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In questi giorni ci sono studiosi come Latouche o Cassano che vedono l'arretratezza del Meridione (il computer scrive sempre Merdione e io a correggere. Ma se avesse ragione il computer?) o la decrescita del sottosviluppo quali alternative alla crescita o al Settentrione capitalistico. Prima osservazione: la Zivilisation non è un oltrepassamento, non è l'oltrepassamento della Kultur (insomma, siamo al tramonto del tramonto a una formula, vale a dire, in cui la specificazione è una geminazione come la lingua della lingua il piede del piede. Quindi non si aggiunge senso, ma si esclude che ce ne possa essere nel soggetto autospecificato)?
Quanto alla civiltà o Zivilisation di Jung riporto la sua definizione: «Civiltà significa essenzialmente continuità e prevede un'ampia conservazione dell'antico; la ricerca del nuovo invece crea inciviltà e sfocia in pura barbarie». Ma il nazismo, barbarie dei suoi tempi, fu per Jung l'affioramento di antichi archetipi, del passato di Wotan, l'emergere dell'antica bestia bionda messa in sonno dal cristianesimo. Lo Svizzero come la melenzana di serra che è diversa dalla melenzana a campo aperto ma sempre melenzana è! E in effetti la Svizzera è diventato il nuovo centro del mondo, un centro virtuale, un'inesistenza reale, come il denaro delle sue banche, che riempiono quelle banche, svuotate le nostre tasche.
Domanda ineludibile: che cos'è l'anima, Seele, dello Svizzero che non ha terra (poca è quella tra le montagne e nella finanza — il denaro non ha radici) come non ha terra l'Ebreo dei tempi di Jung? Chi non ha terra non ha radici, non ha madre, non ha inconscio, non ha archetipo o principio di vita spirituale. Insomma, è uno psicopatico che deve surrogare con la cura dell'analisi la sua consistenza: «Il contatto con l'inconscio ci avvince alla nostra terra e ci rende duri da smuovere [la cocciutaggine e la diffidenza degli Svizzeri], il che certamente non è un vantaggio nei riguardi della capacità di progredire e di ogni altra forma di desiderabile mobilità. Ma non vorrei dir troppo male del nostro rapporto con la buona Madre Terra [la filiale devozione della melenzana!]. Plurimi pertransibunt [et nullus est qui non intransit, ché siamo tutti viandanti, costruzione del nostro errare, somma dei nostri errori — per dirla con il buon Nietzsche], ma chi rimane attaccato alla sua terra ha durata. Esser lontani dall'inconscio e quindi dalla condizionatezza storica [la Storia, id est: tempo, in Jung è spazio; la medesima convinzione della melenzana che ha una storia nel suo spazio di terra ortiva] significa mancare di radici. Questo è il pericolo che minaccia il conquistatore di un suolo straniero; ma è anche un pericolo per il singolo se [...] perde il nesso con l'oscuro fondo originario materno della terra da cui è cresciuto». Cosi parlò... la melenzana alla balaustra!
Tino Vittorio
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