano dai compagni, a una distanza che solo il suo sguardo riusciva a misurare" (p.35). E mi convinco sempre di più che nel mito di Edipo non si celebra il complesso di subalternità sessuale su (sotto) Laio.  Edipo era un mitico pederasta odioso per avere spinto alla morte il suo Crisippo. E, in buona sostanza, se uno è scemo, la responsabilità non risale a Edipo al quale se lo avesse chiesto Laio l' avrebbe data Giocasta, per liberarsene e cambiare partner. Agli antichi Greci manca la famiglia, la famiglia monogamica, la famiglia, innaturale, dei cristiani. Per i Greci importante era il ghenos, che sarà la gens dei Romani.

martedì 4 marzo 2014

To publish or to perish: this isn't a question. Pubblicali e bruciali: it's better or amusing!

Elenco delle pubblicazioni selezionate e da bruciare del prof . VITTORIO Agatino






1. Il lungo attacco al latifondo. Spiritara e contadini nelle campagne siciliane (1930-1950), Cuecm Catania 1985

2. Michele Amari. Memorie sugli zolfi, Gelka Palermo 1990

3. Recinzioni, Catania Cuecm 1990.

4. Sciascia, la storia ed altro, Sicania Messina 1991.

5. Formicolii, Catania Cuecm 1992.

6. I contadini, in I Grandi Siciliani. Tre millenni di civiltà, vol. I, Giuseppe Maimone Editore Catania 1992.

7. L’  “ordine” e la “ moralità” negli affari a Catania, Catania 1993.

8. Introduzione a Francesco Valenti, La città del leone. Il centro urbano di Lentini dal 1693 al 1860, Cuecm Catania 1993.

9. Prefazione a Rosanna Zaffuto Rovello-Antonio Vitellaro-Giacomo Cumbo, Signori e Corti nel cuore della Sicilia, Fondazione Culturale "Salvatore Sciascia", Caltanissetta 1995.

10. L’Etna genius loci, la lava il suo profeta in La pietra di fuoco, Acicatena (Catania) 1994

11. Ristampa anastatica ed Introduzione del Piano regolatore pel risanamento e  per l’ampliamento della Città di Catania, di Bernardo Gentile Cusa, De Martinis Catania 1995.

12. Una vita contro il malgoverno. Intervista con Franco Pezzino, Cuecm Catania 1995.

 13. Cosmo Mollica Alagona. Pioniere del turismo d’impresa etneo, Maimone Catania 1995.

14. Cura, introduzione e stampa de I briganti in Sicilia di Salvatore Lo Presti, Gelka Palermo 1996.

15. Cura, introduzione  e stampa de Gli ordinamenti marittimi di Catania (XV-XVIII secolo), Enna 1997.

16. Cura de Il riscatto della memoria. Materiali per la ricostruzione dell’Archivio Storico della città di Catania, con il saggio “ Cinquanta quattro anni dopo”, Catania 1999.

17. La mafia di carta, Guaraldi Rimini 1999.

18. Il parco letterario di Brancati (De Roberto e Verga), Catania 2000.

19. La vecchiaia di un siciliano in Una Facoltà nel Mediterraneo, Vol. II,  Giuffrè Milano 2000.

20. Anteo. Saggio marinaro sulla "questione meridionale" d'Italia, Maimone Catania 2002

21. Un canto di cigni, in Per un bilancio di fine secolo. Catania nel Novecento ( a cura di Corrado Dollo). Atti del III Convegno di Studio (1951-1980), Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale, Catania 2002.

22. Catania a pezzi (con Aldo Motta), Edizioni Greco Catania 2003.

23. Lo sguardo fuori, Catania 2005.

24. Storia del mare, Selene edizioni, Milano 2005

25. “La città dell’uomo nella mente di Dio in “Sacramentale”, Atti del Convegno di Caltanissetta, aprile 2006, Caltanissetta 2006.


26. Introduzione a I “pecchi” a Catania, di Santo Privitera, Mare nostrun edizioni, Catania 2007.

27. I manichini di Renzo. Manzoni storiografo, Selene edizioni Milano 2009

28. Se la Sicilia fosse un’isola sarebbe ricca di portualità, autonoma e con il segreto Riposto in … in Salvo Di Bella ( a cura di), La Sicilia ed il Mediterraneo in un riscontro interdisciplinare, Franco Angeli Milano 2010

