
possono immaginare e inventare passati. I luoghi, al contrario, non si adattano: sono sempre stati dove sono. Hanno una vita propria. Una specie di diritto di veto. Sono le montagne che continuano ad esistere anche quando la fede che le ha spostate è svanita da tempo. Sono le pianure che continuano ad esistere anche quando tutta la fatica è stata compiuta. Sono le superfici su cui restano visibili le tracce lasciate da generazioni ormai trascorse”. Così recita la quarta di copertina della traduzione italiana della Bruno Mondadori del saggio di Karl Schlögel.
Una volta il viaggio era l’anima della Storia, era lo Spazio ad animare il Tempo. E però … mentre si conoscevano luoghi, uomini e tradizioni nuovi, li si trasformava in idee, larve delle realtà, larve reali, la muta del serpente che lascia la sua pelle negli spazi abbandonati per i sentieri strisciati. Trasformazione quasi istantanea: il Settecento è l’età apicale delle scoperte geografiche che si trasformano in materiali ideali, in carbonella per i lumi degli illuministi. A proseguire la spazialità verrà espunta dalla rappresentazione della Storia dell’idealismo sia hegeliano, sia crociano, sia marxista e, comunque, storicista. E’ per questo che Karl Schlögel ha messo insieme le sue riflessioni, per ricordarci che bisogna Leggere il tempo nello Spazio o che la Storia è geografia in movimento se non si vuole trasformare il racconto storiografico in un conte philosophique o, peggio ancora, in cronosofia che è quello che avviene nelle aule universitarie dei Dipartimenti di Storia, disadorne le pareti di una pur minima cartuzza geografica: Bismarck disse, Hitler pensò, Churchill sottovalutò, l’Italia mitternichiana era un’espressione geografica, i documenti d’archivio della Segreteria particolare del Duce, la questione (filosofica non geografica) meridionale e così de-spazializzando. Ma si può eccedere nel contrario e ricavare l'identità (predefinita) e lo spessore delle biografie dalla spazialità. E Firenze, gli Uffizi, il Battistero, il Ponte vecchio, la spazialità manufatta o naturale di Firenze sono Dante Alighieri o la mia amica Lea, deducibili dalla descrizione di un viaggio e condannate alla fiorentinità presunta. Meglio allora questa altra citazione di Schlögel:
“Il binomio ‘essere e tempo’ non risolve l’intera dimensione dell’esistenza e Fernand Braudel aveva ragione quando parlava dello spazio come ‘il nemico numero uno’: la storia umana come lotta contro l’horror vacui, sforzo incessante di controllare lo spazio, dominarlo e infine impadronirsene”.
I Siciliani dei viaggi in Sicilia, quelli che praticano l'arte di annacarsi, di piétinier sur place, di muoversi senza spostamento sono gli abitanti della Sicilia, compresi i cinesi, i maghrebini, i senegalesi e tutti gli altri siciliani che vorrebbero liberare l'isola da tutti i Siciliani che si deducono dalla terra isolana, come la melanzana dall'orto, la lava dall'Etna, i masculini dalla rete di pesca?
Tino Vittorio
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