lunedì 29 aprile 2013

Colonizzatori Ebrei e melenzane italiane

«Una persona stupida (o un partito politico o un'ideologia o un regime) è una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita» (Carlo M. Cipolla, Allegro ma non troppo).

Mentre l'impero ottomano andava cadendo a pezzi, l'Europa cristiana e giudaica pensava, da iena, di mangiarne i resti. La Libia, ad esempio, sembrava un bel boccone. Sin dal primo Ottocento la si studia, vi si viaggia e se ne dà conto antropologico e geologico da parte di geografi e di archeologi. Gli Inglesi vorrebbero sistemarvi gli Ebrei. John Walter Gregory, professore di geologia all'Università di Glasgow, pubblica nel 1909 (la guerra di Libia dell'Italia contro la Sublime Porta è del 1911) e per conto della Jewish Territorial Organization, una relazione: Report on the Work of the Commission Sent out by the Jewish Territorial Organization to Examine the Territory Proposed for the Purpose of a Jewish Settlement in Cyrenaica. E sarebbero stati, i sionisti, ben accolti in quei territori. I Turchi li preferivano come colonizzatori della Cirenaica e alleati contro la temuta invasione che gli Italiani stavano preparando. Ma quel terreno fu rifiutato dagli Ebrei che pure, dopo i pogrom russi di fine Ottocento e il Congresso di Basilea del 1897 dominato dal sionismo di Theodor Herzl, cercavano decisamente «un focolare garantito dal Diritto Pubblico» in giro per il mondo e nel Nord America (dove da tempo il Far West era diventato un pretesto per fare marketing di Geografia e Storia — notevolissimo il racconto della fregatura subìta da immigranti inglesi, tedeschi, francesi, russi imbrogliati dai pubblicitari imbonitori delle terre del West, fatto da Jonathan Raban, «Bad Land», relativo alla regione del Montana orientale).

Gli Ebrei scemi non erano. Avevano rigettato l'Uganda della proposta inglese del 1903 e abbandonano adesso il progetto libico, nonostante il ben volere turco e l'ipotesi che la Cirenaica potesse essere un rifugio temporaneo per la sistemazione (in seguito definitiva nei territori del colle di Sion, la Palestina). In Cirenaica, altopiano calcareo e carsico, la disponibilità d'acqua era insufficiente e gli indigeni arabi assai turbolenti. Finì che ci andarono gli Italiani a spendere immensi capitali, a fare strade, a creare villaggi, a metter in piedi un impero di cartapesta a ricordo vivo del trionfo dei fasti dell'antica Roma, a depositare le eccedenze demografiche rappresentate — come un'escrescenza tumorale a danno dell'economia italiana — dai contadini pugliesi, abruzzesi, veneti, calabresi, siciliani. Melenzane che depositavano melenzane per produrre melenzane. Una produzione di melenzane a mezzo di melenzane in un deserto carsico da trasformare in orto: questo fu il fascismo coloniale. Un regime economico deflattivo che viveva di spesa pubblica, di bonifiche in casa e in Libia: da una parte produceva fenomeni di disoccupazione di capitale e lavoro, tenendo alto il valore della lira per attirare investimenti e finanziamenti esteri, dall'altra spendeva e spandeva fino all'obbligata svalutazione del 40% nel 1936 a dieci anni dalla svolta di Pesaro, quando la lira fu portata a quota 90 (una sterlina contro 90 lire, mentre sul mercato la sterlina aveva superato il valore di 150 lire).

Non desiderare la terra d'altri. La colonizzazione italiana in Libia è il meticoloso lavoro di Federico Cresti (Carocci, 2012). Lo leggi e vai pensando che i fascisti non furono ... fascisti, ma italiani, non furono i capitalisti putrescenti (perché nella fase suprema il capitalismo andrebbe in putrefazione), non esportarono — imperialisti — eccedenze di capitale finanziario, non furono ricercatori di Lebensraum, non furono soltanto (e fu parecchio!) etnocidi della Senussia. Melenzane furono. Con la trovata che la questione meridionale, agraria, dell'eccedenza demografica si potesse risolvere allungando come un elastico l'Italia meridionale fino a farla coincidere con la Libia. Melenzane elastiche!

Tino Vittorio

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