29. Italian Serendipity, Bonanno Acireale- Roma 2012

30. Melenzanologia. Storia e storie di identità e di tradimenti, Bonanno Acireale-Roma, 2014

31. Prefazione a Logos Evolution di Gianfranco Damico, Melino Nerella Edizioni, s.i.l. 2014


martedì 21 gennaio 2014

Dedicato a Kuken Gutenberg

Titolo:
Melenzane e tradimenti. Storie di identità

"Sosteneva la tesi che la vita potesse svilupparsi soltanto a una certa distanza dalla terra, poiché la terra stessa emanava di continuo un gas di putrefazione, un cosiddetto 'fluidum letale' che paralizzava le energie vitali e prima o poi portava definitivamente alla morte. Per questo tutte le cose vive tendevano ad allontanarsi dalla terra con la crescita, cioè crescevano di là da essa e non dentro di essa; per questo protendevano verso il cielo le loro parti più preziose: il grano la spiga, il fiore i suoi petali, l'uomo la testa; e sempre per questo, quando l'età li incurvava e li piegava di nuovo verso terra, dovevano necessariamente soggiacere al gal letale, nel quale infine dopo la morte si trasformavano anch'essi mediante il processo di decomposizione" (Patrick Sueskind, Il profumo, tr. di Giovanna Agabio).

"... ho i piedi per terra, ben saldi sul duro suolo che mi ha visto nascere. L'odore delle zolle mi circonda. Nelle mie vene scorre lento del sano sangue contadino" (Joseph Goebbels, Michael. Diario di un destino tedesco, tr. Monica Mainardi).

lunedì 20 gennaio 2014

Lo spirito del porco o il corpo dello Spirito... occidentale.






Mark Kurlansky (Cod. A Biography of the Fish that Changed the World, 1997) sostiene che il merluzzo (cod), baccalà o stoccafisso (stockfish) insegnò la rotta nord europea per la scoperta delle Americhe in quel punto di approdo chiamato Cape Cod. Brian Fagan (Fish on Friday. Feasting, Fasting and the Discovery of the New World, 2006) dà alle aringhe il merito. (I libri citati, di splendide idee, sono anche dei ricettari di cucina che non possono non arricchire la biblioteca del cuoco di pesce). Altri sostengono che la linea di divisione tra il Nord del mondo e il Sud sia quella che separa i mangiatori di carne di porco dai salumifobi. San Marco (o repubblica marinara della civiltà veneta) per tutti quegli ittiofobi e per chi non condivide la classica tesi di Max Weber (il protestantesimo  quale Spirito o religione del capitalismo calvinista e anglo americano): "Di tutti i viaggiatori che approdarono a Venezia dall'Oriente, il più importante fu senza dubbio un abitante della Giudea, defunto ormai da molto tempo, un uomo di nome Marco. ritenuto l'autore di uno dei Vangeli nonché il fondatore della Chiesa di Alessandria. Nell' 828-829 alcuni mercanti veneziani che si trovavano ad Alessandria trafugarono le sue spoglie, nascondendole in una botte: avendo coperto le ossa con carne di maiale, riuscirono a passare l'ispezione dei funzionari di dogana musulmani, che preferirono non mettere le mani tra la carne suina. Il successo del trafugamento fu considerato segno certo dell'approvazione del santo". Da qui i resti furono custoditi in una cappella privata del doge, in seguito ampliata nell'XI secolo, sede del Patriarca e poi cattedrale nel XIX secolo. P.S. il passo tra virgolette è tratto da David Abulafia, Il grande mare, Mondadori 2013, p.250.  Sul furto delle reliquie sacre che tanto ebbe a meritare dalla religione cristiana disponiamo della traduzione italiana, pubblicata a Milano da "Vita e pensiero" nel 2000 di P.Geary, Furta Sacra: Thefts of Relics in the Central Middle Ages, Princeton 1978.

giovedì 9 gennaio 2014

La merda sul mare












Gianluca mi chiede notizie relative alla pubblicazione di una storia del porto di Catania, scritta assieme a Daniele, ad Angela e commissionataci dall'Autorità portuale. Rispondo che la stampa della nostra ricerca, consegnata al committente una decina di anni fa, non è mai avvenuta, a dimostrazione ulteriore che quella dove viviamo non è una città di mare ma di merda, alimento principe delle mulinciane prima dell'epoca dei fertilizzanti chimici. Pare che lo sviluppo della civiltà occidentale (o del capitalismo) sia legato alla trasformazione dell'escrementizio, riscattato dallo status di rifiuto marginale per quello di risorsa utile, come ad esempio- scriveva Maurizio Ferraris - nel colonialismo: " i negri, conculcati dal civilizzatore bianco (e asettico, a ogni livello: dalle infermiere, ai missionari, spazzini del visibile e dell'invisibile), sono prima definiti come rifiuti, poi riscattati come escrementi utili"(pagine 8 e 9 dell'Introduzione  all'edizione italiana di Dominique La Porte, Storia della merda, Multipha edizioni 1979). E' una città parmeneidemente bloccata alla fase anale e chissà per quanto tempo! O forse sarà la città anale per suo destino, l'orto delle mulinciane!
In questi giorni si ricorda la morte (5 gennaio 1984) per mano mafiosa del giornalista Pippo Fava. Tutti sono d'accordo nel ritenere che l'omicidio sia stato facilitato nella realizzazione dall'isolamento della vittima. Isolamento: un termine da elettricista che, quando deve mettere in suo potere in modo da non nuocere un filo scoperto, si adopera per isolarlo. Un termine paradossalmente mafioso: se si fa parte di una cosca non si può essere colpito o defoliato se non assieme a tutta la cosca, foglia per foglia. Un termine medico o carcerario cretinamente trascinato nelle questioni criminali. E, con in mano il libro di Fredi Caruso, Un secolo azzurro (di football, non di mafia, non di mare, non di cielo), sono arrivato alle pagine in cui si legge degli attentati al Duce, odiato fino al tentativo di omicidio mano a mano che si infittivano i consensi (uno per tutti: John Fitzgerald Kennedy, assassinato nel 1963, era isolato alla presidenza di 189,2 milioni di abitanti?). Insomma, uno lo si ammazza (o si tenta di fare fuori) per la sua pericolosità, temibile proprio perché non è isolato, proprio perché ha oltrepassato il deserto della sua "isolatezza". E' una punizione come "premio" per avere fatto presa, dopo avere fatto presa. E, poi, questa idea dei mafiosi che indicono summit congressuali per ascoltare gli esperti misuratori del grado di isolazionismo (con quali termometri?) è un'altra delle mulincianate dei mafiologi ruspanti. Mulincianata per incontrovertibilità. L'hanno ammazzato perché erano psicopatici. L'hanno ammazzato perché manco li calcolava. Per spavalderia li sovrastava e li disprezzava, facendoli sentire delle merde! E non era isolato, cazzo! Al contrario: era il capo di un grande partito informale che cresceva chiarendosi le idee!

sabato 4 gennaio 2014

Tra Rasputin e Stalin: il nazbol




Pene di Rasputin




Pene di Rasputin2


La magnifica biografia di Emanuel Carrère, Limonov,(Adelphi 2012) si apre con un aforisma sorprendentemente geniale di Valdimir Putin( "il doppio di Eduard", vale a dire, di  Limonov): "Chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello. Chi non lo rimpiange è senza cuore". Edicka Savenko, detto Limonov, come un nazista non vuole restaurare il comunismo, come un bolscevico lo rimpiange. La sua vicenda personale racconta la lunga scandalosa fine della storia sovietica. 

Da una rivoluzione  - quella dei Soviet - del cazzo (il penis di Grigory Rasputin - 30 centimetri, conservato in un Museo di San Pietroburgo, fondato da Igor Kmyazkin, "chief of the prostate research center of the Russian Academy of Natural Sciemces" -  ebbe un ruolo importante nella dissoluzione della ruling class aristocratica zarista alla vigilia della Rivoluzione d'Ottobre) alla caduta dello stalinismo, seppellito da quegli ubriaconi di Eltsin e dai suoi antagonisti alcolizzati, non poteva venire fuori che una generazione di nazbol di cui Limonov, co-fondatore del Partito nazionalbolscevico, non è il più rappresentativo ma che ha - come e più di altri esponenti della nuova generazione - l'ossessione del cazzo, del suo, di quello dei neri americani che non si fa mancare sbarcato a Manhattan, delle ninfomani amate (Natasha: "mi sgriderai dopo; prima scopami"), delle sue donne (Anna, Tanja, Liza e così via), tutte affette da bulimia sessuale. E poi ... tutta quell'altra gente raccontata da Zachar Prilepin, l'ammazza-ceceni. Ovviamente il nazbol non è una categoria politica ma un costrutto antropologico (in Italia abbiamo il fasciocomunista, Antonio Pennacchi). Ma che cazzo!

P.S. La questione sul ritrovamento dell'attrezzo rasputiniano è complessa, considerato che è stato il corpo del monaco sforacchiato da revolverate, buttato ancora vivo e ripescato il 19 dicembre del 1916, "spaventosamente gonfio nell'acqua del canale Malaja Nevka [...].La notte del 20 dicembre il professor Kosorotov, titolare della cattedra di Medicina Legale all'Accademia di medicina  militare, eseguì l'autopsia e l'imbalsamazione del cadavere. Il cuore fu estratto e riposto in un recipiente speciale, e i polmoni prelevati e immersi nell'alcool [...]. Il verbale dell'autopsia fu conservato a lungo presso l'Accademia di Medicina militare. Ma negli anni Trenta scomparve"(Edvard Radzinskij, Rasputin, Mondadori 2001, pp. 494-495). Di seguito (da "Russian Museum Rasputin" internet):

The Russian Museum of Erotica, newly opened in St. Petersburg, has been crowing about its acquisition of the penis of Rasputin (the mad mystic and lover of the wife of the Russian Tsar). A photo accompanying the many news reports about this unusual exhibitshows an attractive young woman staring rather in awe at the huge, grotesque thing as it floats in formaldehyde . It definitely looks like a penis, but is it Rasputin's penis (which, according to legend, was 13 inches long)?

As it turns out, Rasputin's penis has had a rather colorful history since its separation from his body. Here are some of the highlights. In 1916 Rasputin and his penis parted ways due to the machinations of a murdering gang of angry nobles. But, according to rumor, a maid found the bodiless member at the crime scene and saved it. During the 1920s a group of Russian women living in Paris acquired it (or acquired something that they believed to be his penis) and worshipped it as a kind of holy relic, while keeping it inside a wooden casket. Rasputin's daughter, Marie, didn't like the idea of her Dad's penis hanging out with these women, so she demanded the thing back. And it presumably stayed with her until she died in California in 1977. It then disappeared for a while until it came into the possession of Michael Augustine, who found it tucked away in a velvet pouch along with some of Marie Rasputin's manuscripts that he bought at a lot sale. Augustine sold the well-travelled penis to Bonham's auction house who then discovered (surprise, surprise!) that what they had bought was not a penis, but instead a sea cucumber.

That's where events stood in 1994. Now, ten years later the Russian Museum of Erotica is claiming that they have Rasputin's penis. Igor Knyazkin, the director of the Museum, claims that he bought it from a French antiquarian for $8,000. Which just begs the question: where did this French antiquarian get the penis from? One might also wonder why the Museum's penis is preserved in fluid, whereas all early accounts of Rasputin's penis describe it as dried out.

giovedì 2 gennaio 2014

Limonov ossia lo Zeitgeist








Raccontano le cronache di quest'inizio 2014 che la lettura del romanzo di Umberto Eco, Il nome della rosa, dai secondini del carcere dove sta scontando la pena è stata vietata al boss di Cosa Nostra di Gela, Davide Emmanuello. E si "associa" il libro alla galera e mi ricordo del terrore che incutevo, da recluta, al capitano della mia Compagnia del reparto "Folgore" quando mi si vedeva in giro per la caserma "Giannettino" a Trapani con un libro in mano. Leggono soltanto i galeotti, i reclusi, gli "associati" o "ristretti" (come i caffè: o potenza dell'eufemismo ipocrita!). Sono sovversivi non tanto perché mafiosi (lo siamo un po' tutti- si è soliti dire minimizzando da uomini che conoscono il mondo o da antropologhi a due lire un cazzo!) quanto perché si legge. GianLuca sostiene paradossalmente (paradossalmente?) che la mafia è l'uscita dalla galera della stupidità o la mediocrità senza uscita. E pensavo a Julien Sorel! E anche al nostro Sorel stendhaliano, Savenko detto Limonov, aspro come un limone ed esplosivo come una granata.E ai condannati mandati in Siberia con il viatico spirituale dei Vangeli, una lettura da ergastolano.Mio padre che non è stato mai in galera, vedendomi tutto il giorno sui libri, commentava: "Più studi e più scemo diventi". Voleva forse dirmi che vivevo come uno che ha perso, per rinuncia o per punizione, la libertà di movimento, la libertà. E io invece la libertà andavo cercando, come Sorel. E' quello che hanno inteso i secondini vietando la ricerca della libertà ai detenuti che leggono!

In Asia centrale, a Samarcanda o Barnaul, città-prigioni,i mendicanti, naufraghi sotto le mura merlate, sembrano dei relitti. "Sono dei re".

Sembra la biografia di un maudit, di Eduard Savenko-Limonov. E' la celebrazione, distrattamente ma astutamente elegante, di Putin che ha il suo doppio in Limonov:"[...]Eduard scrive[...] dei pamphlet in cui spiega che Putin non solo non è un tiranno, ma un tiranno scialbo e mediocre, a cui è toccato in sorte un destino troppo grande per lui. La falsità - insorge Carrère - di questo giudizio mi sembra lampante. Ritengo che Putin sia uno statista di grande levatura e che la sua popolarità non dipenda soltanto dal fatto che la gente è decerebrata dai media a lui asserviti. C'è dell'altro. Putin ripete in tutte le salse una cosa che i russi hanno assolutamente bisogno di sentirsi confermare e che si può riassumere così: Nessuno ha il diritto di dire a centocinquanta milioni di persone che settant'anni della loro vita, della vita dei loro genitori e dei loro nonni, che ciò in cui hanno creduto, per cui hanno lottato e si sono sacrifucati, l'aria stessa che respiravano, nessuno ha il diritto di dire che tutto questo è stato una merda" (Emmanuel Carrère, Limonov, pp 349-350).